Il gap generazionale con i vecchi uomini d’onore scarcerati potrebbe anche scatenare una nuova guerra di mafia
Cosa nostra continua a soffrire di una “crisi di leadership” che “sembra non potersi risolvere a causa dei continui contraccolpi subiti dalla persistente azione di contrasto giudiziario degli ultimi anni”.
È quanto si legge nell’ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia che precisa: “Gli organi collegiali di governo di Cosa nostra sembrano accusare i contraccolpi di un’azione statale che negli anni non ha dato tregua a famiglie e mandamenti mafiosi”.
L’assenza di operatività della struttura di vertice sta determinando all’interno di province e mandamenti “la tendenza a ricorrere a un modello di gestione di tipo orizzontale”, che però non va a genio ai vecchi capi mafia che hanno ottenuto la scarcerazione di recente.
“Gli uomini d’onore che fanno ritorno nei propri territori di competenza – sottolineano gli analisti della Dia – ambiscono a manovrare nuovamente le leve del potere mafioso ma lo vogliono fare a modo loro a pieno titolo e senza condivisione con i reggenti”.
Di fatto, però, è stato proprio il sistema delle reggenze che ha permesso flessibilità nella definizione delle “competenze territoriali” delle famiglie e dei mandamenti, e che ha delineato nuovi equilibri di potere “inter-mandamentali” utili per superare il momento di stallo determinato dalle operazioni di polizia sul territorio che hanno decapitato la Cupola. E così i reggenti spesso non riconoscono la caratura e lo spessore criminale dei vecchi uomini d’onore scarcerati e soprattutto non vogliono cedere il potere acquisito e non temono di arrivare alla contrapposizione.
“Difficoltà di dialogo, incomprensioni e differenza di vedute sono i sintomi di un “gap” generazionale che può diventare profondo e critico”, concludono gli analisti della Dia, fino a risolversi in una vera e propria guerra di mafia.
Messina Denaro: c’è malcontento per le problematiche che derivano dalla gestione della sua lunga latitanza
Nonostante la lunga latitanza, Matteo Messina Denaro “resterebbe il principale punto di riferimento per far fronte alle questioni di maggiore interesse che coinvolgono l’organizzazione oltre che per la risoluzione di eventuali controversie in seno alla consorteria o per la nomina dei vertici di articolazioni mafiose anche non trapanesi”. Afferma ancora la Dia.
Ad oggi, quindi, il boss castelvetranese, anche al di fuori del contesto trapanese, sarebbe “in grado di assumere decisioni delicatissime per gli equilibri di potere in Cosa nostra, nonostante la sua eccezionale capacità di eclissamento e invisibilità”.
Tuttavia “benché u siccu continui a beneficiare della fedeltà di molti sodali, negli ultimi anni sarebbe cresciuto sempre di più uno strisciante malcontento in alcuni affiliati. Insoddisfazione connessa con le problematiche derivanti dalla gestione della lunga latitanza peraltro resa difficile dalle costanti attività investigative che hanno colpito in larga parte la vasta rete di protezione del boss”.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.