Grondacci: “Questione rilevante anche per la procedura in corso di autorizzazione per il cimitero di Staglieno”
La Spezia – Con una sentenza recentissima, del 3 gennaio 2022, il Consiglio di Stato è intervenuto sul monitoraggio e la limitazione delle emissioni dei forni crematori a tutela della salute pubblica.
Una questione rilevante anche in relazione alla procedura in corso di autorizzazione del nuovo forno crematorio previsto a Genova, nel cimitero di Staglieno, per cui il 25 gennaio scorso la Giunta Bucci ha firmato l’approvazione del Progetto di fattibilità tecnica ed economica.
Lo spiega sul suo blog Marco Grondacci, giurista ambientale che contattiamo spesso per schiarirci le idee sui vari cavilli del diritto dell’ambiente.
Il quadro nazionale
“La normativa nazionale che disciplina i forni crematori sotto il profilo della tutela dell’ambiente e della salute pubblica risale al 1934”, spiega il giurista aggiungendo che “all’articolo 338 relativo alle distanze dei cimiteri, e quindi anche dei crematoi, dalle zone residenziali afferma che i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato”.
“Queste sono norme di cautela per cui nel caso specifico del forno crematorio occorre che le distanze, in sede di autorizzazione, vadano valutate in base alle eventuali criticità ambientali e sanitarie della zona interessata dalle future emissioni del forno.
Non casualmente lo stesso articolo 338 nel secondo comma stabilisce che per prevedere distanze minori dei 200 metri occorre che risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti”.
A confermare questo legame con il territorio interferito, prosegue Grondacci, “ci pensa il DPR 285/1990 sul regolamento di polizia mortuaria. L’articolo 78 di questo DPR stabilisce che il progetto di costruzione di un crematorio deve essere corredato da una relazione che illustri le caratteristiche ambientali del sito, le caratteristiche tecnico-sanitarie dell’impianto e i sistemi di tutela dell’aria dagli inquinamenti sulla base delle norme vigenti in materia”.
In questa direzione anche l’articolo 6 della legge 130/2001 sulla programmazione regionale, costruzione e gestione dei crematori che ricorda l’esperto, dispone che “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Regioni elaborano piani regionali di coordinamento per la realizzazione dei crematori da parte dei comuni, anche in associazione tra essi, tenendo conto della popolazione residente, dell’indice di mortalità e dei dati statistici sulla scelta crematoria da parte dei cittadini di ciascun territorio comunale, prevedendo, di norma, la realizzazione di almeno un crematorio per regione”.
Decreto ministeriale fantasma
“Le emissioni dei crematori sono regolamentate dall’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) e sono soggette alle prescrizioni in materia di emissioni gassose in atmosfera”, scrive il giurista che poi sottolinea che “per la fissazione dei limiti di emissione di inquinanti devono essere considerate le migliori tecnologie disponibili, anche al fine di rispettare i valori e gli obiettivi di qualità dell’aria. Nello studio impiantistico della tecnologia di depurazione dei fumi, vengono di solito prese come riferimento le migliori tecnologie disponibili dei termovalorizzatori, anche se la discontinuità del processo di cremazione rende questi forni diversi dai termovalorizzatori.
Il problema vero, però, è che non è mai stato emanato il Decreto Interministeriale che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge 130/2001, avrebbe dovuto definire le norme tecniche per la realizzazione dei crematori, relativamente ai limiti di emissione, agli impianti e agli ambienti tecnologici, nonché ai materiali per la costruzione delle bare per la cremazione”.
La sentenza del Consiglio di Stato
Di fronte a questo quadro normativo piuttosto lacunoso, la sentenza del Consiglio di Stato assume un significato applicativo molto importante rispetto ai singoli casi di progetti di forno crematorio esistenti o in autorizzazione. Il perchè lo chiarisce Grondacci: “Perché la sentenza affronta due temi decisivi per questa tipologia di impianti. Da una parte il ruolo del Sindaco come autorità sanitaria, ai sensi del Testo Unico Leggi Sanitarie, nella procedura di autorizzazione dei forni crematori. Dall’altra il come colmare le lacune della legge nazionale sulla tutela preventiva della salute pubblica dalle emissioni di questi impianti”.
