Anacromatismi, ovvero l’importanza di chiamarsi Demetrio

Quella sinistra di lotta e di governo

Non si sono ancora spenti i sibili di vento con posizioni diverse – anche nella sinistra… di lotta e di governo – sull’ondata di fischi che appena martedì ha travolto prima il sindaco Marco Bucci e poi il Governatore Giovanni Toti arringanti in piazza Matteotti sul significato del giorno della liberazione e sulla medaglia d’oro per la Resistenza  a Genova, che approda la nuova polemica, da sinistra a destra. Con la sinistra, di lotta e di governo, che sui fischi battibecca ancora a qualche giorno di distanza. Da una parte l’ex presidente della Regione in epoca burlandiana Giacomo (Mino) Ronzitti che nelle vesti di presidente dell’istituto ligure per la storia della Resistenza mette le mani avanti su quanto successo in piazza Matteotti e ammonisce gli urlatori con bandiera rossa: “Non sono accettabili contestazioni pregiudiziali contro chi esprime i nostri stessi valori e rappresenta le istituzioni”. E in fondo nulla  di nuovo: una dichiarazione istituzionale per chi ha avuto in passato un ruolo istituzionale e nel gioco delle parti ha deciso di ricoprire il ruolo di chi unisce tutto e tutti sotto il grande ombrello della Resistenza. Dall’altra Massimo Bisca, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani di Genova che di fronte a qualche amnesia di troppo e ad una eccessiva timidezza nei discorsi istituzionali di Bucci e Toti ha sbottato già in piazza Matteotti rivendicando l’antifascismo come elemento fondante della nostra carta costituzionale riscuotendo salve di applausi. E risponde direttamente, o forse no, al compagno Ronzitti: “La città di Genova dà ciò che riceve. Il perché dei fischi. Forse chiedono a Toti e Bucci meno silenzi assordanti”. Dove per silenzi assordanti Bisca intende probabilmente la scarsa propensione dell’abbinata Sindaco/Governatore a menzionare con voce stentorea l’antifascismo. Soprattutto quello personale. E senza l’autodifesa dei se e senza  quella dei ma.
Questione di pesi e di misure.
Anche se transitando in piazza Matteotti mi sono imbattuto in più di una persona che dubitava di aver sentito nei discorsi dei due menzionare anche una sola volta la parola antifascismo.
Problemi di vecchie ruggini, o forse no. Soltanto di parti in commedia.
Perché poi, e ormai,  la sinistra è questa roba qua, come direbbe l’ex segretario ex ministro, ex Presidente della Regione Emilia Romagna, Pierluigi Bersani,  ancora intento a smacchiare il giaguaro da quelle macchie indelebili che dovrebbero far parte del suo DNA.

Questione di macchie o di macchie di colore

Perché poi le macchie e le macchie di colore finiscono per risultare una questione seria, al di là di tutti i possibili tentativi di smacchiamento. Con sempiterna contrapposizione tra il nero e il rosso. La bandiera rossa, come il sangue e il fiore del partigiano. La camicia nera come il tailleur inevitabilmente Armani, o almeno il pantalone del nostro presidente del consiglio. Che poi, a ben vedere, è una questione prettamente estetica: dicono che finisca per slanciarla. Almeno un po’.
Questione di stile e di stili, esattamente come la piazza – che è pur sempre la piazza – che fischia. O di certe, incolpevoli – o forse no – dimenticanze/amnesie.
Ma tant’è il colore in questo mondo con preminenza di comunicazione social, che vive di immagini, di foto, di Tiktok, finisce per essere preponderante. Forse, addirittura più di dichiarazioni ed ideali.
E così capita che il vate, o la vatessa, della nuova sinistra al comando sdogani la figura dell’armocromista. Qualcuno sulle prime avrà pensato, magari, ad un’arma letale in grado di mettere fine per sempre alla guerra fra Putin e Zelenski. E invece no, malpensanti che non siete altro. L’armocromista non è altro che una figura professionale che analizzando i colori tende alla valorizzazione dell’aspetto estetico di una persona a partire dalle sue caratteristiche cromatiche come tonalità dell’incarnato, colore degli occhi e dei capelli. Tutto giusto. Insomma se la presidente del consiglio veste in nero Armani in omaggio all’Italian Style, e non tanto per antiche suggestioni ma per questioni di slancio della sua figura, ci sta pure che la sua principale oppositrice si serva di una professionista per armonizzare le sue tinte. E ci sta perfino che la ELLY confidi di servirsene al modico prezzo che va dai 140 euri ai 300 all’ora nel corso di un’intervista a Vogue, che non è precisamente un periodico che inneggia all’importanza di far muovere la barca che naviga perennemente a vista a suon di battiti di remi, ma un giornale che si occupa principalmente di alta moda. Evvabbè. In fondo tutto evolve.
Con rosicamenti, o magari anche no, della sinistra battagliera reduce dai fischi e dalle urla di piazza Matteotti, che in omaggio agli antichi ideali, magari finisce  addirittura per difendere anche le golette di leader Maximo D’Alema – quello messo in croce dal redivivo Nanni Moretti con il suo proverbiale “dì qualche cosa di sinistra” – e il cachemirino con tanto di erre moscia del lottatore per antonomasia Fausto – o Infausto- Bertinotti, ex leader della sinistra estrema poi in età in vena di conversioni spirituali. Insomma, come diceva il padre di un mio vecchio “compagno” di scuola, partigiano e poi industriale nel vicino Piemonte: “Anche ai comunisti piace il bello”. Perchè in quest’epoca dove tutti sanno tutto di tutti e criticano tutto di tutti lo scivolone possibile è sempre lì dietro l’angolo. Con il rischio che quelli che qualche mese prima ti avevano appoggiato incondizionatamente finiscano per risentirsi e per non sostenerti più. Sono forse soltanto gli inconvenienti del nuovo corso, dove tutto è dato incondizionatamente in pasto a pubblico ed elettori. Potere della pubblicità e della comunicazione.

