Traffico illecito di rifiuti: pannelli solari da rottamare venduti a Paesi in via di sviluppo come funzionanti

Scoperta dai Carabinieri del Noe una frode ben strutturata che coinvolge 14 società, tutte italiane

Perugia – Nell’ambito di un’indagine coordinata dalla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Bologna, i carabinieri del nucleo operativo ecologico di Perugia hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso nei confronti di 30 persone e 14 società ritenute responsabili a vario titolo di aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, principalmente attraverso false dichiarazioni, certificazioni e fatturazioni.
Il provvedimento nasce da un filone di un’indagine intrapresa, a partire dal 2017, nei confronti di una società con sede a Gualdo Tadino (Perugia) e relativa a un traffico illecito di Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) derivanti in particolare da pannelli solari.

L’indagine

L’indagine aveva già portato all’emissione di sette provvedimenti di custodia cautelare nel 2020, dopodiché erano stati avviati gli accertamenti per alcuni reati commessi in Emilia Romagna. Le investigazioni eseguite dai carabinieri nell’ambito dell’operazione denominata “Black sun” sono risultate determinanti – spiega una nota dell’Arma – per accertare l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata all’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, anche transnazionale, all’auto-riciclaggio, alla falsificazione materiale e ideologica di documentazione. I sodalizi sono risultati operativi dal Nord al Sud del territorio nazionale, isole comprese, avendo però come organizzatori, promotori e attori principali figure presenti nella provincia di Parma.

Da rifiuto a miniera d’oro

Gli indagati ritiravano partite di pannelli fotovoltaici dismessi, dichiarati come rifiuti per il solo tempo necessario a coprire il tragitto tra il luogo in cui venivano prelevati e l’impianto di trattamento.
Una volta ricevuti i manufatti dagli stabilimenti, le aziende producevano delle dichiarazioni false che attestavano la loro distruzione ed il contestuale recupero di materia (metalli vari, silicio, vetro, plastiche nobili e altre materie riutilizzabili), consegnando tale documentazione ai produttori originari del rifiuto che, del tutto ignari di ciò che accadeva una volta dismessi i vecchi pannelli, potevano “chiudere il cerchio” riscuotendo il relativo incentivo dal Gse, il Gestore dei servizi energetici.
Per contro, l’escamotage scoperto dai militari del Noe prevedeva la redazione, da parte di altri associati, di false certificazioni attestanti che i pannelli, nel frattempo muniti di etichette false appositamente create, fossero apparecchiature elettriche ed elettroniche tecnologicamente sorpassate ma regolarmente funzionanti, per aggirare il rigido sistema di controllo.

Triplice guadagno per l’organizzazione

Questo sistema assicurava all’organizzazione un triplice guadagno, costituito sia dalle cospicue somme per il ritiro dei rifiuti dai produttori, che dalla successiva elusione dei costi che avrebbero dovuto normalmente sostenere per il loro trattamento, che dalla rivendita finale dei pannelli fotovoltaici come apparecchiature elettriche usate ai Paesi in via di sviluppo. Alcuni degli indagati sono infine accusati di aver impiegato, nelle rispettive attività imprenditoriali, gli ingenti profitti derivanti dall’illecita attivita’ organizzata.

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