78 giorni di bombardamenti martellanti che colpirono obiettivi militari ma anche civili, causando la morte di almeno 2.500 persone e il ferimento di altre 12 mila
La Serbia ricorda oggi il 24esimo anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti Nato che nella primavera 1999 posero fine alla guerra del Kosovo. Come da tradizione l’anniversario è stato ricordato con conferenze, cerimonie commemorative in tutto il Paese, in particolare nelle località maggiormente colpite dai raid alleati che provocarono migliaia di vittime e moltissimi danni.
I raid Nato – decisi senza mandato Onu e che la Serbia ha sempre definito con il termine “aggressione”, scattarono su ordine dell’allora segretario generale dell’Alleanza Atlantica Javier Solana la sera del 24 marzo 1999 con i primi cacciabombardieri decollati dalla base di Aviano nel nordest dell’Italia, e si conclusero il 9 giugno dopo 78 giorni di martellanti bombardamenti che colpirono obiettivi militari ma anche civili, causando la morte di almeno 2.500 persone e il ferimento di altre 12 mila, tra militari e civili.
La motivazione dei vertici alleati per effettuare i raid sulla Serbia – il comandante in capo delle Forze Nato era allora il generale americano Wesley Clark – fu quella di evitare una catastrofe umanitaria a causa della brutale politica di repressione e pulizia etnica condotta dal regime di Slobodan Milosevic.
Nei bombardamenti furono distrutte o gravemente danneggiate infrastrutture vitali quali strade, ponti, fabbriche, ma anche scuole, ospedali, musei, teatri, siti culturali, sedi di giornali e televisioni. E per ricordare quei mesi di morte e distruzione, a Belgrado le autorità hanno volutamente lasciato le macerie di alcuni enormi edifici sedi del ministero della Difesa e dello Stato Maggiore nel pieno centro della capitale.
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