Pendolaria 2023: troppo lenta la transizione ecologica del trasporto su ferro

Ritardi infrastrutturali, treni poco frequenti, lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, risorse inadeguate restano i maggiori talloni d’Achille

Roma – Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica dei trasporti è ancora troppo lenta. A pesare soprattutto sul trasporto su ferro, con pesanti ripercussioni sul sud Italia, sono i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee ferroviarie interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate.

Dall’altra parte, il trasporto pendolare risente ancora degli effetti della pandemia: seppur cresciuto, il numero dei pendolari non raggiunge ancora i livelli del periodo pre-pandemico.

A parlar chiaro i dati raccolti

È quanto denuncia Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia – indietro rispetto agli altri Paesi europei – con un’analisi sul presente e futuro di questo settore.
A parlar chiaro i dati raccolti: dal 2018 al 2022 le inaugurazioni di nuovi binari in città sono state inadeguate, parliamo di un ritmo di un chilometro e mezzo all’anno di nuove metropolitane.

Nel 2018 sono stati inaugurati 0,6 km, nel 2019 e 2020 neanche un tratto di nuove linee, nel 2021 1,7 km, mentre nel 2022 il dato sale a 5,3 km grazie all’apertura della prima tratta della M4 a Milano. Anche sulle nuove tranvie il dato medio dell’ultimo quinquennio è da dimenticare, ossia 2,1 km all’anno: 5,5 km inaugurati nel 2018, 5km nel 2019, nessun chilometro aperto negli ultimi tre anni.

Al Sud treni vecchi, binario unico e spesso non elettrificato

Persistono le differenze nelle aree del Paese, e a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno, dove circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. Le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani (rispettivamente 10 e 5 milioni) con un’estensione inferiore a quella dell’isola.

Emblematico è che tra Napoli e Bari non esistano, ancora oggi, treni diretti o che esistano situazioni come quella della linea Palermo-Trapani, via Milo (chiusa dal 2013 a causa di alcuni smottamenti di terreno), della Caltagirone-Gela (chiusa a causa del crollo del Ponte Carbone l’8 maggio 2011) e della tratta Corato-Andria in Puglia (ancora inattiva dopo 6 anni e mezzo dal tragico incidente del 12 luglio 2016 che causò 23 morti). Sul fronte investimenti, negli undici anni dal 2010 al 2020, sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro.

“Il processo di riconversione dei trasporti in Italia – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è fondamentale. Lo è se vogliamo rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, del taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050, visto che il settore è responsabile di oltre un quarto delle emissioni climalteranti italiane che, in valore assoluto, sono addirittura cresciute rispetto al 1990.

Puntare sulla cura del ferro

Per questo è fondamentale invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per la “cura del ferro” del nostro Paese, smettendola di rincorrere inutili opere come il Ponte sullo Stretto di Messina. Occorre investire in servizi, treni moderni, interconnessioni tra i vari mezzi di trasporto e con la mobilità dolce, in linee ferroviarie urbane, suburbane ed extraurbane, potenziando il servizio dei treni regionali e Intercity.

Al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere”.

La tratta Genova-Acqui-Asti

Guardando in casa nostra, nella tratta  Genova-Acqui-Asti, uno dei problemi cronici riguarda i mancati investimenti sull’infrastruttura, che vede ancora 46 km di binario unico su 63 della tratta e dove risulta indispensabile ormai un potenziamento almeno fino ad Ovada.

Sono costanti i disagi per i pendolari, con ritardi cronici dovuti a problemi durante l’attraversamento dei passaggi a livello e una velocità media ferma ancora a 60 km/h (con tempi aumentati rispetto al passato).
Il “Comitato difesa trasporti Valli Stura e Orba” ha denunciato una serie di criticità emerse nel corso del mese di agosto 2022, quando la chiusura estiva di parte della tratta ha creato problemi soprattutto per le coincidenze tra treni e autobus.

Lo scorso dicembre disagi si sono riscontrati a causa della chiusura della galleria Facchini a Borzoli, che di conseguenza hanno portato i treni merci, in direzione nord, ad essere dirottati sulla tratta Genova-Acqui, causando problemi al traffico passeggeri. Rimane poi il problema del mancato coordinamento tra Regione Piemonte e Regione Liguria, che gestiscono separatamente i due tronconi Asti-Acqui e Acqui-Genova.

Sulla Acqui-Genova sono finalmente previsti alcuni investimenti da RFI, con circa 84 milioni di fondi Pnrr. Nel dettaglio si tratta di circa 20 milioni per eliminare la frana a Mele con una nuova galleria e ripristinare il secondo binario; saranno poi modificati i binari alla stazione di Campo e realizzato un sottopasso alla stazione di Prasco. Queste migliorie permetteranno incroci dei treni più veloci e regolari.

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