Sequestrati beni a imprenditore reggino già arrestato per associazione mafiosa
Verona – Nove appartamenti, tre garage, due magazzini, due uffici, un terreno e un’autovettura – del valore di circa 1 milione e 200 mila euro, oltre al 100% delle quote (del valore nominale di 70 mila euro) di una società a responsabilità limitata, avente sede legale nella provincia di Reggio Calabria ed esercente il commercio di autoveicoli, nonché l’intero compendio aziendale valutato in oltre 1,6 milioni di euro, del quale fanno parte, come detto, oltre cento veicoli per il trasporto e la movimentazione di merci.
Il valore complessivo dei beni, dei quali fanno parte, tra gli altri, sedici fabbricati e un terreno ubicati tra i comuni veronesi di Nogarole Rocca e Villafranca di Verona, a cui si aggiungono più di un centinaio di automezzi, è quantificato in oltre 2,8 milioni di euro.
Questo l’ordine di grandezza della misura di prevenzione patrimoniale emessa dal Tribunale di Reggio Calabria su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano PACI della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, nei riguardi di un imprenditore, operante nel settore della logistica, nei cui confronti è stato disposto il sequestro del patrimonio allo stesso riconducibile anche per il tramite dei familiari. Sono finite sotto sequestro anche le somme di denaro depositate su conti correnti bancari intestati al l’indagato e ai suoi stretti congiunti.
Le vicende alla base della misura di prevenzione si ricollegano a investigazioni nei confronti dell’imprenditore, già gravato da una serie di precedenti di polizia e giudiziari per reati vari, tra cui quello di associazione mafiosa, in cui l’imprenditore reggino residente a Verona, era stato condannato in primo grado a 10 anni, poi confermata in secondo grado. Il processo d’appello è tuttora in corso.
L’uomo, è risultato coinvolto – poiché ritenuto affiliato alla cosca «Pesce» di Rosarno – nell’operazione «Porto Franco», eseguita nel 2014 dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nei confronti di tale “locale” di ‘ndrangheta, operante principalmente nella piana di Gioia Tauro.
Le indagini del 2014 rivelarono il ruolo apicale dell’imprenditore nell’organizzare una rete di cooperative che consentivano alla cosca di evadere le tasse. Ma anche il suo coinvolgimento in un traffico di gasolio di contrabbando, poi utilizzarlo nel rifornimento degli automezzi delle famiglie contigue alle stesse cosche di ‘ndrangheta di Rosarno.
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