Edoardo Marangoni ha intervistato per #fivedabliu Giulia Pastorella, autrice del libro “EXIT ONLY – Cosa sbaglia l’Italia sui cervelli in fuga”
Genova – Giulia Pastorella, milanese, dopo un anno di liceo nel Regno Unito decide di proseguire all’estero i suoi studi: Laurea a Oxford, un Master a Sciences Po (Parigi) e un PhD in Affari Europei presso la London School of Economics. Ha lavorato a Bruxelles per HP e oggi è direttrice delle relazioni istituzionali con l’Unione Europea per Zoom, la piattaforma di teleconferenze che usiamo anche noi. Impegnata politicamente, è stata recentemente eletta al Consiglio Comunale di Milano dove è Capogruppo della lista Riformisti per Sala. Ha pubblicato presso Laterza “EXIT ONLY – Cosa sbaglia l’Italia sui cervelli in fuga”, con prefazione dell’economista Federico Rampini. L’incontro di oggi – “EXIT ONLY” è l’occasione per conversare con un cervello in fuga, ma non troppo visto che Giulia si è da poco ritrasferita in Italia, e sugli stereotipi e i falsi miti che circondano i giovani che decidono di perseguire una carriera all’estero. Sono un arricchimento o un depauperamento del paese?
Abbiamo raggiunto Giulia Pastorella telefonicamente, giusto qualche momento prima del Consiglio Comunale di Milano di ieri pomeriggio, per farle alcune domande
Siamo tutti d’accordo, tristemente, che la cosiddetta fuga dei cervelli sia un bel problema per l’Italia, e, in particolar modo, per Genova e la Liguria che vedono sempre più giovani andare via e magari poi non tornare più, se non in età da buen retiro. Quanto è grande, Giulia, questo problema? Possiamo, tragicamente, parlare di una “generazione perduta”?
Noi cervelli in fuga -ed io mi includo tra questi- che abbiamo deciso di andare via non siamo semplicemente “300mila euro di spesa pubblica andati in fumo”, come certa retorica politica ripete inconsapevolmente, nel migliore dei casi.
Siamo delle persone, delle storie, siamo anche dei desideri, delle ambizioni, e questo ogni tanto la politica se lo dimentica, e ci tratta come delle “Gioconde da riportare a casa”: noi non siamo questo.
Proprio la fuga dei cervelli ed il loro mancato rientro in Italia sono solo alcuni dei temi che affronto in “EXIT ONLY” e li affronto guardando ai dati, alle statistiche, all’evoluzione di questo fenomeno negli anni, ma soprattutto paragonando la situazione italiana a quella internazionale.
E cosa emerge dal confronto con Germania, Francia, Spagna, con l’Europa nel suo complesso, che oggi è il primo vero scenario di riferimento e paragone?
Quando si guarda agli altri Paesi europei ci si rende conto che non siamo di certo da soli: l’Italia è solo uno dei grandi Paesi europei che sono soggetti al fenomeno della emigrazione di talenti, di persone qualificate, ma ci sono tre grosse differenze rispetto ai nostri partner europei.
La prima è che gli italiani non tornano: mentre gli altri Paesi sono in un’ottica di circolazione dei talenti, la strada dei nostri giovani è invece completamente unidirezionale, e rarissimi sono i casi di coloro che tornano.
La seconda differenza è che il numero di questi emigrati qualificati sta crescendo in misura maggiormente elevata, diciamo dalla crisi dell’euro (2010-11) a questa parte, di quanto non fosse la tendenza prima, quindi rischiamo di sorpassare i nostri partner europei rapidamente.
Negli ultimi 10 anni la percentuale dei giovani emigrati rispetto alla popolazione è cresciuta in maniera esponenziale, cioè la curva della emigrazione dei cervelli è più ripida degli altri paesi europei. Ad aggravandum, non abbiamo aumentato la percentuale dei laureati, siamo stagnanti, mentre gli altri Paesi, pur aumentando la fuga dei cervelli, di pari passo hanno aumentano i laureati.
Ed infine il problema principale: noi, come sistema Paese Italia, non attraiamo cervelli stranieri né tantomeno siamo capaci di far rientrare i nostri.
