Il presidente del Comitato Tutela Ambientale Genova Centro-Ovest: “Nel Mediterraneo le norme sono meno stringenti. E per il rumore non esistono limiti prestabiliti”
Genova – Le navi da crociera inquinano di più di tutto il parco auto europeo. E parliamo di 260 milioni di veicoli. Lo dice l’ultimo studio pubblicato da Transport & Environment che ha monitorato i viaggi di 203 giganti del mare lungo le coste europee, Mediterraneo compreso.
Spagna e Italia sono risultati i Paesi maggiormente interessati dai fumi che, complessivamente, hanno appestato l’aria con 62mila tonnellate di ossidi di zolfo (SOx), 155mila tonnellate di ossidi di azoto (NOx), 10mila tonnellate di polveri sottili (PM), e più di 10 tonnellate di CO2.
I porti dei veleni
E in effetti tra i 50 porti più inquinati d’Europa, 10 sono italiani. Alla terza posizione della classifica di Transport & Environment si piazza Venezia, preceduta da Barcellona e Palma di Maiorca. Seguono Civitavecchia al 5° posto e Livorno all’8°. Napoli e Genova sono rispettivamente al 17° e 18° posto. Tra gli scali liguri La Spezia è al 25° e Savona al 27°. Infine Cagliari al 38°, Palermo al 42°, e Messina al 44°.
L’inquinamento dell’aria deriva in larga parte dallo stazionamento delle navi da crociera ormeggiate ai moli. Ore e ore durante le quali queste città galleggianti devono tenere i motori accesi per far funzionare i servizi di bordo. Lo stesso vale anche per i traghetti, con l’aggravante tutta italiana che non esiste un limite di legge che ne stabilisca la vita utile. E così nei porti nazionali sostano delle carrette del mare fabbricate negli anni ’70. Una flotta vecchia, obsoleta e rischiosa.
Ce lo spiega Enzo Tortello, Presidente del Comitato Tutela Ambientale Genova Centro-Ovest, che da anni si occupa dei problemi di convivenza tra la città e lo scalo genovese.
“Nel 2018 la Moby Otta ha fatto il viaggio da Porto Torres a Genova con il portellone aperto. Roba da rischiare il naufragio”, ricorda sottolinenando che “però il RINA queste navi le certifica lo stesso”.
Per non parlare del rumore “tipico dei vecchi motori diesel” che “non ci fa dormire la notte”, continua Tortello, e per questo “abbiamo anche fatto delle misurazioni in un appartamento di via Pagano Doria cui è seguito un esposto”. Ma il risultato è stato solo “il consiglio di non accostare certi traghetti nelle banchine limitrofe a San Teodoro perchè la conformazione orografica della zona è tale che amplifica i rumori come un anfiteatro”.
Il fatto è che l’inquinamento acustico non se lo fila nessuno. È come se non esistesse. E infatti “non c’è una legge che definisca dei limiti perchè il decreto attuativo per il porto non esiste”. E così la Capitaneria, “sollecitata molte volte dal nostro Comitato, ha risposto che non sa che limiti applicare” e tutto è finito a tarallucci e vino.
La deregulation del mare
L’ambiente porto gode di una certa deregulation anche per quello che riguarda i fumi, in particolare ci fa notare Tortello “che non esistono limiti precisi per le polveri ultrasottili“. Si tratta di particelle con un diametro inferiore a 1 micrometro, le più piccole e pericolose per la nostra salute. Per farvi un’idea, pensate che un capello umano ha un diametro tra i 50 e 70 micron e un granello di sabbia è grande circa 90. Una dimensione ridottissima che “permette loro di entrare in circolo nel sangue rapidamente dopo l’inspirazione”.
Non solo.
“Genova è in infrazione europea perchè sfora la soglia stabilita per gli ossidi azoto (NOx) per i quali pagheremo una penale”, tiene a sottolineare Tortello aggiungendo che in città c’è un altro problema da non sottovalutare, quello delle misurazioni. E infatti “la centralina più vicina al porto è quella di via Bruno Buozzi, ma è posta su una via di grande traffico veicolare e a livello strada, e di conseguenza finisce per monitorare principalmente il traffico stradale. Un’altra centralina di riferimento per il porto è quella di corso Firenze, che è considerata da ARPAL di fondo, ma anche questa è una via molto trafficata dalle auto. Incrociando i dati con il traffico navale si può comunque vedere che in presenza di navi passeggeri in manovra si hanno dei picchi nelle curve di rilevamento degli NOx in entrambe le centraline”. Ma questo non basta perchè risulta complicato discriminare quale sia la fonte inquinante. Per questo “ci stiamo battendo per fare un campionamento diretto delle emissioni a camino utilizzando i droni“. E non è fantascienza visto che la Capitaneria di Porto li usa per monitorare gli spostamenti dei cetacei.
Ma allora quanto pesano davvero le attività portuali sulla nostra salute?
