Viktor Orban, l’uomo del filo spinato, dopo 12 anni potrebbe sentire per la prima volta un brivido di suspense
L’Ungheria va al voto, questa domenica, con 199 deputati da mandare in Parlamento e 9,7 milioni ungheresi chiamati ai seggi. In palio ci sono il futuro dell’uomo che dal 2010 si considera tutt’uno con il Paese che guida, e con esso un bel pezzo degli equilibri geopolitici europei.
Lo sfidante Peter Marki-Zay: riportare il Paese su “una via europea”
Il fragore delle bombe che cadono su Kharkiv e Mariupol potrebbero rimodellare i rapporti di Budapest all’interno dell’Ue. Anche per questo nei palazzi di potere delle maggiori capitali europee in queste ore passano di mano in mano i sondaggi in arrivo dall’Ungheria, con il partito di Orban, Fidesz, che segna solo un leggero vantaggio nei confronti dell’alleanza che sostiene lo sfidante Peter Marki-Zay, un conservatore che vuole mettere fine al “potere antidemocratico” di Orban per riportare il Paese su “una via europea”.
Chi è Viktor Orban, l’uomo del filo spinato
Orban è il capo di governo più longevo di tutta l’Unione europea. Presidente del partito nazional-populista Fidesz, con alle spalle un primo mandato di premier già dal 1998 al 2002, la storia di Orban è divisa in due. Nel fatidico 1989, da studente ventiseienne è in prima linea a chiedere elezioni libere e il ritiro dell’esercito sovietico dall’Ungheria.
Neanche dieci anni dopo l’ex dissidente vince le elezioni e diventa premier a 35 anni. Sconfitto alle urne 4 anni dopo, nei suoi otto anni all’opposizione Orban inizia il suo viaggio verso posizioni ultra-conservatrici sempre più marcate. Nel 2010 sfida e batte i socialisti scacciandoli dal governo, poi ai passaggi elettorali successivi – nel 2014 e nel 2018 – grazie anche a una riforma elettorale fatta su misura di Fidesz, almeno così dicono i suoi oppositori, riesce a guadagnarsi la maggioranza dei due terzi ponendosi con sempre maggiore vigore come “difensore di un’Europa cristiana” e guardiano dei confini a fronte delle orde di migranti.
È lui il fautore dei muri di filo spinato lungo le frontiere con la Serbia e la Croazia, quei muri ammirati nel 2019 dall’allora vicepremier Matteo Salvini.
… E delle leggi anti-Lgbtq
Come sui temi del controllo dell’esecutivo sulla giustizia o con le leggi considerate anti-Lgbtq, gli strappi dell’Ungheria nei confronti dell’Unione europea, comprese le reciproche polemiche, si sono fatti di anno in anno più profondi. In politica estera le scelte di Orban, fino all’invasione dell’Ucraina, si sono diventate sempre più nette: quella di Bruxelles e Strasburgo è stata definita una “élite tecnocratica”, mentre si sono intensificati i rapporti non solo con Vladimir Putin, ma anche con Pechino, con l’allora presidente americano Donald Trump, con il capo di Stato brasiliano Jair Bolsonaro.
Marki-Zay: un outsider in folgorante ascesa
È un outsider in folgorante ascesa, Marki-Zay, che si mostra sicuro di sé: “Non ho mai vinto un sondaggio, ma non ho mai perso un’elezione”, ripete ad ogni comizio. Mentre il premier in carica sembra costretto a reinventare la sua immagine internazionale a causa dell’Ucraina, con la vicinanza a Putin oggi più difficile da gestire nei confronti dei suoi alleati a Varsavia e nel resto del blocco conservatore dell’est europeo.
Cattolico praticante, padre di sette figli ed eletto nel 2018 sindaco della cittadina di Hodmezovasarhely – fino a quel momento considerata una roccaforte di Fidesz – è riuscito a sgominare gli avversari anche alle primarie dello scorso ottobre per nominare il candidato unico delle opposizioni. Lui si definisce un “politico atipico”. 49 anni, economista e ingegnere, ha lavorato alcuni anni negli Usa, in Canada e in Francia, ed un tempo fu un sostenitore entusiasta di Orban, salvo attaccarlo dopo il 2010 accusandolo di voler trasformare l’Ungheria in un “regime autoritario”.
Botta e risposta
Al motto di “né a destra, né a sinistra, ma in alto”, Marki-Zay punta ad un corso più europeista e attacca con forza l’attuale premier sulla sua posizione “ambigua” tenuta in merito all’attacco della Russia all’Ucraina, definendolo “l’ultimo alleato di Putin nell’Ue e nella Nato”: è vero che Budapest ha votato a favore delle sanzioni contro Mosca e ha accolto almeno 500 mila profughi ucraini, ma oppone un secco ‘njet’ alla richiesta di inviare armi e si oppone con forza a un eventuale embargo energetico. “Dobbiamo rimanere fuori dal conflitto ucraino”, sono gli ultimi toni da pacifista del leader in carica.
Orban non manca di rispondere a tono agli attacchi, a cominciare dai manifesti con la scritta “pericoloso” che campeggia in caratteri bianchi sul ritratto dell’avversario. L’accusa rivolta a Marki-Zay è che vorrebbe spedire soldati ungheresi a morire in Ucraina. Lo sfidante ribatte che la sua linea è quella della Nato, che consiste nel non partecipare alla guerra ma di sostenere attivamente il governo di Volodymyr Zelensky contro l’invasione russa.
A vigilare sulle elezioni ungheresi ci pensa l’OCSE
Al netto delle mobilitazioni dell’ultimo minuto, la sfida è aperta. Difficile sbilanciarsi su come andrà a finire la battaglia elettorale anche se per la prima volta dopo dodici anni l’opposizione ha un candidato unitario per sfidare il premier magiaro deciso a conquistare il quarto mandato.
Varie organizzazioni per i diritti civili ventilano della possibilità di brogli, tanto che oltre ai 200 osservatori dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, a vigilare sulle urne ungheresi ci saranno anche 200 mila volontari.
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