Solo 4.474 su 18.407 sono le ordinanze di abbattimento degli immobili abusivi eseguite dai Comuni costieri. E la maladepurazione resta uno dei mali cronici del Belpaese
La pandemia non ferma l’assalto alle coste e ai mari italiani, ancora una volta preda di chi pretende di accaparrarsene “un pezzo” a proprio uso e consumo, incurante delle leggi, della tutela di ambiente e biodiversità e di un patrimonio comune che deve essere adeguatamente difeso nella sua integrità e bellezza.
Sebbene il 2020, quello cruciale della pandemia, abbia fatto registrare una leggera flessione (-5,8% rispetto al 2019) nel numero complessivo di illeciti ai danni del patrimonio marino e costiero (22.248 quelli accertati, una media di 61 al giorno, 2,5 ogni ora), il cemento abusivo continua a spadroneggiare, mentre la pesca di frodo dilaga. E il virus ecocriminale non allenta la sua morsa sulle regioni costiere della Penisola.
Il ciclo del cemento
In cima alla classifica del mare illegale 2020, troviamo infatti il ciclo del cemento, rimasto su valori assoluti altissimi (il 42,9% dei reati accertati). Migliori notizie sul fronte degli illeciti legati al ciclo dei rifiuti e all’inquinamento marino, diminuiti dell’11,6% per l’impatto del lungo periodo di lockdown sulle attività economiche, anche se i quasi 7 mila reati accertati nel settore, più di 19 al giorno, pesano sul totale nazionale per il 31%. Balzo in avanti per la pesca di frodo (il 23,3% dei reati accertati) che ha cercato di “approfittare” della pandemia, come dimostra il numero impressionante di sequestri effettuati: 3.414 contro i 547 del 2019. Si va dagli attrezzi usati illegalmente in mare, alle tonnellate di prodotti ittici requisiti. Cresce, in generale, il numero di persone arrestate e denunciate per aggressioni alle coste e ai mari italiani, 24.797 (+24% rispetto al 2019), e quello dei sequestri che hanno toccato quota 8.044 (+9,9%) per un valore di 826 milioni di euro.
Il mare illegale nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa
Questo, in sintesi, il quadro che emerge dall’edizione 2021 del dossier “Mare Monstrum”, elaborato da Legambiente su dati di forze dell’ordine e Capitanerie di porto. Tra le regioni dove si concentra il maggior numero di reati, ai primi posti si piazzano quelle a tradizionale presenza mafiosa: la Campania (con 4.206 illeciti, il 18,9% di quelli registrati a livello nazionale), seguita da Sicilia, Puglia, Lazio e Calabria. Alla Campania, “raggiunta” questa volta dal Molise, spetta anche il poco ragguardevole primato nell’incidenza di illeciti per chilometri di costa: 9 i reati accertati per ogni km in entrambe le regioni (tre volte la media nazionale), seguite da Basilicata e Abruzzo.
Il segno meno davanti alla percentuale dei reati accertati nel 2020 non incide, tuttavia, in modo significativo sul trend negativo delle illegalità perpetrate ai danni di mare e coste, sottolinea Legambiente: dal 1999 al 2020, infatti, si sono registrati 378.068 illeciti, di cui 206.532 nelle sole quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, dove si è concentrato il 54,6% del totale nazionale. Un’incidenza che lo scorso anno è cresciuta, arrivando al 55,3% dei reati.
Troppe le ordinanze di demolizione emesse ma non eseguite
Un capitolo spinoso, anche per il 2020, è rappresentato dalle storie d’ordinario abusivismo edilizio, come evidenzia un altro dato inedito elaborato da Legambiente: quello sulle ordinanze di demolizione degli immobili abusivi eseguite che raggiungono appena il 24,3% nei Comuni costieri. Uno stallo che perdura ormai da troppi decenni, di fronte al quale l’associazione chiede che della demolizione dell’abusivismo storico si occupi direttamente lo Stato, in particolare i prefetti. “Dopo la decisione, a nostro avviso sconcertante – afferma Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente – di dichiarare inammissibili gli emendamenti al decreto Semplificazioni presentati alla Camera da Facciamo Eco e Leu, che garantivano una corretta interpretazione della norma entrata in vigore nel 2020, che ha introdotto i poteri sostitutivi delle Prefetture per le ordinanze emesse dai Comuni ma non eseguite, chiediamo al premier Draghi e ai ministri competenti di intervenire perché non sia snaturato il senso della legge. Sono già centinaia le ordinanze di demolizione trasferite dai Comuni alle prefetture competenti che rischiano, altrimenti, di restare lettera morta”.
