La criminalità organizzata nigeriana è un’associazione mafiosa in piena regola? Ecco cosa dicono le ultime sentenze. E chi non è d’accordo
Non esiste più una sola mafia. Una volta, quando si parlava di mafiosi, il pensiero andava alla Sicilia e a Cosa Nostra. Ma ormai si è capito da un pezzo che le cose stanno diversamente e che i picciotti che percorrono in lungo e in largo lo stivale per fare affari sono di tani tipi: ‘ndranghetisti, camorristi.
Anzi, nel nostro bel Paese i clan made in Italy non sono nemmeno più soli. A fargli compagnia sono arrivati i nigeriani, mafiosi anche loro. Lo dice la Corte di Cassazione che nel 2010, 2012, 2015 e 2019 ha ribadito come “l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e più in generale il modus agendi di questa criminalità organizzata straniera ha una connotazione tipica di mafiosità“.
La Bibbia verde dei comportamenti mafiosi
Significative nel merito pure le motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino ha condannato per associazione di tipo mafioso i componenti di due organizzazioni nigeriane, i Maphite e gli Eiye.
Ancora: restano di fondamentale importanza sotto il profilo della riconosciuta similitudine dell’operatività dei sodalizi nigeriani a quella mafiosa, le operazioni “Maphite – Bibbia verde” e “Burning Flame” coordinate dalle DDA di Torino e Bologna e per le quali sono state pronunciate, il 25 settembre 2020 e il successivo 29 ottobre, sentenze di condanna per associazione di tipo mafioso.
La Bibbia verde, in effetti, è del tutto assimilabile ai codici di comportamento che le mafie storiche prevedono per gli affiliati e descrive la struttura organizzativa interna del cult che risulta suddiviso in famiglie. Dal documento emerge come il sodalizio, onorando le migliori tradizioni mafiose, si “faccia carico” del sostentamento degli affiliati detenuti e preveda la morte per il tradimento degli obblighi di lealtà e omertà. Soprattutto, il cult si reputa in grado di stringere o sciogliere accordi con le mafie locali. Si legge nella Bibbia: “Ogni accordo con i gruppi di mafie locali italiani viene annientato. Noi non abbiamo bisogno di loro per operare in Italia possiamo operare da soli. Non abbiamo bisogno di loro per il momento e se ne avremo bisogno potremo riconsiderare l’iscrizione in futuro”.
I Vikings dettano legge tra intimidazione e omertà
La strutturazione e le connotazioni tipiche di mafiosità delle consorterie nigeriane sono state confermate di recente anche dalla sentenza di condanna del 10 giugno 2021 emessa dal GIP del Tribunale di Bologna nei confronti degli appartenenti al clan nigeriano dei Vikings-Arobaga, nell’ambito della operazione “Signal”.
La sentenza ha riconosciuto per sei affiliati l’accusa di associazione mafiosa in un traffico internazionale di droga con fulcro a Ferrara e diramazioni a Padova e Mestre. Come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare “il programma criminoso dei Vikings-Arobaga era quello di acquisire il controllo del territorio annientando violentemente o mettendo, comunque, in condizione di non nuocere, altre confraternite nigeriane concorrenziali, per acquisire il monopolio sulle attività criminose di interesse”. L’associazione, si legge ancora nell’ordinanza, “è stata in grado di diffondere nella comunità nigeriana di Ferrara, ma anche in altre città, un comune sentire caratterizzato da una forte soggezione di fronte alla forza intimidatrice e prevaricatrice del gruppo, alla quale ha fatto da sponda una certa omertà”.
Le indagini fanno ritenere che il cult dei Vikings-Arobaga sia, tra i gruppi nigeriani presenti in Italia, quello attualmente emergente e che si muova in un contesto di vera e propria associazione di tipo mafioso dotata di una struttura gerarchicamente organizzata di forma piramidale, il cui ramo italiano, denominato Vatican, aveva in Ferrara e in Emilia Romagna una delle sue principali sedi ancorché infiltrato in altre province del Nord, in particolare a Torino. Nell’ambito del medesimo contesto giudiziario, il 22 settembre 2021 è iniziato, davanti al Tribunale di Ferrara, il processo per 17 imputati nigeriani chiamati a rispondere di associazione a delinquere di tipo mafioso finalizzata a commettere delitti contro la persona, contro la pubblica amministrazione, in materia di stupefacenti, ed estorsioni.
