In primo grado i due americani erano stati condannati all’ergastolo
Roma – Il 26 luglio 2019, il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega era in servizio insieme ad Andrea Varriale, entrambi in borghese, nel quartiere Prati di Roma. I due Carabinieri dovevano risolvere una questione di spaccio in cui erano coinvolti due cittadini statunitensi, Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth, che, in cerca di cocaina erano stati truffati dagli spacciatori che gli avevano consegnato semplice paracetamolo.
I due cittadini statunitensi avevano organizzato quello che in gergo si chiama “cavallo di ritorno”, organizzando un appuntamento con un intermediario dei pusher in modo da riavere indietro i soldi ma anche gli stupefacenti. All’incontro però si presentarono Cerciello e Varriale.
La dichiarazione di Varriale, nel corso dell’udienza del febbraio del 2020 fu: “Quando abbiamo visto i due americani abbiamo attraversato la strada e gli siamo andati incontro. Ci siamo avvicinati e abbiamo tirato fuori il tesserino e ci siamo qualificati come ‘carabinieri’. Eravamo a circa 3-4 metri. Poi abbiamo riposto i tesserini e ci siamo avvicinati”.
La versione di Andrea Varriale
Secondo la versione di Varriale, i due militari andarono all’appuntamento disarmati perchè avevano ritenuto l’intervento di poco conto. La deposizione dei due americani fu completamente divergente perchè Elder, l’esecutore materiale dell’omicidio di Cercello con 11 coltellate, dichiarò di essere stato aggredito senza che i due carabinieri si qualificassero e che le coltellate state inferte per difendersi i due uomini “si sono girati e si sono avventati su di noi senza dire una parola, senza qualificarsi. L’uomo più grande, era una montagna, mi ha buttato per terra e ha messo tutto il suo peso su di me. Ho provato panico e ho pensato volesse uccidermi. Quando ho sentito le sue mani sul collo istintivamente ho preso il coltello e l’ho colpito per togliermelo di dosso. Non pensavo a nulla ero solo terrorizzato. È durato tutto pochi secondi”.
Omicidio per l’accusa, legittima difesa per gli avvocati dei due americani
Per Elder e Natale, condannati in primo grado, era stato chiesto l’ergastolo, perché “non c’è stata premeditazione ma hanno portato un coltello da guerra all’appuntamento, hanno effettuato dei sopralluoghi per controllare la situazione, nei momenti cruciali hanno indossato i cappucci, hanno agito in simultanea, attaccando entrambi i due carabinieri, Cerciello e Andrea Varriale, nascondendo poi l’arma“. Così dichiarò l’avvocato della famiglia di Cerciello
I legali dei due americani, e nello specifico l’avvocato Roberto Capra, nella sua arringa affermò che “sulla versione data dal collega di Cerciello, Andrea Varriale, ci sono molte incongruenze, a partire dal fatto che i carabinieri, in borghese, non hanno mostrato i tesserini. Elder inoltre si è ritrovato a terra con Cerciello che era sopra di lui, in una posizione maggiormente aggressiva”.
La sentenza di appello
Oggi è stata letta la sentenza, le motivazioni arriveranno tra qualche mese, che condanna, per l’omicidio di Cerciello, i due americani rispettivamente 24 anni Finnegan Lee Elder e a 22 anni Christian Gabriel Natale Hjorth.
Nelle parole del difensore di Hjorth , Francesco Petrelli, che sperava in una assoluzione invece delle attenuanti generiche, la delusione per questa decisione della Corte di Assise: “I giudici hanno concesso le attenuanti generiche, ma non nascondo una grande delusione perché avevamo sicuramente dimostrato l’estraneità di Gabriel in questo omicidio, che non ha visto e non era prevedibile. In una situazione come questa ci aspettavamo venisse riconosciuta l’innocenza dell’imputato”.
Meno conciliante l’avvocato difensore di Finnegan Lee Elder, Renato Borzone, che ha dichiarato: “Che schifo. La sentenza è un compromesso per cercare di salvare un mentitore ma noi contiamo sempre sull’esistenza di un giudice a Berlino e a Strasburgo. Quello che è successo è indegno. Restano le bugie del testimone principale. Mi riferisco alle 53 bugie di Varriale”.
Dopo la sentenza la moglie del Carabiniere ucciso, Rosa Maria Esilio, ha dichiarato: “Il dovere della memoria non e’ solo di noi familiari, ma di tutti. Il sacrificio di mio marito non deve essere dimenticato: un servitore dello Stato ucciso nel momento più felice della sua vita.
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