Nei giorni in cui si parla di Silvio Berlusconi al Quirinale, forse è bene ricordare chi è stato e cosa ha fatto
I giornali della destra gongolano. L’affossamento del Ddl Zan al Senato ha mostrato che esiste una nuova alleanza e che, se saprà rimanere unita, potrà far valere il suo potere alla prossima elezione del Presidente della Repubblica. Il mandato di Mattarella scade fra 4 mesi e l’ipotesi che fino a poco tempo fa appariva surreale, ritrovarsi Silvio Berlusconi a capo dello Stato, si sta facendo possibile.
Dopo un periodo di eccessi sovranisti, una parte della sinistra sembra disposta a guardare a Berlusconi come a un liberale. Lui, del resto, sta facendo il possibile per accreditarsi come un moderato. In questo senso sembra inserirsi la critica alle proteste di Trieste, rilasciata durante un’intervista a Libero: “Un eroe è chi blocca un treno per Auschwitz, non un porto per il green pass”. Dove il rimando al campo di concentramento nazista serve come dichiarazione di antifascismo, dimenticando il fatto che fu proprio lui a sdoganare le fasce estreme.
Urge dunque un piccolo ripasso sulla figura di Silvio Berlusconi e in questo ci viene incontro una sentenza, passata un po’ in sordina, emessa ai primi di settembre.
Non è un reato scrivere che la Fininvest pagò Cosa nostra
Nel 2008 il giornalista Ferruccio Pinotti e il pm Luca Tescaroli davano alle stampe per Rcs il libro “Colletti Sporchi”.
Incentrato su “finanzieri collusi, giudici corrotti e politici a libro paga dei boss”, in un passaggio i due autori riprendevano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, in merito ai rapporti di Silvio Berlusconi con la mafia siciliana. Cancemi sosteneva “che Riina, prima della strage, si era incontrato con ‘persone importanti’ e gli aveva riferito che si trattava di Dell’Utri e Berlusconi. Aggiunse che appartenenti al Gruppo Fininvest versavano periodicamente 200 milioni di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra”.
Due anni più tardi, nel 2010, poco prima della sentenza d’appello che vedeva imputato Dell’Utri, la Fininvest querelò i due autori e la casa editrice. La mossa mirava a colpire soprattutto il pm Luca Tescaroli, che ha indagato sulla strage di Capaci, sulla morte di Roberto Calvi e sui mandanti occulti delle stragi mafiose del ’93.
Lo scorso 7 settembre, la quarta sezione civile della Corte d’Appello di Venezia, presieduta da Giovanni Callegarin, ha posto fine a questa vicenda dando ragione a Pinotti e Tescaroli e ribadendo la sentenza di primo grado: “I fatti indicati […] come diffamatori erano stati esposti nel libro in modo veritiero e senza travisamenti”.
Da notare che le testimonianze riportate nel libro si situano all’inizio degli anni ’90, ben dopo la nota vicenda di Vittorio Mangano stalliere nella villa di Arcore, quando – sempre secondo Cancemi – “Riina si era attivato per coltivare direttamente (…) i rapporti con i vertici della Fininvest tramite Craxi”. E “Riina, nel 1991, aveva riferito” a Cancemi “che Berlusconi e (…) Marcello Dell’Utri erano interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo e che lui stesso (Riina) si sarebbe occupato dell’affare, avendo i due personaggi ‘nelle mani’”.
Le indagini di Ilda la rossa
Dei versamenti di denaro della Fininvest a Cosa nostra ne ha scritto in questi giorni anche Ilda Boccassini nel libro che ripercorre la sua vita, “La stanza numero 30”.
Nel 1994 Ilda la rossa è a Caltanissetta a indagare sull’attentato di Capaci. Cancemi, reggente del mandamento di Porta Nuova, ha da poco iniziato a parlare con gli inquirenti. E racconta: ”Riina mi disse di riferire a Mangano che non doveva più interferire nel rapporto che lo stesso aveva instaurato da anni con un tale Dell’Utri, collaboratore di Silvio Berlusconi, perché da quel momento i rapporti con Dell’Utri li avrebbe tenuti direttamente Riina. Quest’ultimo precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne” (il riferimento è alle emittenti private, ndr) … Queste rate venivano consegnate non so da chi a Pierino Di Napoli, reggente della famiglia di Malaspina, compresa nel mandamento La Noce”.
A questo punto la Boccassini, che interroga da sola il collaboratore di giustizia, chiede il motivo di tali versamenti di denaro: “Non credo che il pagamento di quella somma annuale costituisse una specie di pizzo affinché l’imprenditore Berlusconi potesse lavorare tranquillamente a Palermo – mette a verbale Cancemi – ma c’era qualcosa di più, lo avevo intuito perfettamente. D’altro canto Riina, quando mi disse che Mangano si doveva togliere di mezzo, era molto determinato, aveva chiaramente fatto capire che avrebbe eliminato Vittorio se avesse fatto storie. Per il semplice pizzo non si sarebbe mai scoperto in quella maniera”.
Per verificare la veridicità delle dichiarazioni di Cancemi, la Boccassini mise sotto sorveglianza Pierino Di Napoli, ovvero colui che avrebbe fatto da trait-d’union fra Nord e Sud, ma una soffiata alla stampa mise sull’avviso Di Napoli, facendo fallire l’operazione.
Il processo Ruby ter
Dopo esser stato assolto qualche giorno fa dall’accusa di aver corrotto il pianista di Arcore, Danilo Mariani, per tacere sulle famose “cene eleganti”, Silvio Berlusconi deve ancora affrontare a Milano il processo Ruby ter. Se nel primo, discusso a Siena, il passaggio di soldi è stato provato ma non la finalità, nel secondo la questione rischia di essere molto più complicata per Berlusconi, visto che le ragazze che avrebbe pagato per tacere sono molto più numerose.
I messaggi trasversali di Graviano e i mandanti occulti delle stragi del ’93
Ma il processo che forse più inquieta Berlusconi è quello di Firenze sui mandanti degli attentati mafiosi del ’93, dove lui e Marcello Dell’Utri sono indagati per strage in concorso con Cosa nostra.
Solo pochi giorni fa il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, insieme con gli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli (ancora lui), hanno ordinato una serie di perquisizioni a Palermo, a Roma e a Rovigo. Gli inquirenti cercavano le prove di quanto affermato dal boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, secondo il quale suo nonno Filippo Quartararo, avrebbe investito 20 miliardi di lire negli anni ’70 nelle imprese edili di Berlusconi.
Durante il processo ‘Ndrangheta stragista, nel quale è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di due carabinieri, Giuseppe Graviano si è lasciato scappare che alcuni “imprenditori del Nord … non volevano fermare le stragi”, e ha sostenuto di aver incontrato Silvio Berlusconi “almeno tre volte”.
Dichiarazioni pesanti ma che sono ancora tutte da dimostrare.
Chiara Pracchi
Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
Per Fivedabliu curo le inchieste da Milano.