Il teatrino della politica

E così appena qualche giorno fa di fronte ad un lungo post di Ferruccio Sansa, il capo dell’opposizione in consiglio regionale, che metteva alla berlina l’ultima impresa, privata – o forse no – del sindaco Marco Bucci nelle vesti di narratore sul palcoscenico di un teatro cittadino, mi è capitato di sbottare sul mio profilo facebook con un senso di nostalgia per la vecchia politica, quella della prima, seconda e terza repubblica, rimpiangendo addirittura l’impalpabilità del marchesino Marco Doria: “Siamo davvero messi così male? Prendete un Campart, un Cerofolini, un Pericu qualunque… ve li vedete voi sul palco accompagnati da un editore qualunque al piano… per la presentazione di un libro di un loro consulente? Questione di stile, ma anche di opportunità. Perchè purtroppo è così: ormai digeriamo tutto. Anche chi dovrebbe fare informazione e chi racconta che vorrebbe farla. Digeriamo anche quei politici e comunicatori, ed editori e consulenti, ormai francamente sopra le righe, che intendono affliggerci con le loro doti di istrionismo di fenomeni da luna park”.
Che poi il senso della vicenda è tutto nel lungo post di denuncia di Ferruccio Sansa che cito integralmente: “LA CORTE DI BUCCI&TOTI RECITA E CANTA ALLA FESTA DEL SUPERCONSULENTE.
Mettetevi nei panni di un tizio che si è messo in testa di fare opposizione in Liguria. Ve lo assicuro, è dura. Vorresti svelare i retroscena del potere di Toti&Bucci, ma non sai come fare. Già perché i due allegri compagnoni le loro imprese non le fanno di nascosto, anzi, le portano sul palco di un teatro, sotto i riflettori. E alla fine si prendono pure gli applausi.
MARCO POGLIANI, IL VELLUTATO
Una volta i consulenti dei politici erano gente di basso profilo. Neanche sapevi i loro nomi. Adesso no, organizzano degli show. Ti mandano perfino un invito e chiamano le televisioni a riprenderli.
Nei giorni scorsi ecco circolare il tagliandino: siete tutti invitati alla presentazione del libro “Demetrio” di Marco Pogliani. Ma di chi stiamo parlando? Di uno dei consulenti politici più ricercati d’Italia, amato dal centrosinistra di Beppe Sala  a Milano come dal centrodestra ligure. Uno tanto gentile e vellutato, quanto scaltro e influente. Un po’ sul genere di Gianni Letta, tanto per capirci. Uno che gli rompi i cabasisi con articoli e interrogazioni, ma lui, appena ti vede, viene a cercarti, ti saluta, ti sorride. Insomma, non sai più come prenderlo.
In breve: da anni Pogliani è il re delle consulenze di immagine della politica di centrodestra ligure. Prima i contratti con il Comune di Marco Bucci. Poi quelli con la Regione di Giovanni Toti per la quale ha creato il marchio “LaMiaLiguria”. Quindi un fiorire di consulenze con comuni, enti e società controllate. Qualche esempio: si è aggiudicato 75mila euro nel 2020 e 100mila euro nel 2019 da Liguria Digitale di Enrico Castanini, il manager che una volta era fedelissimo di Claudio Burlando e oggi di Giovanni Toti (c’è poi tanta differenza?). Ancora: 72mila euro per fare il responsabile marketing del teatro Carlo Felice, guidato da Claudio Orazi, il sovrintendente tanto apprezzato da Bucci&Toti. Basta? Neanche per sogno: Pogliani, il vellutato, ha anche creato il marchio HelloRapallo per il comune guidato da Carlo Bagnasco sindaco di Rapallo (centrodestra).
Niente di illecito, ma verrebbe da chiedersi se Pogliani abbia avuto un ruolo – ufficiale o ufficioso – nelle campagne elettorali del centrodestra, perché allora ci sarebbe una questione di opportunità. Ammesso che esista ancora in Italia.
GLI AMICI DI POGLIANI TUTTI SUL PALCO E IN PRIMA FILA
Ecco, una volta l’opposizione doveva fare un duro lavoro, andare a scartabellare le delibere delle consulenze di comuni, regioni ed enti. Oggi non serve più: quelli che hanno firmato contratti di consulenza con Pogliani sono tutti in prima fila o addirittura sul palco”.