Ecco perché fuga cervelli è più emergenziale in Italia che altrove, ecco perché scriverci sopra un libro, girare per le città a parlarne ed alimentare il dibattito pubblico ha importanza e significato.
Si parla di “fuga dei cervelli”, è ormai la locuzione che usiamo tutti. La soluzione può allora essere quella di trattennerli, questi cervelli, e farli maturare qui, in Italia, nelle nostre Città?
Questa è proprio la reazione tipica dei politici: “tratteniamoli, facciamoli restare!”. Certo, trattenere è una maniera, ma bisogna stare attenti: limitare l’emigrazione è tanto illiberale quanto limitare l’immigrazione. Sono in vigore oggi in altri Paesi europei politiche di dissuasione alla fuga anche “cattive”, come quella di tassare i cervelli che escono in modo da “punirli” per aver abbandonato la propria patria. Ve ne sono, fortunatamente, anche di -secondo me- ben più lungimiranti, che per esempio consistono nel permettere agli accademici che sono andati all’estero di tornare a fare un periodo in patria per diffondere le proprie conoscenze e poi tornare di nuovo all’estero, attivando sì una circolazione dei cervelli in ambito internazionale europeo. Mi convincono maggiormente queste politiche perché se da una parte bisogna cercare certamente di migliorare le condizioni che hanno fatto partire i giovani, dall’altra bisogna pensare veramente in un’ottica di circolo dei talenti europei.
Quali indirizzi dovrebbero quindi seguire le Politiche Pubbliche nella lotta al fenomeno dei “cervelli in fuga”?
Nel mio libro propongo tre orizzonti di azione. Primo: coltivare i nostri giovani, che spesso sono sottopagati e sottovalutati. Secondo: abilitarli a trovare il lavoro, il percorso di studi che più li aggrada, così che non siano obbligati ad andare fuori dall’Italia per cercare le proprie opportunità: trattenerli, sì, ma mettendoli in condizioni di esprimere il meglio di loro stessi qui. E terzo attrarre talenti stranieri, che al momento non arrivano: perché il mondo dell’università è ancora troppo provinciale e perché il mondo del lavoro non è aperto. Tutto ciò va cambiato, altrimenti questo consistente problema non si risolverà mai. E voglio essere chiara: la soluzione non è il bonus per il rientro cervelli, che lascia il tempo che trova ed è limitato, perché tanto poi le persone scappano di nuovo fuori quando non hanno più incentivi fiscali.
Dati, statistiche, confronti tra i nostri e quelli di altri Paesi, e poi proposte e soluzioni ali problemi. Bene. Ma quindi il tuo libro è solo un tomo per studiosi?
Proprio no. Il libro è nato per sfatare dei miti, ma sfatarli in maniera seria, e certo! È un libro che ha un approccio quasi accademico, sì. Ma lo ho voluto coscientemente inframmezzato da tutta una serie di storie di donne e uomini giovani, in fuga (come me) che ho raccolto, facendo semplicemente un appello sui social media [Giulia Pastorella ha più di 14mila followers su Instagram e 13,8 mila likes su Facebook: una vera influencer, non è cosa da tutti i politici, anzi è una lodevole eccezione rispetto a chi si nasconde nella propria torre eburnea], e mi sono arrivate più di 150 risposte: ringrazio davvero tutti coloro che mi hanno risposto, ed io ho incluso alcune delle storie vere di questi ragazze e ragazzi, a supporto e conferma della parte teorica e accademica del libro.
Insomma, questi giovani ci fanno proprio disperare, eh? Già da tempo l’Italia è in crisi, economica almeno. E poi così tanti giovani appena ne hanno l’occasione scappano via
I cervelli in fuga sono il sintomo e non la causa del declino del paese, contrariamente a quello che tanti dicono. Le mie sono quindi proposte di soluzioni, radicali pragmatiche e sistemiche, per affrontare quelli che sono i motivi per cui i cervelli sono andati via. Sono il problema della poca valorizzazione della laurea, o degli stipendi bassi, o della occupazione femminile e del welfare state che (non) vi sta attorno, ancora, sono il problema dei pochi fondi dati alla ricerca, e della non meritocrazia accademica, o della poca internazionalizzazione dell’industria e dell’accademia. Nel libro illustro maniere puntuali, dalla riforma dei tirocini al rivedere i concorsi pubblici… non dirci troppo! Prendiamo il libro! …e qualche suggerimento per fare qualcosa di vero ed efficace per questo problema.
