Peste suina: chi deve fare cosa? Sull’ordinanza è confusione totale

Matteo Frulio

Frulio, referente provinciale del PD per il Turismo e le Politiche agricole e forestali: “Pronto un documento da presentare alla Camera per ottenere dei provvedimenti a margine”

GenovaL’ordinanza Patuanelli-Speranza contro la peste suina ha bloccato tutte le attività indoor in 114 comuni tra Piemonte e Liguria, e lo ha fatto portandosi dietro il caos totale. In castigo, infatti, ci siamo finiti tutti: camminatori della domenica, biciclettari, allevatori, cacciatori, agri-turisti e chi più ne ha più ne metta. Ma perchè? E soprattutto: ce n’era davvero bisogno?

“L’allarme rosso c’è perchè c’è un comparto, quello suinicolo, soprattutto nelle zone dell’Emilia, della Lombardia e in parte del Piemonte, che con una peste del genere rischia veramente di andare al collasso perchè se arrivasse nelle stalle comporterebbe l’abbattimento di un grande numero di capi e un danno economico molto rilevante”. Ce lo spiega Matteo Frulio, referente provinciale del PD per il Turismo e le Politiche agricole e forestali, che poi tiene a sottolineare che “non si tratta di una scelta scellerata”. Il problema dell’ordinanza, continua, “è che come tutte le scelte centrali non tiene conto di una serie di fattori che sono prettamente locali”. E per una regione come la Liguria le zone d’ombra sono tante. Prima fra tutte la convivenza tra umani e cinghiali nelle città.
Cioè, se l’ordinanza serve a limitare un contagio che l’uomo potrebbe favorire tramite le scarpe o altre attrezzature che si usano ad esempio per il trekking, perchè a nessuno è venuto in mente che ci sono un mucchio di cinghiali che bivaccano per le nostre strade? O qui le regole di trasmissione del virus non valgono?
“In effetti la Liguria è un caso particolare perchè non ci sono grandi distanze, Ponte Decimo o Rivarolo si possono già considerare entroterra. Per questo, dal punto di vista locale, l’ordinanza è incongruente”.
E poi non è la prima volta che si parla di peste suina ma è la prima volta che si decide per un lockdown dei boschi. Ma perchè?
“Si tratta di un virus molto letale che decima la popolazione, peraltro con un livello di infettività altissimo”, dice Frulio aggiungendo che “già a luglio il Ministero aveva messo in piedi una task force, un gruppo di esperti che ha iniziato a monitorare la situazione italiana che, fino all’episodio di Ovada, era considerata praticamente indenne a parte la Sardegna. Questo avrebbe dovuto mettere in allerta e far attivare un monitoraggio locale che invece non c’è stato perchè è solo in questi giorni che si sta chiedendo ai cinghialisti e alle associazioni venatorie di fare un monitoraggio costante”.

Ecco, appunto. Non si poteva fare qualcosa prima, senza dover sentir parlare ancora di emergenza e di ristori?
“Mi sento di dire che noi siamo un Paese che vive di emergenze e che nel corso dei decenni non si è mai attuata una vera politica di prevenzione su nulla, tranne quando ci sono dei casi eclatanti come le alluvioni”. È categorico Frulio che punta il dito sul fatto che la peste suina “non è stata la sorpresa dell’uovo di Pasqua” eppure “nell’ordinanza non c’è l’ombra di ristori o di un piano per consentire alle attività economiche di andare avanti, magari stabilendo anche dei percorsi protetti”. Quello che preoccupa, infatti, sono anche “gli effetti su agriturismi, aziende agricole, guide ambientali, che praticamente per sei mesi rischiano di non avere alcun tipo di introito connesso all’outdoor”. E parliamo di un territorio molto vasto che guardando solo al Ponente “va oltre il mio Municipio – il VII – e tocca il parco del Beigua, Mele, Rossiglione, Cogoleto, Arenzano”.

Di più. Non c’è neppure un piano che stabilisce come si faccia il monitoraggio o cosa si debba fare con le carcasse dei cinghiali morti. Perchè se il virus è così letale ce ne saranno a mucchi nei nostri boschi.
Purtroppo “queste ordinanze che escono così, in maniera veloce per contenere immediatamente il problema, poi si portano dietro tutta una serie di domande”, dice ancora Frulio che poi ci fa un esempio pratico: “Un allevatore di capre nell’entroterra di Sant’Olcese mi ha chiesto se adesso dovrà costruire un recinto per i suoi animali che di solito, invece, lascia allo stato brado”. Sono tanti i livelli di dettaglio che l’ordinanza non prende in considerazione: “Davanti a una carcassa di cinghiale morto che si fa? Si porta via? Si fanno le analisi sul posto?”. Boh! Non esiste neppure un numero verde che si possa chiamare.

Niente di certo, quindi, tranne che non si può più andar per boschi. Ma perchè? Non è che chi va in bicicletta poi a fine giornata passa negli allevamenti a fare un salutino ai maiali. Sorride Frulio e risponde che “uno dei problemi riguarda ad esempio chi passeggia con il cane”. I nostri amici a quattro zampe per fortuna non si ammalano ma “i loro escrementi sono un veicolo di infezione, e questo è un virus che ha dei tempi di incubazione lunghissimi e resiste a temperature anche molto basse”. Detto questo, conclude Frulio, “mi sento di condividere le considerazioni del presidente del Parco del Beigua, Daniele Buschiazzo, quando parlando delle volpi, dei lupi, dei corvi, ha detto che loro continueranno comunque a spostarsi perchè gli animali non conoscono ordinanze. Da qui il documento del PD che presenteremo alla Camera per ottenere dei provvedimenti a margine mirati al nostro territorio”.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.