Missioni militari: dove sono e quanto ci costano

Dal 2004 bruciati 20 miliardi e 500 milioni. Continua l’impegno dell’Italia a fianco della Guardia Costiera libica

Sono salite a 40 le missioni internazionali che impegnano i militari italiani in giro per il mondo, due in più rispetto al 2020. In aumento di quasi 100 milioni di euro anche gli investimenti: sale infatti a oltre 1,2 miliardi il finanziamento approvato dal Parlamento per il 2021, compreso lo stanziamento di 26 milioni per i servizi di intelligence dell’AISE, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna.
Un trend in ascesa che influisce, è logico, anche sul numero delle forze messe in campo che passa dagli 8.613 militari del 2020 ai 9.449 previsti come consistenza massima dal Provvedimento di autorizzazione e proroga delle missioni internazionali ratificato lo scorso luglio.

Con chi: le coalizioni multinazionali

Sono 9 le missioni svolte in ambito NATO, 12 quelle insieme all’Unione Europea e 7 con l’ONU.
A queste se ne aggiungono altre 3 che si svolgono nel contesto di “coalition of the willing”, cioè le operazioni di peacekeeping svolte al di fuori del sistema di comando e controllo delle Nazioni Unite, e infine le rimanenti 8 (più Gibuti e Golfo Persico) che sono esclusivamente nazionali.

Dove

Con 19 missioni attive, il primato della presenza italiana spetta all’Africa. Seguono l’Europa e il Mediterraneo allargato che sono teatro operativo per altre 11, e infine l’Asia con 10.

Infografica delle missioni approvate dal Parlamento

Le nuove missioni del 2021: Somalia e Golfo Persico

La prima delle nuove missioni italiane è piuttosto dimessa: si parla di un solo militare e di una spesa complessiva di poco più di 156.000 euro per partecipare a UNSOM, l’impegno in Somalia delle Nazioni Unite che dovrebbe servire a rafforzare e consolidare il Governo federale somalo.
L’altra new entry autorizzata dal Parlamento, EMASOH, prevede invece un impegno importante sullo Stretto di Hormuz. Per garantire la sicurezza dei traffici marittimi nel Golfo Persico, l’Italia ha messo in campo una fregata classe Bergamini, le cosiddette FREMM, due aerei, uno dei quali UAV, e 193 militari che costeranno ai contribuenti 9 milioni di euro.
Tutto da capire come si farà a schierare personale e armamenti negli Emirati Arabi, dove è il quartier generale di EMASOH, proprio ora che l’Italia è stata sfrattata dalla base aerea di Dubai e tra i due paesi ci sono delle ruggini per il naufragio di Piaggio Aerospace, l’azienda ligure controllata al 98,05% dal fondo emiratino Mubadala.

Campagna d’Africa: tra “Mediterraneo allargato” e “frontiera Sud dell’UE”

Partiamo dalla Libia. Sono 6 le missioni che ci coinvolgono nel paese nordafricano, una accanto alla NATO, la Sea Guardian, che ci impegna con 240 militari, due navi e due aerei per 13,6 milioni di euro, e l’operazione ONU UNSMIL che prevede il distaccamento di un militare e 121.000 euro di spesa.
Poi due trasferte UE: EUBAM Libia, prorogata fino al 2023 dal Consiglio d’Europa, che ci costa 197.629 euro per un magistrato e un tenente colonnello della Guardia di Finanza di stanza a Tripoli, ed EUNAVFORMED Irini per cui spendiamo 39,7 milioni di euro mettendo in campo 596 militari, due navi e tre mezzi aerei. Irini nasce per assicurare il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU che dal 2011 vietano il traffico di armi da e per la Libia ma ha come compito secondario anche un contributo al potenziamento delle capacità e alla formazione della Guardia Costiera e della Marina Militare libica.
E non è finita. Ci sono altre due operazioni che ci vedono al fianco della Guardia Costiera di Tripoli. Sono MIASIT Libia, missione bilaterale la cui consistenza è confermata in 400 militari, 69 mezzi terrestri e due aerei per oltre 46 milioni di euro, più una “Missione bilaterale di assistenza alle autorità libiche”, che evita di menzionare la Guardia costiera ma che prevede un aiutino che supera i 10 milioni di euro. A questo dobbiamo poi aggiungere la più famosa operazione della Marina, Mare Sicuro, che mette in campo 754 militari, sei navi e otto aerei per poco meno di 96 milioni di euro.
Impegni importanti che continuano a far discutere soprattutto dopo il video pubblicato su Twitter dalla ONG Sea-watch che denuncia “un violento attacco della cosiddetta guardia costiera libica in zona SAR maltese” contro un barcone carico di migranti.

