Alchimia urbanistica

Genova, in questo periodo storico, ha impattato la fine di propri, sfocati, sogni di un certo, potente, sviluppo. Qualunque essi siano stati

Nel romanzo “Cronache Marziane”, di Ray Bradbury, i racconti su Marte, colonizzato dai terrestri al posto di un’altra civiltà ormai scomparsa, o quasi, parlano di una vita su un pianeta che porta le tracce di un mondo compiuto, diverso, dignitoso, ma che ha lasciato solo resti pieni di austerità e melanconia. E che non si capisce quanto influenzino uno struggimento e un senso di tragedia dei nuovi abitanti o, addirittura, di questi sentimenti li impregnino.

Nel libro “Le Pietre di Venezia” John Ruskin, forse sbagliando, descrive, decantandone le fini e stupefacenti estetiche, a metà del 1800, Venezia come una città arrivata alla sua fine, che porta ancora una testimonianza immensa ma messa al margine della propria storia. In preda a una magnifica e macilenta senescenza.

Genova, in questo periodo storico, ha impattato la fine di propri, sfocati, sogni di un certo, potente, sviluppo. Qualunque essi siano stati.

È immersa in vestigia del passato che non si rassegnano a spogliarsi dell’accezione negativa e potente che avevano: superbe.

E persistono sia con la loro imponenza fisica che con i loro giganteschi echi che riempiono l’animo dei suoi abitanti.

Continua ad avere sogni futuri sfocati e si muove come ci si muove quando si ha un sonno agitato, mischiando, nel suo ricercarsi nel futuro, suggestioni iperboree industriali e portuali, vocazioni e spunti ambientali da elfi campagnoli, ripensamenti del proprio materiale concreto senza tenere conto dell’identità che questo porta. Annaspando e abbrancando evocazioni e progetti con la voracità di un cucciolo abbandonato.

È un privilegio, che dà un brivido, vivere in mezzo a queste, grandi, trasformazioni di un corpo millenario ma con una capacità di percepirsi e organizzarsi puberale, preda di entusiasmi grezzi e frenature paurose.

I quartieri che emergono, quindi, a volte sembrano scaturire dal subconscio di Genova, capace di individuare direzioni, pulsioni, desideri senza il processo per elaborarli finemente.

Generando estetiche, usi, comportamenti, quadri che non puoi trovare né su Marte né nella Venezia di Ruskin ma nel magma urbanistico genovese del XXI secolo.

Ipnotici, di una melanconia struggente, di un’arroganza che fa tenerezza, di una disperazione che non lascia tempo al ragionamento.

D’altronde sono  quasi due secoli che abbiamo perso la bussola e abbiamo imbroccato strade troppo grandi per appartenere solo alla città.

No, queste non sono parole che contengono istruzioni per il futuro.

Sono tentativi, confusi, disordinati, di elaborazione sentimentale ed estetica in mezzo a questi stravolgimenti della città. Entusiasmanti ed angoscianti.

Come quando vai a vedere una mostra d’arte, difficile trovare istruzioni concrete, ma, se va bene, ispirazioni, consolazioni o scorci di possibili futuri

Enrico Testino – Educatore, animatore sociale e culturale

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