Lo farebbero “per diffondere ed esaltare la reputazione criminale”. Lo dice l’ultima relazione della Dia al Parlamento
Non solo altarini e murales per gli affiliati uccisi. La camorra usa sempre più spesso “i social network per condividere messaggi testuali e audiovisivi di esplicita ispirazione mafiosa”. E lo fa per rafforzare il suo brand.
Il dato è sottolineato nell’ultima Relazione della Direzione Investigativa Antimafia che rileva quanto “è forte il rischio che l’identità mafiosa possa prendere il sopravvento” e influenzare le giovani generazioni “anche attraverso la credibilità e l’autorevolezza di un profilo social che esalta e diffonde la reputazione criminale di chi possiede uno status di uomo di camorra”.
I clan 2.0, insomma, si adeguano ai tempi e usano la leva dei social per diffondere i “valori della mafia” e aumentarne affiliati e follower. Attraverso i post e le fanpage su Facebook, i video su Tik-Tok e le stories su Instagram, “gli affiliati alle organizzazioni criminali ostentano l’appartenenza al gruppo e commentano le azioni di fuoco”. E così “l’esaltazione del potere criminale del proprio clan” fornisce il manifesto malavitoso “con cui la camorra tenta di imporre la propria affermazione sul territorio”.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.