Catturato dopo 4 anni di latitanza, era detenuto dal 1997. Condannato all’ergastolo e poi a trent’anni, ha scontato 24 anni e sette mesi
Vibo Valentia – Ha scontato la sua pena e adesso è un uomo libero. Giuseppe Mancuso, alias Peppe ‘Mbrogghia”, 72 anni, ritenuto ai vertici dell’omonimo clan mafioso di Limbadi e personaggio tratteggiato dai vari collaboratori di giustizia come particolarmente violento, era detenuto dal 1997.
Oggi lascia il carcere di Cuneo e può tornare a Limbadi dopo che nel 2019 la Cassazione aveva detto no alla liberazione anticipata.
L’arresto nel 1997
All’alba del 29 aprile del 1997 un blitz dei carabinieri del Ros guidato dall’allora capitano Valerio Giardina, oggi comandante del Noe, aveva messo fine alla sua latitanza facendo irruzione in un casolare di San Calogero, nel Vibonese, non molto distante dal suo paese natale, dove si era rifugiato in stato di latitanza, durata quattro anni.
L’uomo, infatti, nel 1993 era stato colpito da una misura cautelare nell’ambito dell’operazione “Tirreno”, che aveva i clan Piromalli e Molè di Gioia Tauro, Pesce di Rosarno, Cutellè di Laureana di Borrello, Albanese di Candidoni e la famiglia Galati di Mileto.
Dopo l’arresto dello zio Luigi, più giovane di lui, aveva preso le redini del clan figurando nell’elenco dei 30 ricercati più pericolosi.
Condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palmi nel 2004. Accusato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, associazione mafiosa (considerato fedele alleato dei Piromalli e dei Mole’ di Gioia Tauro) e anche dell’omicidio di Vincenzo Chindamo, commesso l’11 gennaio 1991 nell’ambito della faida tra le famiglie di Laureana di Borrello, “‘Mbrogghia” Mancuso si è visto ridurre successivamente la condanna a 30 anni.
Tra buona condotta e benefici carcerari, il boss ha scontato la sua pena e da oggi è totalmente libero senza alcuna misura di prevenzione.
La famiglia
Giuseppe Mancuso è figlio di Domenico Mancuso, quest’ultimo fratello di don Ciccio Mancuso, ritenuto il patriarca del clan, ed è il fratello di Rosaria Mancuso, attualmente detenuta per l’autobomba di Limbadi costata la vita al biologo Matteo Vinci, e dei boss Diego (alias “Mazzola”) e Francesco (detto “Tabacco”) Mancuso, liberi dopo aver scontato le condanne per le operazioni Dinasty, Batteria e Senza Respiro. L’altro fratello, Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, invece è in carcere dopo essere stato catturato a Roma dopo una periodo di irreperibilità.
Il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone, è suo nipote diretto. Proprio i pentiti, nei numerosi verbali e durante i vari processi, lo descrivono come un boss sanguinario in grado di tessere trame criminali e inscenare “tragedie” per eliminare i rivali. Da qui, pertanto, il soprannome, “‘Mbrogghia” che gli è stato affibbiato.
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