La madre di Giuseppe Tusa, morto nella tragedia del 2013, non si dà pace: la Procura generale ha chiesto uno sconto di pena per Angrisano e l’assoluzione per Capocaccia
Genova – Suo figlio, Giuseppe Tusa, è uno degli uomini che hanno perso la vita inghiottiti dalle macerie della Torre piloti, urtata e abbattuta da una motonave, la Jolly nero della società di navigazione Ignazio Messina, in manovra di uscita dal porto di Genova.
Erano le 23:05 del 7 maggio 2013 e da allora Adele non ha mai smesso di cercare giustizia.
Il processo bis sulla collocazione della torre in un luogo non idoneo
È solo grazie alla tenacia di Adele che il processo è andato avanti con questo nuovo filone di indagine sul progetto della torre e sulla posizione in cui fu costruita la struttura. Sua, infatti, la spinta che ha convinto il gup a disporre il rinvio a giudizio degli imputati nonostante in un primo tempo la Procura volesse archiviare l’indagine.
E dopo una prima sentenza del Tribunale di Genova che, nel settembre 2020, ha stabilito sette condanne e cinque assoluzioni, in queste settimane si torna in aula in cerca di risposte con il processo di appello che, alle sue prime battute, non sembra però promettere bene.
“Andiamo male”, spiega Adele che ci incontra durante la proiezione del docufilm sulla strage di Viareggio “Il sole sulla pelle”, organizzata dal comitato La parte che c’è per sabato pomeriggio al Club Amici del cinema di via Rolando, a Sampierdarena.
“Per alcuni reati è già scattata la prescrizione, come per Viareggio. Siamo sempre lì, i processi non si concludono mai”, dice chiarendo che ormai il reato di “omicidio colposo per i progettisti, gli ingegneri, il committente della torre, e l’autorizzazione rilasciata dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, è già alla prescrizione”.
Si arrabbia Adele che poi si sfoga: “La cosa che mi impensierisce di più è che il capo di imputazione per il crollo della torre non è andato estinto mentre l’omicidio sì. Quindi la vita degli uomini va in prescrizione e quella di un oggetto no“.
Vinto il primo round, dunque, le cose si stanno complicando. Complice anche la pandemia e “un processo che ha bisogno di tempo per le indagini e gli approfondimenti tecnici dei consulenti, che fanno perdere molto tempo” e avvicinare lo spettro della prescrizione, commenta Adele aggiungendo che la impensieriscono due fatti gravi e cioè che “il Procuratore generale abbia chiesto uno sconto di pena per Felicio Angrisano, l’ex comandante della Capitaneria di porto, e l’assoluzione per per il committente della torre, Fabio Capocaccia“.
Capocaccia, all’epoca dei fatti, era commissario del Consorzio Autonomo del Porto. In seguito divenne commissario straordinario nel periodo di transizione che portò alla costituzione dell’Autorità Portuale. Un pezzo grosso dunque,
“una persona che ha firmato e che ha autorizzato la costruzione di quella palafitta dentro l’acqua che ha portato alla morte di 9 persone” denuncia Adele che poi conclude: “Perché se è vero che la nave ha commesso i suoi reati, non c’è ombra di dubbiose se la torre non fosse stata costruita lì, la nave sarebbe andata a sbattere su un molo, su una banchina e oggi non avrebbe non avremmo sicuramente mio figlio morto sotto terra a trent’anni”.
st
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.