Secondo gli inquirenti, le attività contestate agli indagati erano facilitate da un nuovo sodalizio di tipo mafioso nato a livello locale
Roma – Sono in totale 103 le misure cautelari emesse oggi in Italia nell’ambito di varie operazioni contro organizzazioni criminali italiane e straniere, anche di stampo mafioso.
A Latina sono 33 le persone raggiunte da ordinanza nell’ambito di un’indagine condotta da Polizia di Stato e Sco, coordinata dai magistrati della Dda della Capitale. Oggetto degli accertamenti l’attività del clan di Di Silvio, da tempo gruppo criminale radicato sul territorio.
Il boss dal carcere: “Tenete Latina in mano”
Droga ed estorsioni e un controllo del territorio capillare da parte dell’organizzazione guidata, anche dal carcere, dal boss Giuseppe Di Silvio, detto Romolo. Il capoclan, detenuto a Rebibbia per l’omicidio di Fabio Bonanno avvenuto nel 2010 nell’ambito della guerra tra gruppi della zona, ha affidato ai familiari direttive e azioni da mettere in atto per ribadire la forza del gruppo nell’area.
In un’intercettazione citata nell’ordinanza di oltre 300 pagine il boss non usa mezze parole. Al genero dice: “Tenete in mano la città di Latina”.
Nei confronti dei cinquanta indagati i magistrati dell’antimafia di piazzale Clodio contestano, a seconda delle posizioni, reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, fattispecie aggravate dal metodo mafioso e da finalita’ di agevolazione mafiosa. Le indagini si sono avvalse anche delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia oltre che di quelle rese dalle vittime delle numerose estorsioni.
Spedizioni punitive per chi non voleva pagare
Gli accertamenti sono partiti dopo alcune spedizioni punitive organizzate nel centro storico di Latina e dopo le ennesime richieste estorsive rivolte agli esercenti commerciali della movida. Il gruppo criminale operava attraverso intimidazioni e azioni violente, il tutto senza subire denunce, in un clima di sostanziale omertà. Gli indagati hanno preso di mira gestori di ristoranti o commercianti i quali erano costretti anche a garantire pasti gratuiti agli appartenenti del clan o a stabilire prezzi di “favore” per capi di abbigliamento, acquistati a cifre irrisorie.
Sale slot e spaccio: il core business del clan
La polizia ha anche documentato reati contro il patrimonio che “rivelano la vera forza e caratura del gruppo”, strutturato su base familiare e territoriale.
Nell’ottobre del 2019 è stato effettuato un furto all’interno di una sala slot a Latina “da cui veniva ricavato notevole profitto economico – si afferma nelle carte -, pari a oltre diecimila euro, di cui quattromila in denaro contante”. L’altro “core business” dell’organizzazione è rappresentato dallo spaccio di sostanze stupefacenti che avveniva anche in piazze della provincia pontina. Una delle principali zone di spaccio gestite dal gruppo è il centro storico di Latina, in particolare la “zona dei pub”. Nell’ordinanza il gip, in riferimento alla struttura mafiosa del gruppo, si afferma che “essa prescinde da un uso esplicito e concreto dei mezzi violenti o di intimidazione, ma è invece sufficiente il timore causato dalla potenzialità offensiva dell’associazione nella generalità dei soggetti che vengono in contatto” a indurli “ad assoggettarsi e a subire la condizione omertosa”.
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