Secondo i dati dell’inventario delle emissioni di ARPAL, che purtroppo è fermo al 2016, si parla di 5425,9479 tonnellate di ossidi di azoto che dalle navi impattano sul territorio comunale. E le carte dell’Agenzia Regionale parlano chiaro: “Il macrosettore altre sorgenti mobili e macchine (prevalentemente emissioni dalle navi in porto) dà un contributo significativo alle emissioni di NOx”, e questo contributo è pari al “49,46 %”, precisa Tortello mettendo l’accento sul fatto che “sono sempre superiori a quelle stradali”.
E non è finita. C’è tutta la partita degli ossidi di zolfo (SOx). Sembrerà impossibile ma qui le cose si complicano ancora.
“Le uniche misure dirette che vengono effettuate sono quelle sul contenuto di zolfo nel carburante”, spiega Tortello puntando l’attenzione sul fatto che però “sono pochissime, eseguite dalla Capitaneria su circa il 3% delle navi che entrano in porto e non con un prelievo diretto dal serbatoio ma su un campione che viene rilasciato dal fornitore“. Questo quando va bene. Nella maggioranza dei casi, infatti, i controlli sono solo documentali sui macchinari e lo stato manutentivo.
E se è vero che a Genova non c’è un problema di sforamento dei limiti di legge per gli SOx è altrettanto vero che “nel Mediterraneo le norme sono meno stringenti. Mentre nei mari del Nord il tenore massimo di zolfo nel combustibile utilizzato è pari a 0,1%, da noi è scattato a 0,5 solo a gennaio 2020. Prima di allora era permesso un contenuto fino a 3,5”.
E comunque, anche in questo caso, i dati dell’inventario di ARPAL ci dicono che “il macrosettore altre sorgenti mobili e macchine (prevalentemente emissioni dalle navi in porto) è quello che produce maggiori emissioni di SOx: 705,1815 tonnellate di ossidi di zolfo contro le 2,4396 dei trasporti stradali”.
Di più: pensate che esistono dei limiti per l’emissione di ossidi di azoto che però non valgono per le imbarcazioni costruite prima dell’anno 2000. Lo stesso vale per l’indice di produzione di CO2 che non si calcola per le navi costruite prima del 2013. Come dire che le navi più vecchie e inquinanti godono di immunità ambientale. E non solo loro. Il trasporto marittimo è soggetto a normative internazionali supervisionate dall’IMO, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di navigazione, ma per motivi storici è stato escluso dai calcoli delle emissioni internazionali di gas a effetto serra ed è quindi sollevato dagli obblighi derivanti dagli accordi ONU sul clima, compreso quello di Parigi del 2015.
Elettrificazione delle banchine in stallo: colpa di Arera?
C’è un’altra partita aperta: è il famoso Cold Ironing. Peccato che nel “PNRR Trasporti gli scali di Genova e Savona non siano menzionati tra i porti in via di elettrificazione”. Perchè? Ci aiuta a capirlo Tortello che spiega come “ci fosse già un progetto approvato e finanziato. Per questo il Mar Ligure Occidentale non è entrato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e tutto sembra bloccato”.
Il problema sarebbero le tariffe. Capiamo un po’ meglio: l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) non ha ancora stabilito le tariffe da applicare al kWh elettrico per il Cold Ironing “e questo ha fatto tirare il freno all’Autorità di Sistema Portuale” perchè senza adeguamento, oggi, per alimentare i motori di bordo il gasolio è più conveniente del chilowatt.
“Bisogna fare una considerazione importante”, aggiunge Tortello citando uno studio di Life4Medeca che calcola in un caffè a passeggero l’aumento dei costi per gli armatori: “Non mi sembra giusto, ecco, che si debba pagare tutti quanti perché qualcuno che abita in Svizzera si arricchisca di più”.
E “sul trasferimento delle emissioni dalla nave alla banchina c’è molta disinformazione”, tanto che anche “il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale si è espresso in più occasioni dicendo che finché non ci saranno le rinnovabili in porto questi progetti non hanno senso. Lo stesso ha fatto l’AD di Stazioni Marittime dicendo che usare una centrale a carbone per alimentare le navi significa solo trasferire le emissioni”.
In realtà le cose non stanno davvero così e il discorso andrebbe allargato. Spiega Tortello che “già utilizzando il mix energetico calcolato per il 2017 il chilowatt elettrico generato a terra creerebbe meno inquinamento, sia perchè la regolamentazione esistente per le centrali terrestri è più stringente, sia perchè la generazione non deriverebbe tutta dal carbone che è in via di dismissione”.
Ricapitoliamo. Per il rumore non esistono dei limiti prestabiliti. Per l’inquinamento atmosferico esistono dei limiti ma non per tutti gli inquinanti e in molti casi le certificazioni vengono fatte sulla carta, senza misurazioni a camino. Poi c’è la Comunità Europea con le sue direttive e le nostre multe. E si tratta di una bella cifra che parte da un minimo di 9.920.000 euro. Ma conviene pagare, non sia mai che si scontentino gli armatori.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.