Nell’accordo anche “Impegno civico” il nuovo partito di Luigi Di Maio e Bruno Tabacci
La prematura dipartita politica di Mario Draghi, oltre a far sparire la famosa agenda e lasciare il dubbio che fosse solo un vago elenco di progetti, ha di certo prodotto un risultato positivo. Se ce ne fosse stato ancora bisogno, ha messo a nudo la capacità dei politici italiani di riciclarsi, cambiare idea, rinnovarsi, fare accordi con chiunque abbia qualche elettore certo pur di non abbandonare la nave dei privilegi e doversi cercare un lavoro. Perché in definitiva, i faccendieri che hanno sostenuto la grande alleanza con Draghi non sono neppure stati in grado di pensare a una legge elettorale decente. Un rapporto produttività-costo che in un mondo normale esigerebbe il licenziamento in tronco.
E se Letta si è ritagliato il ruolo di architetto della “cosa” che farà da opposizione a Lega, FdI e FI, rimane il dubbio su Carlo Calenda che, dice lui, andando da solo prenderebbe il 15% e dunque potrebbe mollare il carrozzone del PD vista la presenza della “sinistra” di Fratoianni e Bonelli.
Ma Calenda, che è uno che ha nelle sue priorità il bene del Paese, in realtà è in equilibrio tra godere dei voti del PD andando al traino, o soddisfare i desideri del bacino elettorale di ex forzisti come Enrico Costa o il duo Gelmini-Carfagna, o allearsi con Renzi creando l’ennesimo polo. L’ultima parrebbe la scelta più sensata ma due galli in un pollaio fanno poca strada.
E Matteo Renzi?
Con una dichiarazione intrisa di etica politica ha rifiutato l’invito di Silvio Berlusconi a percorrere il tragitto elettorale con Forza Italia: “Caro Silvio no grazie – ha risposto -, noi non partecipiamo a una coalizione, quella di centrodestra, in cui c’è chi ha sempre votato contro Mario Draghi, mi riferisco a Giorgia Meloni, e chi pur avendo votato Draghi, alla fine gli ha tolto la fiducia, e mi riferisco a Forza Italia e alla Lega”.
Che poi, il politico di Rignano, qualche opzione tra cui scegliere ce l’ha. O andare con il “centro destra” di Letta, o correre da solo o tentare un’alleanza con Calenda, che potrebbe portare davvero oltre il 10% ma che sarebbe instabile visto l’ego smisurato dei due personaggi.
E a proposito di sofisticate dichiarazioni politiche, Mariastella Gelmini ha voluto sottolineare la sua diversità dal PD e dagli altri partiti dell’alleanza e si è premurata di dire ai suoi elettori che “faremo campagna elettorale sui nostri temi. L’alleanza si basa su due distinte aree: quella liberale, popolare e riformista rappresentata da Calenda e quella di sinistra, rappresentata da Letta”.
Ma anche lei ha voluto mettere dei paletti: “Un eventuale ingresso in questa alleanza elettorale del Movimento 5 Stelle produrrebbe la nostra immediata uscita. Ma non credo ci sia alcuna possibilità che questo accada”.
E dall’altra parte?
Berlusconi pensa a una flat tax al 23% e si spertica in elogi a Giorgia Meloni e Matteo Salvini mentre arriva da Maria Tripodi, deputato di Forza Italia, l’attacco a Letta, l’architetto del centro sinistra: “È straordinario vedere come nel giro di appena due settimane, l’accozzaglia sinistra sia passata dall’Agenda Draghi, alle poltrone in agenda. È questo il succo degli accordicchi nati sulla base dell’unico collante che li accomuna: il potere. Caratteristica del variegato minestrone che va da Gelmini, passando per Letta, Fratoianni, Di Maio e chi più ne ha più ne metta”.
Salvini, dopo la sua escursione a Lampedusa e qualche critica a Giorgia Meloni sul blocco navale per limitare le partenze di clandestini dalla Libia, ripropone i suoi decreti sicurezza e si candida per il Viminale. Esperienza non indimenticabile la sua come Ministro degli Interni che fu anche bacchettato, nel 2018 dal Procuratore Armando Spataro, per aver anticipato su Twitter un blitz della Polizia che era ancora in corso.
Meloni ha probabilmente commesso il suo primo errore proponendo il blocco navale davanti alla Libia. E non perché questa si possa scambiare per una dichiarazione di guerra a un Paese che peraltro gode di cospicui finanziamenti da parte nostra, non per la violazione dei regolamenti internazionali, che poi interpretati danno ragione a tutti, ma per un semplice fattore logistico. Anche volendolo attuare non abbiamo abbastanza navi per poterlo fare.
Giovanni Toti, preso in contropiede dall’abbandono anticipato di Draghi, non è riuscito a creare il suo super centro e quindi, nella speranza di guadagnarsi un posto meno periferico della Liguria, si è accomodato nel gruppone elettorale del centro destra. Incontrerà un sacco di vecchi amici, una rimpatriata praticamente. Italia al Centro, ennesimo partito fondato dal governatore ligure, infatti formerà un gruppo insieme a “Noi con L’Italia” di Maurizio Lupi.
Ecco, finiti i posizionamenti, le alleanze, la spartizione dei seggi, su suggestione di un amico chiediamo quando i futuri inquilini dei palazzi del potere, bontà loro, cominceranno a parlare di programmi realizzabili, di tempistiche e di soluzioni reali per i cittadini.
fp
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.