L’autorizzazione e le prescrizioni ambientali e sanitarie impugnate
Spiega l’esperto: “Il caso trattato nella sentenza parte da un’autorizzazione rilasciata al forno crematorio di Civitavecchia. L’AUA della Città Metropolitana di Roma prevedeva prescrizioni proposte con un parere sanitario del Sindaco ai sensi del testo unico sulle leggi sanitarie. Prescrizioni che riguardavano non solo monitoraggi e limiti di emissioni, ma anche un tetto al numero delle cremazioni.
In particolare il Comune aveva prodotto, a supporto del Parere del Sindaco, una relazione tecnica da cui risultava che l’aumento del numero delle cremazioni avrebbe prodotto conseguenze apprezzabili sull’inquinamento ambientale per cui limitare il numero sarebbe stato un punto di equilibrio fra la tutela dell’ambiente e la necessità di assicurare la redditività dell’impianto”.
Le contestazioni della ditta che voleva realizzare il forno crematorio
A questo punto l’azienda proponente aveva fatto ricorso al TAR e poi, vedendoselo respingere, al Consiglio di Stato. I motivi avanzati dal proponente erano due, ricorda il giurista: “Il Sindaco non avrebbe competenza alcuna ad esprimere un parere sanitario sulla realizzazione del forno crematorio; le prescrizioni imposte nell’AUA erano esagerate e quindi non rispettose del diritto di impresa”.
Il Consiglio di Stato respinge l’appello
Il Consiglio di Stato ha dichiarato infondato il primo motivo, relativo alla supposta non competenza del Sindaco ad esprimere un parere con richiesta di prescrizione sanitarie perchè il T.U. del 1934 stabilisce “che chiunque intenda attivare un’industria insalubre di prima o di seconda classe, così come definita nell’elenco allegato alla legge, ne debba dare preventivo avviso al Sindaco, il quale nell’interesse della salute pubblica può vietare l’attivazione stessa ovvero subordinarla a determinate cautele”, fa notare Grondacci.
In più la norma “prevede che il Sindaco prescriva le norme da applicare per prevenire o impedire il danno o il pericolo che possa derivare da vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche. In questo caso, il Sindaco ha ritenuto che l’impianto in questione fosse assimilabile agli inceneritori e gli inceneritori sono industrie insalubri di prima classe”.
Non solo.
Visto il vuoto normativo lasciato dal decreto ministeriale fantasma, “il Sindaco ha ritenuto di colmare la lacuna esercitando la propria competenza ai sensi del Testo Unico del 1934”.
Sul secondo motivo, cioè il fatto che le prescrizioni fossero esagerate, il Consiglio di Stato lo dichiara infondato con la seguente motivazione: “La ricorrente appellante, in primo luogo, non ha contestato l’affermazione in fatto contenuta nel parere del Sindaco, per cui la zona di Civitavecchia è inserita in un contesto pesantemente gravato da numerosi e rilevanti fattori di pressione ambientale che hanno determinato uno stato di sofferenza sanitaria della popolazione, come risulta da uno studio delle autorità sanitarie regionali, puntualmente citato. In un contesto del genere, limitare l’impianto al volume di attività indicato dallo stesso gestore e imporre un monitoraggio appaiono misure assolutamente non sproporzionate, dato che non sacrificano l’attività del privato e intendono soltanto dare all’autorità lo strumento per conoscere se essa produca o no effetti pericolosi, il che è il minimo necessario per qualsiasi ulteriore misura”.
Quali ripercussioni sul progetto di Staglieno?
“La procedura di autorizzazione di questo progetto attualmente in corso si inserisce in un quadro di lacune non solo nella normativa nazionale ma anche della normativa regionale”, focalizza Grondacci aggiungendo che in Liguria “non esistono criteri precisi di localizzazione di questi impianti come in altre Regioni. Nè criteri di efficienza riguardo al numero delle cremazioni, né criteri tecnologici che stabiliscano l’obbligo di utilizzare le migliori tecnologie disponibili per l’abbattimento delle emissioni in atmosfera, né quantitativi in base al bacino dei residenti, né territoriali che tengano conto che la realizzazione di un crematorio non ammessa in ambito urbano, né energetici rispetto al divieto dell’uso del gas metano”.
