In una lettera alla fidanzata, il pupillo di Totò Riina anticipò l’inizio della sua vita da latitante
Figlio del vecchio capomandamento di Castelvetrano, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, “U siccu” era in fuga dall’estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da latitante.
“Sentirai parlare di me – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.
Il collaboratore di giustizia Baldassarre Di Maggio dirà di lui che si trattava di “un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento”. Francesco Messina Denaro, infatti, era latitante dal 1990.
Per anni rappresentante indiscusso di Cosa nostra nel trapanese, Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino, strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia. A lui sono anche imputate le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
Il sessantunenne era l’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” ancora ricercato.
Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza da record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.
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