In attesa del COP26, solo qualche promessa
Roma – Il G20 di Roma si è concluso e francamente farne il bilancio non è semplice. Soprattutto in vista del COP26 di Glasgow sull’ambiente, tema che oggi rappresenta la principale preoccupazione a livello mondiale.
Chi si aspettava decisioni importanti sui temi ambientali è certamente rimasto deluso, ma la vicinanza del Summit in Scozia, e la non specifica pertinenza del G20 sui temi ambientali, ha solo strappato ai leader mondiali qualche promessa: “Ci impegniamo a rafforzare le azioni per arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 e invitare le parti della CBD (Convention on Biological Diversity) ad adottare un approccio ambizioso, equilibrato, pratico, efficace, solido e trasformativo…”
Assenze importanti
Su questo G20 hanno pesato le assenze di Xi Jinping e di Vladimir Putin. I problemi in agenda erano tanti, dai vaccini, che nei paesi emergenti mancano, al clima, da una nuova possibile crisi finanziaria all’indebitamento dei paesi più poveri le cui economie, già deboli, sono state stroncate dalla pandemia.
Partiamo da un dato significativo
I membri del G20 rappresentano circa il 90% del PIL mondiale, l’80% del commercio mondiale e i due terzi della popolazione mondiale, nonché circa il 60% dei terreni coltivabili e l’80% circa del commercio mondiale di prodotti agricoli.
Nello specifico sono:
- Argentina
- Australia
- Brasile
- Canada
- Cina
- Francia
- Germania
- Italia
- India
- Indonesia
- Giappone
- Messico
- Repubblica di Corea
- Russia
- Arabia Saudita
- Sud Africa
- Turchia
- Regno Unito
- Stati Uniti
- Unione europea.
Dall’infografica (fonte: OWID) , si capisce bene chi escludiamo e quale sia, dal punto di vista economico e politico, la sua rilevanza.
Un’altra infografica esaustiva è quella riguardante chi inquina
La speranza era che il G20 potesse sensibilizzare i 20 paesi più potenti (responsabili di circa l’80% di emissioni) per agevolare il lavoro i lavori della COP26.
Cina e India hanno ribadito che “i primi responsabili del surriscaldamento globale sono le economie mature, visto che buona parte dello stock di CO2 accumulato nell’atmosfera lo si deve a loro”.
Teoria discutibile visto che la Cina è ormai il primo paese al mondo per emissioni e l’India il terzo.
Il comunicato al termine del Summit contiene l’impegno da parte di tutti per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi C e di fare ulteriori sforzi per puntare a 1,5 gradi.
L’impegno, la speranza
“Rimaniamo impegnati nell’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, anche come mezzo per consentire il raggiungimento dell’Agenda 2030.
Nel resoconto finale del Summit di Roma si legge: “Raggiungere il risultato 1,5°C richiederà azioni e impegno significativi ed efficaci da parte di tutti i paesi, tenendo conto dei diversi approcci, attraverso lo sviluppo di chiari percorsi nazionali che allineino l’ambizione a lungo termine con obiettivi a breve e medio termine e con la cooperazione internazionale e sostenere, comprese la finanza e la tecnologia, il consumo e la produzione sostenibili e responsabili come fattori abilitanti critici, nel contesto dello sviluppo sostenibile. Attendiamo con impazienza una COP26 di successo”.
Non si va oltre le dichiarazioni
In estrema sintesi, i protagonisti del G20 hanno ben presente cosa si dovrebbe fare nei prossimi 10 anni ma non vanno oltre le dicharazioni, lasciando al COP26 il compito di mettere su carta le regole per tutti.
Val la pena ricordare che secondo l’ultimo rapporto UNEP di recente pubblicazione, sulle emissioni globali entro il 2030 bisognerebbe tagliare le emissioni del 30% per raggiungere l’obiettivo dei 2 gradi e del 55% per raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi. Mentre ad oggi il taglio delle emissioni si ferma invece al 7,5%.
Un passo fondamentale sarebbe quello di fornire risorse e tecnologie ai paesi più poveri, anche se in questo G20, sono state disattese le speranze che i leader cogliessero l’opportunità di favorire una ripresa economica più equa e intraprendessero azioni coraggiose per la riduzione del debito dei paesi in via sviluppo, nonostante l’impegno a dare 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2025. Rimane da vedere se poi questi fondi verranno effettivamente elargiti o finiranno nel calderone delle promesse mai mantenute.
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