Ieri Piero Silva, l’ex direttore tecnico del Pmc del RINA, ha inviato la sua relazione tecnica alle imprese interessate alla costruzione della più grande infrastruttura del Pnrr
Genova – Sono soltanto una quarantina di pagine ma si abbattono sulla nuova diga foranea come una picconata. Perché bisogna riconoscerlo: il pericolo che il “fango molle” del porto di Genova ingoi i 4.400 metri di questa grande opera, insieme ai fondi del Pnrr, un po’ inquieta.
“Questa diga va a una profondità di 50 metri, cosa di per sé già eccezionale per una struttura convenzionale come quella proposta”, ma soprattutto “poggia su uno strato di limo argilloso spesso tra i 10 e i 15 metri che non è adeguato alle fondazioni” e che la mette “a rischio di collasso geotecnico”.
Un disastro che nella storia delle opere marittime si è già verificato.
A parlare è Piero Silva, ingegnere idraulico specializzato in opere portuali che ha all’attivo la direzione di svariati cantieri negli scali di tutto il mondo e che poi porta l’esempio del crollo “della diga di Sibari”, in Calabria. Anche lì il progetto non aveva tenuto in conto la fragilità del fondale e il risultato fu che dopo l’incidente l’opera venne ricostruita e inaugurata a 29 anni dall’avvio dei cantieri.
E a Genova? “I metodi di consolidazione esistono ma non sono stati sperimentati su fondali così profondi”, aggiunge l’esperto sottolineando che “le profondità massime riportate dalla letteratura scientifica sono quelle del porto di Patrasso”. E parliamo di -27 metri contro i -50 di Genova. In sostanza: “Lavorare a 50 metri di profondità su uno strato del genere vuol dire non sapere cosa si fa“.
È anche per questo che alla fine di marzo Silva si è dimesso dal ruolo di direttore tecnico del Project Management Consulting del RINA per la diga foranea. Un conflitto in casa insomma, determinato dalle tante incognite del progetto che l’ingegnere ha messo nero su bianco in una relazione tecnica di quaranta pagine ma che nessuno ha voluto prendere in considerazione, a parte alcuni attori portuali che gli hanno consigliato di parlare con il sindaco, Marco Bucci, sfruttando il periodo elettorale per presentargli anche il suo progetto alternativo di una diga entro i 30 metri di profondità che eliminerebbe il pericolo di collasso.
Però “lui ha concluso il colloquio dicendo che il progetto non si tocca e resta così com’è” commenta Silva.
La giustificazione avanzata da Comune e Authority per bocciare la proposta dell’esperto è che prevede di demolire la vecchia diga e dunque comporta il rischio di “un’opposizione della soprintendenza”. Gli 800 metri della diga attuale, infatti, “sono stati costruiti nel 1890 e la soprintendenza ha approvato il progetto dell’Autorità portuale che ne salva 400 metri in ragione del loro valore storico”, chiarisce Silva andando subito al cuore della questione: “La verità è che di questi 400 metri, 200 sono venuti giù con una mareggiata nel 1950 e poi ricostruiti nel 1955, e non hanno nulla di storico”.
Eppure l’esperto continua a scontrarsi con il muro di gomma dell’insofferenza per le voci critiche.
Anche quando queste voci presentano un’alternativa che centrerebbe davvero l’obiettivo dichiarato dal Progetto di fattibilità tecnico-economica di aprire il porto alle grandi navi, al contrario del nuovo layout appena approvato che manca di pianificazione portuale ed “è utile soltanto all’accosto di MSC, a Calata Bettolo“.
Vediamo come.
Il problema principale del progetto dell’Authority è che “mantiene un moncone residuo della diga attuale, un ultimo chilometro che separa i due canali e costringe a un doppio accesso che porta il cerchio di evoluzione troppo spostato verso ovest”.