Il progetto presentato per Staglieno, dunque, rinvia al piano regionale della qualità dell’aria.
E dove sta il problema?
“Intanto dobbiamo precisare che il riferimento al piano regionale di qualità dell’aria non è sufficiente, non solo perché mancano tutti i criteri che abbiamo appena detto, ma anche perché sulla microscala (perimetro esterno alla zona dove verrà realizzato il forno crematorio) ci possono essere effetti significativi in termini di concentrazioni nella qualità dell’aria non valutati minimamente”. E infatti “lo Studio di Prefattibilità Ambientale del progetto non tratta minimamente questo aspetto e in più il piano ligure della qualità dell’aria non dice nulla dei forni crematori”, sottolinea l’esperto che poi fa l’esempio della regione Toscana dove le prescrizioni per questo tipo di impianti riguardano anche “il tipo di legno dei feretri, il fatto che non debbano essere incenerite parti in metallo né tessuti sintetici, ad esempio”.
Ma cosa si produce in un forno crematorio?
A questo punto l’esperto fa l’elenco dei rifiuti che si producono in un forno crematorio: “Soprattutto polveri, fanghi, filtri, reagenti, rifiuti derivanti dalla depurazione dei fumi, e materie solide. Alcuni sono ritenuti rifiuti pericolosi. I fumi, ad esempio, possono contenere mercurio”, eppure “non esiste alcuna norma regionale che fissi prescrizioni per la gestione dei rifiuti prodotti dal forno crematorio”.
Carenze e contraddizioni del progetto per Staglieno
Sul progetto per Staglieno si è espressa la Direzione Ambiente di Città Metropolitana che ha parlato di “presenza di un polverizzatore per le ceneri derivanti dalle cremazioni, per il quale non sono fornite indicazioni sulle eventuali emissioni da esso derivanti. Sebbene possano apparentemente risultare non rilevanti ai fini dell’ambiente sarebbe pertanto opportuno che venissero fornite maggiori specifiche in proposito”.
E ancora: “Si rileva infine che l’impianto andrebbe a inserirsi in un’area già oggetto di esposti e segnalazioni. Per quanto riguarda l’eventuale aggravio ambientale derivante dalla realizzazione di un nuovo impianto di cremazione nell’area di Staglieno si rimanda alle valutazioni di competenza di Regione Liguria, nell’ambito del piano regionale di tutela della qualità dell’aria”.
Anche la ASL scrive: “Nella relazione si sono considerati unicamente gli insediamenti industriali limitrofi ma non le civili abitazioni poste sul versante ovest opposto pur se queste siano ad una distanza non superiore ai 500 metri dal sito”.
Entrambe dunque confermano “uno dei limiti fondamentali di questo progetto, e cioè la non adeguata valutazione del rischio sulla salute pubblica per cui si afferma sia da parte di ASL, che da parte del settore Tutela Ambientale della Città Metropolitana, l’esistenza non solo di residenze civili molto vicine al sito ma con già problematiche in atto.
In conclusione?
In realtà, come confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, siccome i forni crematori sono considerati industrie insalubri di prima classe occorrerebbe anche qui a Genova, come a Civitavecchia, un parere del Sindaco sulla rilevanza sanitaria delle emissioni dell’impianto, sullo stato sanitario della popolazione interessata, sul contesto urbanistico interessato dall’impianto, e sui rischi di incidenti rilevanti dall’impianto con fuoriuscite anomale di emissioni inquinanti.
In mancanza del parere del Sindaco, conclude Grondacci, “il progetto presentato andrebbe archiviato in attesa che si stabilisca una moratoria regionale sui nuovi forni crematori fino all’approvazione delle norme nazionali o di specifiche norme regionali che stabiliscano programmazione, dimensioni e localizzazioni, norme tecniche di gestione, limiti di emissione e modalità di monitoraggio degli inquinanti”.
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