Martedì 25 gennaio a Genova, non è né la prima né l’ultima presentazione del tuo libro
Assolutamente no! Lo sto presentando in giro per l’Italia, sono stata già a Trento, a Rovereto, certamente a Milano col Sindaco Sala, e girando ho incontrato anche in platee non di soli giovani, ma di chiunque si occupi del tema, dai genitori dei giovani a chi ha più sguardo prospettico verso il domani del Paese. Lo ho anche presentato a Roma alla Camera dei Deputati ospite e in compagnia dei Deputati eletti all’Estero, che ben conoscono questo problema anche se il peso degli eletti come il peso delle cittadine e dei cittadini rappresentati da costoro è del tutto sproporzionato in diminuzione e danno dei rappresentati.
In linea generale chi va a fare esperienza all’estero, poi politicamente si posiziona in maniera più progressista, liberale, europeista, e quindi va a costituire tutta una fetta di popolazione che diviene sottorappresentata perché come sapete bene le elezioni dei parlamentari della circoscrizione Estero hanno consticensies [basi elettorali, cioè proporzione tra votanti e rappresentante eletto] molto più larghe di quelle dei parlamentari eletti in Italia, e questo crea quindi una potenziale classe dirigente, vicina alle mie sensibilità, che però non è fisicamente in patria né viene adeguatamente rappresentata. Questo interessante fenomeno va tenuto sott’occhio perché può avere ripercussioni importanti.
A te, Giulia, Consigliera Comunale a Milano, non si può non chiedere quindi cosa possa fare anche la Città, il Comune per rispondere, per quanto di sua competenza, al problema dei “cervelli in fuga”. Genova non è certo Milano, e talvolta scherzando qui ai giovani che vanno a studiare a Milano si dice che facciano “l’Erasmus a Milano”…
Ho già sentito questa simpatica e, immagino per i genovesi, amara espressione.
Che cosa può fare una città per non far partire i giovani e attrarre talenti? Milano è una città messa molto bene, per il suo ecosistema universitario, per la presenza di industrie e società italiane e internazionali.
Di questo abbiamo già parlato con il Sindaco Sala: una Città, un Comune, ha le mani legate dai vincoli di bilancio del budget. Ma ha la possibilità di fare la differenza se sa essere una realtà attrattiva, aperta e internazionale, se è capace di offrire possibilità di alloggio adatte a giovani, perché gli alloggi e la vita sono troppo cari sono certamente un problema di Milano… …ma anche di Genova! …questo è certamente una delle prime cose che i ragazzi chiedono quando si parla dei motivi per restare: condizioni di vita affordable [sostenibili, abbordabili], e anche tutta la questione dell’investimento su università e ricerca, perché in una città che attira e forma bene, i giovani potrebbero essere ben interessati a restare, a integrarsi nel tessuto imprenditoriale del territorio. Invece molto spesso succede che c’è un missmatch [mancata corrispondenza], tra preparazione universitaria o tecnica e la realtà là fuori, quella vera del territorio, ed allora è ovvio che si vada altrove a cercare opportunità.
Da ultimo, siccome i giovani sono molto attenti alla sostenibilità: ovviamente più le città vanno in questa direzione, verso la “città dei 15 minuti” come paradigma, più queste risulteranno piacevoli, gradevoli, apprezzate, vivibili e in linea coi principi a cui oggigiorno i giovani tengono davvero.
Per avere più contezza delle proposte e dei suggerimenti concreti per svecchiare la nostra Città di Genova e provare -se non a trattenere, almeno- a far tornare i cervelli zeneizi in fuga – oltre che sentire o mâ e veder i mae monti-, pare proprio utile almeno sfogliare il libro di Giulia Pastorella, “EXIT ONLY – Cosa sbaglia l’Italia sui cervelli in fuga”. Appuntamento oggi, martedì 25 gennaio alle ore 18:15, alla Società di Letture e Conversazioni Scientifiche
Edoardo Marangoni
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta