Zagabria contesta la legittimità dell’elezione di Komšić
Sarajevo – Stando alle prime conferme dell’esito elettorale delle votazioni del 2 ottobre in Bosnia-Erzegovina, sembrano arrivare segnali incoraggianti sulla volontà di cambiamento della popolazione, stanca del nazionalismo esasperato e delle perenni contrapposizioni etnico-religiose.
Un cambiamento che sarebbe in grado di sbloccare i processi di riforma e accelerare il cammino della Bosnia-Erzegovina verso l’integrazione europea.
A testimoniarlo è la vittoria alle urne di esponenti politici ritenuti meno rigidi e su posizioni più liberali e concilianti.
Gli eletti alla presidenza collegiale
Il caso più rilevante è stata la sconfitta di Bakir Izetbegović, leader del Partito nazionalista di azione democratica (Sda), nella corsa a membro bosgnacco musulmano della presidenza tripartita bosniaca che è formata da tre rappresentanti: uno croato, uno serbo e, appunto, uno bosgnacco.
Alcuni analisti, a Sarajevo, hanno parlato di questa sconfitta come della fine della dinastia degli Izetbegović, una famiglia che da oltre trent’anni condiziona la scena politica in Bosnia-Erzegovina.
Bakir Izetbegović, infatti, è figlio di Alija Izetbegović, primo presidente della Bosnia indipendente e colui che firmò, nel novembre 1995, gli accordi di pace di Dayton con i leader di Serbia e Croazia, Slobodan Milošević e Franjo Tudjman.
Al suo posto, alla carica di membro bosgnacco, è stato eletto Denis Bećirović, candidato di centrosinistra della coalizione United for Free Bosnia. Bećirović è su posizioni più moderate e riformiste, favorevole a un percorso più veloce della Bosnia-Erzegovina verso l’Unione europea.
Per la prima volta nella presidenza collegiale è entrata una donna, la serba Željka Cvijanović, dello stesso partito nazionalista del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik (Snsd). Cvijanović è stata finora presidente della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, incarico che dovrebbe andare a ricoprire Dodik, membro serbo uscente della presidenza, che rivendica la vittoria. Alla chiusura dei seggi, Dodik e la sua avversaria, Jelena Trivic, hanno ingaggiato un duro confronto verbale proclamandosi entrambi vincitori e rivolgendosi accuse reciproche.
Il membro croato, invece, sarà di nuovo Željko Komšić che ha vinto su Borjana Krišto, l’ex presidentessa della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, una delle due entità che compongono il Paese. L’altra è appunto la Republika Srpska.
Un Paese segnato da una rigida divisione etnico-religiosa che si riflette anche sul sistema elettorale
Il 2 ottobre si è votato per il rinnovo di tutti gli organi istituzionali della Bosnia-Erzegovina, sia a livello federale che delle due entità – Republika Srpska e Federazione croato musulmana -, ognuna delle quali è dotata di un proprio parlamento, governo e organi giudiziari. La Federazione croato-musulmana è a sua volta divisa in dieci Cantoni. Un sistema istituzionale questo estremamente complesso e articolato, segnato da una rigida divisione etnico-religiosa fra le tre componenti del Paese balcanico – bosgnacchi musulmani, serbi ortodossi e croati cattolici.
Tutto ciò si riflette in processi lunghi ed elaborati anche nella elaborazione dei risultati elettorali.
Zagabria contesta la legittimità dell’elezione di Komšić
La rielezione di Željko Komšić come membro croato della presidenza collegiale tripartita della Bosnia-Erzegovina ha riacceso le critiche di Zagabria, che definisce il politico bosniaco “una macchia permanente nei rapporti tra i nostri due Paesi”, contestandogli la legittimità di autentico rappresentante del popolo croato in Bosnia-Erzegovina. “Komšić è stato eletto di nuovo, per la quarta volta in vent’anni, a rappresentare nella presidenza i croati grazie ai voti degli elettori di etnia bosgnacca”, ha detto oggi il ministro degli Esteri di Zagabria, Gordan Grlić-Radman. “Questo è dannoso per la funzionalità istituzionale e la stabilità della Bosnia“, ha aggiunto. Alcuni partiti politici di destra hanno chiesto al ministro di dichiarare Komšić “persona non grata” in Croazia, richiesta alla quale Radman ha risposto che di fatto lo è già, dato che negli ultimi quattro anni nessun rappresentante delle istituzioni di Zagabria si è mai incontrato con lui né lo ha mai invitato in Croazia.
Il presidente Zoran Milanović è stato molto meno diplomatico definendo la rielezione di Komšić “una truffa”, dando la colpa alla mancata riforma elettorale, un errore “della comunità internazionale che in Bosnia non sta facendo nulla”.
Milanović si è spinto fino al punto di annunciare di essere disposto ad appoggiare “una forma di autoproclamata autonomia dei croati in Bosnia”, che sarebbe di fatto una secessione interna.
A Komšić nessuno contesta di essere croato, ma di essere esponente di una politica unitarista e centralista, contraria agli interessi dei croati in Bosnia, alleato dei principali partiti bosgnacchi, e votato in prevalenza da elettori che non sono di etnia croata. La legge elettorale in vigore in Bosnia-Erzegovina consente, infatti, alla popolazione bosgnacca musulmana, più ampia rispetto a quella musulmano-croata, di votare per candidati di etnia croata e di eleggere, grazie alla loro superiorità numerica, il membro croato della presidenza collegiale. Per questa ragione i croati a non contestano a Komšić la legalità della sua elezione ma la sua legittimità ad agire come loro rappresentante.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.