Gli Italiani, questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati
Genova – Girava una storiella, un po’ di anni fa, circa le fortune di un rampollo di una famiglia di industriali torinesi di cui si favoleggiavano le capacità manageriali.
“Sai, la sua fortuna è iniziata con tanta fatica e dedizione al lavoro, un impegno giorno e notte per studiare nuove strategie di marketing e sbaragliare la concorrenza. Un giorno, il rampollo, guardando una mela pagata 10 lire, ha intuito che lucidandola avrebbe potuto rivenderla non a 20 e neanche a 30, ma a 40 lire. E allora così fece. Il giorno dopo raddoppiò il ‘magazzino’ acquistando due mele e, utilizzando la medesima strategia, incassò 80 lire”. La storiella finisce con una domanda: “Ma a 40 lire per volta come ha fatto ad arrivare dove è oggi?”. La risposta un po’ maligna è: “Semplice, poi ha ereditato la Fiat”.
Questa è una barzelletta, vecchia e mai passata di moda, che attraversa generazioni di politici di destra, sinistra, sopra e sotto. È il simbolo di un’Italia che non guarirà mai dai suoi malanni dovuti al nepotismo, al trasformismo, al tengo famiglia. Perchè puoi passare dal lanciare strali in Consiglio comunale per i Ghibellini e poi reggere il sacco ai Guelfi, che nel mentre sono diventati bianchi, neri e rosa con sfumature di arancione.
Così quando sento parlare di merito perdo il senso dell’orientamento. La parola è inebriante, sa di etico, quasi di rivincita. Però poi mi viene il dubbio di essere a teatro e di assistere a uno spettacolo di cabaret con comici di quart’ordine, che dicono cose ridicole che non fanno ridere. In uno schetck, uno dei meno riusciti, c’è una truccatrice che viene assunta in un’istituzione per fare la comunicazione.
Un po’ come succedeva a militare: “Tu, soldato, cosa sai fare?”. “Sono un cuoco, Signore!”. “Bene, da domani sei in manutenzione a fare il muratore”.
O come quando ero giovane e respiravo tutto questo impegno politico, profuso senza sosta, con grandi parole e concetti che sembravano scolpiti nella pietra, pronunciati da veri rivoluzionari albarini, che mi facevano sentire mancante nonostante abitassi in un quartiere popolare e mio padre facesse l’operaio.
Poi arrivava il loro di papà, gli diceva che bisognava smetterla di giocare con il “cagnaro” e la pittura, e che in ufficio era pronta una sedia e una bella scrivania, lo stipendio, e la figlia del commercialista che aveva sempre amato quell’affascinante rivoluzionario. Ma erano gli anni ’70. Ora siamo nel 2022, è impensabile che un ex Ministro degli esteri silurato alle elezioni per manifesta incapacità possa trovare un ruolo di rilievo in una istituzione europea. O no?
E allora i figli che non hanno genitori “rilevanti” è bene che si preparino a far le valigie e a prendere un aereo ( per fortuna non un barcone, non più almeno) per andare in posti più civili, dove il potere non si accaparra ogni cosa ma lascia spazio un po’ a tutti. Chi resta dovrà faticare il doppio, perchè abbiamo debellato la peste ma per i ruffiani, lacchè, raccomandati e mezze calze non esistono medicine.
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