Lo fa notare Silva e lo dicono “i comandanti e i marittimi” che questo costringerà le imbarcazioni a “una manovra troppo macchinosa per rientrare con la poppa in avanti” e dunque “le navi dirette al porto storico continueranno a usare il canale di 210 metri e il cerchio esistente da 550 metri”.
Con l’alternativa della diga a -30, invece, “l’opera attuale verrebbe demolita tutta” e senza il moncone a impicciare le cose “avremmo un unico ingresso e un cerchio di evoluzione che resta dov’è ma allargandosi a 800 metri anziché 550”. E questo, assicura l’esperto, sarebbe “un valore aggiunto per tutte le aree del porto, compresa Calata Sanità e le crociere”.
Ma non finisce qui. Oltre a un canale dedicato alle imbarcazioni da diporto, lo scenario della diga a -30 permetterebbe di “realizzare verso costa un terminal per la cantieristica dei grandi yacht” e “nella fascia interna della diga, a ponente, una grande banchina per ospitare Carmagnani e Superba” senza “spezzare il ritmo delle darsene per merci varie, contenitori e ro-ro, come accadrà se le due aziende andranno a Ponte Somalia”. Da non sottovalutare anche la maggior distanza dalle case: 1.400 metri contro i 300 previsti dall’attuale piano di dislocamento dei depositi chimici.
Una posizione, quella di usare la pioggia di soldi che arriverà in città con il Pnrr per spostare gli stabilimenti a rischio Rir sulla nuova opera, che accomuna la visione di Silva a quella di Giovanni Spalla.
Suggerimenti che sono rimasti a galleggiare nel vuoto.
Pericolo di collasso. Raddoppio dei costi. Tempi triplicati. Layout zoppo che lascia fuori una fetta del porto. Rischi ambientali e per la pesca derivati dalle 660.000 tonnellate di materiali fini che potranno essere usati per fondare i cassoni.
La posta in gioco è gigantesca.
Eppure il presidente di Adsp, Paolo Emilio Signorini, quasi ci scherza su e ai giornalisti in sopralluogo sui cantieri aperti nel porto di Genova parla di “dibattito fantacomico”.
“Signorini non ha mai risposto alle mie critiche con delle deduzioni tecniche”, tiene a precisare Silva aggiungendo che “sono stato chiamato matto pubblicamente. Ma io non sono matto, sono sanissimo e queste critiche non sono comiche”. E la conferma Silva ce l’ha da due “tra i massimi esperti europei che ho voluto al mio fianco”, e cioè “William Alsopp, professore di Maritime Works all’Università di Edimburgo ed esperto di dighe a cassoni, e Luigi Albert, 45 anni di esperienza nei più grossi progetti geotecnici italiani ed europei”.
Ecco, “questo terzetto di esperti insieme fa 145 anni di esperienza”, dice Silva che poi lancia una freccia avvelenata a Signorini: “Fantacomica è la proposta di rientrare dei costi tagliuzzando gli unici 300 metri di diga che poserebbero non su 15 metri di argilla molle ma solo su 5. Fantacomicamente si tagliuzzerebbe lo strato meno problematico di tutto il progetto“.
È questa infatti l’ultima proposta arrivata in ordine di tempo dopo il ritiro delle due cordate che avevano ricevuto l’invito alla gara per edificare la più grande opera del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza che oggi rischia di non rispettare le scadenze e di giocarsi i fondi Ue.
“La mia paura è che le cose vengano fatte in modo poco limpido, chiusi in una stanza”, conclude l’esperto annunciando di aver inviato la sua relazione alle aziende interessate, “insieme a una lunga lettera per ricordare che sono grandi imprese, con una grande reputazione, che non dovrebbero andar dietro a chi vuole fare qualcosa di catastrofico. Va bene la trattativa privata però mettete la vostra reputazione sul tavolo e portate l’Autorità portuale a fare un’opera che sia quella di cui il porto ha bisogno. Siete grandi aziende, con una grande reputazione in ambito marittimo, e nessuno di voi ha mai fatto una diga che è stata ingoiata dal fango”.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.