Ma in questo Mediterraneo allargato, come lo chiama il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini in audizione il 7 luglio scorso davanti alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, il nostro impegno va ben oltre la Libia.
Nel Sahel, uno dei territori più interessati alla lotta al terrorismo jihadista e dunque uno tra i più rischiosi e complessi, sono 6 le missioni in atto per salvaguardare la “frontiera Sud dell’UE”: tre in Mali (37 militari e oltre 1,3 milioni di euro spesi), due in Niger (309 militari, 100 mezzi terrestri, 6 aerei e quasi 45 milioni di euro sborsati), più l’impegno nella Task Force Takuba che con le convulsioni politiche che attraversano la zona è aumentato fino a dilapidare 49 milioni di euro per 250 militari, 44 mezzi terrestri e otto elicotteri.
Infine c’è il Corno d’Africa. Si comincia con la missione UE antipirateria EUNAVFOR Atalanta per la quale sono stati autorizzati 388 militari, due mezzi navali e quattro aerei, per una somma che supera i 26 milioni e mezzo di euro. Poi due operazioni in Somalia da 169 militari e 13 milioni di euro, e infine Gibuti con una missione bilaterale di addestramento delle forze di polizia che vale oltre 2 milioni di euro e una base militare che impegna 147 persone e ci costa quasi 11 milioni di euro.

Infografica delle missioni in Africa

Libano e Iraq

Con il ritiro delle truppe da Kabul è finita la più imponente missione militare italiana del dopoguerra: 8,7 miliardi spesi dal 2001 per finanziare prima Enduring Freedom e poi Resolute Support, e infine lasciare il paese in mano ai Talebani. Abbandonato l’Afghanistan, uno dei nostri maggiori impegni militari nel mondo resta il Libano con due missioni: UNIFIL, sotto l’egida dell’ONU, che registra un aumento del numero dei militari autorizzati (che passano da 1.076 a 1.301) così come dei mezzi terresti (da 278 a 368) e vede in più l’impiego di un’unità navale per la Maritime Task Force. Il tutto con un impegno finanziario di quasi 181,4 milioni di euro. Segue la Missione Bilaterale di Addestramento delle Forze Armate Libanesi, anche questa incrementata, con il personale che da 140 sale fino a 315 unità, e un’altra nave della Marina messa a disposizione della coalizione. Il costo della missione è indicato in circa 20,8 milioni.
Accanto al Libano, nella scacchiera del continente asiatico un pedone di tutto rispetto è l’Iraq dove l’Italia è in prima linea dal 2004, anno di nascita dello Stato Islamico. Qui le forze messe in campo per il contrasto al Daesh sono più che gigantesche. Parliamo di due operazioni: la prima, NATO Mission Iraq, coinvolge 25 mezzi terrestri e 280 uomini addetti alla formazione e all’addestramento delle forze di sicurezza irachene, al costo di 15,6 milioni di euro, mentre l’altra, Operation Inherent Resolve, con 900 militari, 11 velivoli, 84 mezzi terrestri e un esborso di quasi 231 milioni di euro, è la missione più costosa di tutte.

Infografica delle missioni in Asia

L’area balcanica

L’Italia ha partecipato a tutte le missioni militari che si sono avvicendate nei Balcani a partire dal 1991 quando, una decina d’anni dopo la morte di Tito, nella ex-Jugoslavia è esplosa la guerra civile secessionista. Qui il nostro impegno per il pieno raggiungimento della stabilità a livello regionale, ancora minacciata dalle criticità nei rapporti tra Serbia e Kosovo, prevede 628 militari, 230 mezzi terrestri e uno aereo messi a disposizione della missione NATO K-FOR Joint Enterprise, che costa ai contribuenti la bellezza di 80,8 milioni di euro. In realtà, in questi anni il prezzo più alto nei Balcani lo hanno pagato i nostri militari. Soldati inconsapevoli condannati a morte dall’uranio impoverito delle bombe NATO.

Infografica delle missioni in Europa

Simona Tarzia
Foto di copertina Fabio Palli – “Operazione Leonte, in navigazione verso il Libano”

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.