Parlano i pentiti
Un contributo essenziale alla conoscenza della struttura e delle regole interne, nonché delle dinamiche criminali della piovra nera è venuto dall’apporto reso negli ultimi anni dai collaboratori di giustizia nigeriani che si sono rivelati fondamentali per superare la forte impenetrabilità di tali gruppi etnici e la notevole difficoltà di comprensione della lingua e dei suoi innumerevoli dialetti.
Chi ha aperto la breccia, però, ha subito le pesantissime ritorsioni previste per chi infrange il muro dell’omertà.
Lo ha ricordato il Presidente delle Corte di Appello di Palermo, Matteo Frasca, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2022: “Nel corso delle indagini – ha detto -, è stata accertata una catena di violenze, anche gravissime, nei confronti dei congiunti residenti in Nigeria delle vittime e dei collaboratori di giustizia“.
De Raho: i nigeriani come la ‘ndrangheta
“La mafia nigeriana sembra quasi rimodellare la configurazione della ‘ndrangheta, agendo con gruppi criminali locali che hanno una certa autonomia di azione ma che rispondono sempre alla casa madre”. Lo ha detto il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho, a margine dell’operazione “Voodoo” coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Cagliari e portata a termine dalla Guardia di finanza il 22 novembre 2021 nei confronti di un’associazione per delinquere di matrice nigeriana finalizzata al riciclaggio internazionale di capitali illeciti, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione, con l’aggravante della transnazionalità.
Se tutto è mafia, niente è mafia
Non tutti si trovano d’accordo nel definire mafiosa la criminalità organizzata nigeriana.
A maggio 2021, il Tribunale Ordinario di Torino non ha riconosciuto l’associazione a delinquere di stampo mafioso nei confronti di due soggetti nigeriani coinvolti anche loro nell’inchiesta “Maphite – Bibbia verde”. La sentenza articola una riflessione circa la mancanza dei requisiti idonei a qualificare l’associazione mafiosa e precisa: “Un primo rilevante ostacolo alla qualificazione dei Maphite come associazione mafiosa risiede nella circostanza, pacifica, che (anche a voler trascurare il requisito del controllo di un determinato territorio, e considerare genericamente la comunità nigeriana in ltalia) il preteso potere mafioso dei Maphite si scontra con l’analogo e concorrente atteggiamento di numerose altre associazioni distinte, che i dichiaranti hanno indicato con i nomi di Eiye, Black Axe, Pirates, Vikings e Buccaneers. Come si può ipotizzare un ruolo egemone, intimidatore e produttivo di un generalizzato asservimento, in capo a un sodalizio che condivide e si disputa lo stesso bacino di influenza con almeno cinque altre compagini? Con siffatta frammentazione delle entità associative, come si può ipotizzare il predominio mafioso di una di esse? Più che al paradigma dell’associazione mafiosa, il quadro descritto fa pensare soprattutto a un generico scontro fra bande rivali di cittadini nigeriani che vivono in Italia”.
La mafia è un fenomeno delinquenziale del tutto peculiare che trae sì sostanza dalla violenza e dall’omertà ma che è anche in grado di insediarsi nel tessuto sociale, nell’economia legale, nella gestione dei rifiuti, nella sanità, nella cosa pubblica. La mafia destabilizza la potestà statale dove lo Stato è più assente. Produce consenso. Muove voti. Corrompe e con la corruzione cementa relazioni che si aggregano nella cosiddetta zona grigia. La mafia si accaparra gli appalti e le grandi opere.
Ma allora la mafia nigeriana è davvero un’associazione mafiosa in piena regola?
E ancora: non è rischioso mischiare le carte e allargare alla criminalità organizzata straniera l’applicazione del regime di detenzione e delle sanzioni particolari, anche patrimoniali, previste per i mafiosi dato che, tra l’altro, la Comunità europea già non le vede di buon occhio e la stessa Corte Costituzionale ha intimato al Parlamento di mettere mano alla riforma dell’ergastolo ostativo?
Il problema è aperto.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.