Livorno – Lei è una donna straniera, titolare di un centro massaggi di Castiglioncello. Lui, un maresciallo dei carabinieri, ex comandante del nucleo ispettorato del lavoro di Livorno. Fra i due intercorrono rapporti sessuali. Inopportuno, ma l’inopportunità non è una categoria punibile penalmente.
Nell’aprile del 2017, nel corso di un incidente probatorio, la donna fa mettere agli atti di essersi sentita costretta ad accondiscendere, perché lui era “un pezzo grosso”. In cambio lui le avrebbe detto che “erano amici e che non doveva pagare nulla”. Sesso in cambio di mancate contestazioni.
Nell’aprile dello scorso anno il maresciallo viene assolto da tutte le accuse che la procura gli contestava: concussione, tentata concussione, falso e soprattutto violenza sessuale.
Ora Il Tirreno rende note le motivazioni che hanno portato a quella sentenza. Scrive la giudice che ha redatto il documento, che l’attendibilità della donna è “di per sé debole – perché – potrebbe aver riveduto la propria relazione con l’imputato con spirito vendicativo, essendo in corso di verifica l’accusa nei suoi confronti di sfruttamento della prostituzione” Inoltre, prosegue la giudice, “la donna non descrive affatto comportamenti violenti da parte dell’imputato”.
“Solo in un caso – prosegue nel motivare la sentenza – ricorda che il Dati (il maresciallo, ndr), per convincerla a una prestazione orale, le avrebbe avvicinato con forza la testa alle proprie parti intime, ma, ribadito che anzitutto non è in alcun modo specificato in quali concreti termini sia stata compiuta questa violenza, è ben chiaro che il gesto in sé non può comportare una coazione della continuazione del rapporto, che necessita, per le stesse modalità del tipo di rapporto sessuale, di una piena partecipazione attiva della donna”.
Anche nel caso di rapporti completi, in assenza di una violenza manifesta, la giudice accoglie la tesi della difesa: “La donna – scrive – racconta che in un caso … le sarebbero stati tolti i vestiti con violenza … -ma – togliere i vestiti non comporta necessariamente passare al rapporto sessuale”.
Al di là della vicenda specifica, le motivazioni addotte rischiano di minare i progressi fatti dalla giurisprudenza, in materia di violenza contro le donne. “Questi due passaggi della motivazione – spiega l’avvocata della donna, Roberta Rossi, intervistata dal Tirreno – sono effettivamente pericolosissimi perché si rischia di riportare la giurisprudenza sulle violenze sessuali alla preistoria. Al ratto, dove per dimostrare la violenza è necessario il rapimento e un rapporto completo con la forza, tralasciando completamente l’aspetto psicologico».
“Il rischio – prosegue – è quello … di una vittimizzazione secondaria ai danni della parte offesa, non dando rilievo alla denuncia, e soprattutto stigmatizzandone il comportamento. In questo caso – conclude – non voglio pensare che ci sia un pregiudizio perché la mia cliente gestiva un centro messaggi. Perché, come sancisce la giurisprudenza, la libertà di scelta da parte della donna resta sempre, che sia implicita o esplicita. E non ci sono vittime più meritevoli di altre”.
Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
Per Fivedabliu curo le inchieste da Milano.