Il mare inquinato
Persino nell’anno della pandemia e dei lunghi mesi di riposo forzato a casa, le forze dell’ordine e le Capitanerie di porto hanno accertato nelle regioni costiere quasi 7.000 reati legati al ciclo dei rifiuti e in genere a fenomeni di inquinamento marino, più di 19 al giorno. Depuratori inesistenti o mal funzionanti, scarichi fognari abusivi, sversamenti illegali di liquami e rifiuti hanno rappresentato il 31% dei reati contestati nel corso del 2020.
Le prime quattro posizioni della poco invidiabile classifica per nume- ro di reati rimangono pressoché invariate rispetto all’anno precedente, con la Campania stabilmente in testa con 2.053 reati (29,7% del totale nazionale); primato confermato anche sulle persone denunciate e arresta- te (1.949) e per numero di sequestri (895). Subito dopo la Puglia, con 937 reati (il 13,6%) e il Lazio, 733, che comunque è seconda per numero di sequestri (395), seguita da Calabria (458), Sicilia (404), Toscana (379) e Sardegna (366). Quest’ultima Regione può vantare un vero e proprio exploit in merito al numero di persone denunciate e arrestate, ben 1.201. Il Veneto con 269 reati è la prima Regione del nord Italia per numero di reati contestati.
La maladepurazione
In questo scenario, la maladepurazione rimane uno dei mali cronici del nostro Paese, come confermano i dati sulla copertura del servizio di collettamento e depurazione dell’Istat, con 40 Comuni, per 394 mila abitanti, senza il servizio pubblico di fognatura e 339 Comuni, con circa 1,6 milioni di residenti, privi di impianti di depurazione (i valori più elevati sono evidenti per il Mezzogiorno e le Isole). Al 2018 risultano in esercizio poco più di 18mila impianti di depurazione delle acque reflue urbane, numero che seppur in leggero aumento rispetto al passato non è ancora sufficiente a soddisfare per intero i fabbisogni della popolazione.
Il deficit impiantistico è all’origine di ben cinque procedure d’infrazione da parte dell’Unione europea in relazione al servizio idrico, delle quali quattro si riferiscono alla mancata o errata applicazione della Direttiva 91/271/CEE dei primi anni Novanta, relativa alla raccolta, al trattamento e allo scarico delle acque reflue. Inadempienza che ha avuto conseguenze nefaste, oltre che sull’ambiente e sulla salute cittadini, anche sulle casse dello Stato, costretto a pagare pesanti ammende pecuniarie. Soldi presi dalle bollette salatissime pagate dai cittadini e che sarebbe stato indubbiamente preferibile spendere per costruire reti e impianti, non per pagare sanzioni. Oltre al danno la beffa, insomma.
A livello territoriale, il perimetro delle procedure d’infrazione copre ben 939 agglomerati con più di 29 milioni di Abitanti Equivalenti (AE), in base all’ultimo aggiornamento del Ministero della transizione ecologica (MiTE) riferito a maggio 2020. Calabria, Sicilia e Campania sono le Regioni con le maggiori criticità, la prima con l’89% degli agglomerati in stato d’infrazione, la seconda con il 77% e la terza con il 75%. È in queste Regioni, dunque, che il grido di dolore del mare inquinato si staglia più che altrove, nonostante si tratti di aree rinomate per le bellezze delle coste, puntualmente prese d’assalto con la bella stagione.
Un mare di soldi e la nomina di un Commissario non sono bastati
Nel 2017, è stato nominato un Commissario Straordinario Unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l’adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna.
Per la cronaca, dal 2012, anno della prima condanna a carico dell’Italia, lo stato ha messo a disposizione, attraverso vari strumenti finanziari (Delibera CIPE 60/2012 – Legge di Stabilità 2014 – Piano Operativo Ambiente FSC 2014/2020 – Patti per il Sud) risorse per oltre 3 miliardi di euro – che avrebbero garantito la quasi completa copertura finanzia- ria degli interventi oggetto delle due procedure d’infrazione già interessate da Sentenze di condanna, e l’assegnazione di risorse anche per diversi interventi oggetto delle due restanti procedure. Altri 303 milioni di euro sono stati messi a disposizione del nuovo Commissario unico.
Nonostante le cifre spese, il sistema continua a fare acqua da tutte la parti e a far lavorare le procure.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.