G20: Biden tenta la carta degli F-16 per sedurre Erdoğan

Ankara: il rafforzamento delle forze armate turche significa anche il rafforzamento della difesa della Nato

Roma – È iniziato stamattina il vertice bilaterale tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. Lo si apprende da fonti diplomatiche. Al centro del colloquio le consegne di F-16 Fighting Falcon ad Ankara come compensazione per l’esclusione della Turchia dal programma F-35 dopo l’acquisto dalla Russia di una batteria di sistemi missilistici antiaerei S-400 Triumph.
Gli USA si oppongono da sempre alle acquisizioni di sistemi di difesa aerea russi da parte della Turchia, alleato nella Nato. Secondo Washington, infatti, il sistema russo usato da un membro del Patto Atlantico rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza per gli F-35.
Ma di cosa stiamo parlando?

Il programma JSF

Il programma di cooperazione internazionale F-35 “Joint Strike Fighter”, avviato in USA nella prima metà degli anni Novanta, prevede la realizzazione di un caccia multiruolo di quinta generazione, un F-35 Lightning II, costruito dalla Lockheed Martin Aero.
Nella cordata guidata dagli Stati Uniti rientravano Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca, ognuno con un coinvolgimento calibrato in base alla partecipazione finanziaria e alla capacità di acquisto dei velivoli.
L’Italia, ad esempio, è partner di secondo livello con un impegno complessivo stimato intorno agli 11 miliardi di dollari e un quadro indicativo degli acquisti che prevede 131 velivoli.
E la Turchia?
La partecipazione turca, prima che il Paese fosse rimosso dal programma nel 2019, prevedeva l’acquisto di 100 caccia F-35 per i quali Ankara avrebbe già anticipato 1,4 miliardi di dollari.
E qui sta il problema. Perchè Erdoğan ora vuole un rimborso e fa pressione sull’amministrazione Biden per la consegna dei due F-35 costruiti per l’esercito turco. Gli USA, invece, avrebbero altri programmi: barattare i caccia multiruolo con un lotto di F-16 per compensare l’investimento.
Il portavoce presidenziale turco, Ibrahim Kalyn, all’epoca dell’esclusione del Paese dal programma JSF, aveva protestato dichiarando che l’azione USA era “completamente illegale e ingiusta“. Poi, il 17 ottobre scorso, data in cui è stata resa nota la proposta di Washington sui quaranta F-16 nuovi, aveva sottolineato che “…la nostra prima scelta è acquistare gli F-35, e questo è un nostro diritto. Se la crisi con gli Stati Uniti verrà superata, la Turchia rientrerà nel programma F-35. L’ampliamento della flotta esistente di F-16 e il loro ammodernamento può essere considerata un’alternativa” ma “se il problema non sarà risolto, continueremo a cercare alternative”. Intendendo con alternative gli armamenti di fabbricazione russa, in particolare gli aerei Su-35 e Su-57. Uno spauracchio per fare pressione su Biden.

E il vertice bilaterale?

“Massimo impegno per mantenere relazioni costruttive, espandere le aree di cooperazione e gestire in modo efficace le divergenze”.
È quanto hanno concordato Biden e l’omologo turco nell’ultimo giorno del G20 romano, mentre gli altri leader mondiali gettavano le monetine a Fontana di Trevi.
Secondo fonti vicine alla Casa Bianca, Biden ha espresso apprezzamento per il contributo quasi ventennale di Ankara alla missione Nato in Afghanistan. I due leader hanno poi discusso il processo politico in Siria, la consegna di aiuti umanitari alla popolazione afghana bisognosa, le elezioni in Libia, la situazione nel Mediterraneo orientale e gli sforzi diplomatici nel Caucaso meridionale.
Biden ha riaffermato la partnership tra i due Paesi nel campo della difesa e l’importanza della Turchia come alleato nella Nato ma per ora non trapela una parola di più sul grande scoglio che divide il tavolo dei due leader, oltre al sistema missilistico russo S-400: l’approvazione del Congresso per la vendita degli F-16.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.