All’inizio fu Berlusconi

Ve le ricordate voi le trasmissioni elettorali sulle reti Rai degli anni Sessanta dove le domande erano prettamente politiche e guai a sfiorare i casi personali e familiari? Ve la ricordate l’idiosincrasia dei politici a svelare hobby e passatempi. Ve li ricordate i paparazzi di un tempo obbligati all’impresa di un pedinamento per ritrarre i vip in dolce compagnia. Personalmente rammento gli appostamenti di un fotografo Dino Nazzaro per ritrarre con foto Bettino Craxi in relax nel parco di villa Altachiara della contessa Agusta a Portofino. A sdoganare il privato ch diventava pubblico fu, manco a dirlo Silvio Berlusconi, aiutato dai suoi comici di riferimento. E da allora il privato è diventato pubblico,da non celare, ma anzi da ostentare come simbolo di potenza economica e politica.
E non a caso Sansa prosegue: “BUCCI, IL SINDACO DI BELSITO
C’era una volta un certo Berlusconi che parlava di ‘teatrino della politica’. Per una volta aveva ragione: è andato in scena ieri sera al teatro della Tosse. Primo protagonista Marco Bucci. Sindaco di Genova, pardon, di Belsito. Perché, appena le luci si sono spente, Bucci ha abbandonato i panni di sindaco del capoluogo ligure per vestire quelli di Mauro Crognaletti, primo cittadino del comune immaginario di Belsito. Un nome, a dire la verità, che al centrodestra ligure non porta tanta fortuna.
Chissà se anche nel Comune immaginario di Belsito il signor Pogliani ha preso consulenze. Reali, non immaginarie.
E chissà se una volta lo avesse fatto… per dire, Marco Doria … di recitare come Bucci nello show di un suo consulente… gli avrebbero tolto la pelle di dosso. Invece a Bucci si perdona tutto. Anzi, lo si applaude.
PRIMOCANALE, LA TV CHE LE CANTA AI POLITICI
Maurizio Rossi il primo uomo che ha intervistato se stesso. Ieri sera è stato inaugurato un nuovo genere giornalistico: l’auto-intervista. Rossi, editore di Primocanale, che si è fatto intervistare da Primocanale. Per parlare di sé stesso. Chissà se si è chiesto come mai la Regione di Toti e le controllate fanno ogni anno contratti da centinaia di migliaia di euro con Primocanale.
Subito dopo ecco Rossi salire sul palco, sedere al pianoforte, assumere un’aria sognante con il ciuffo sghembo, e accompagnare alla tastiera con brani romantici il recital di Marco Bucci.
Ora possiamo dirlo: Primocanale è una TV che le canta ai politici!!
Il ruolo del commissario è stato interpretato da Andrea Scuderi, una volta direttore di Primocanale e oggi arruolato come capo addetto stampa di Alisa, agenzia per la sanità. Della Regione, ça va sans dire.
NON E’ CHARLES AZNAVOUR
Il tempo di riprendersi dallo stupore e sale in scena un signore con il completo fumo di Londra. Aria distinta, espressione ispirata, muove le mani appassionato. Da lontano sembra quasi… ve lo ricordate?… Charles Aznavour, il cantante francese. E invece è Claudio Orazi, il sovrintendente del teatro Carlo Felice. Un altro estimatore di Pogliani.
Da un teatro all’altro”.

Presente anche il governatore, ma solo in platea

Che comunque qualcuno che ancora un minimo senso dell’opportunità lo ha voluto mantenere in fondo c’è stato. Giovanni Toti, il Governatore ha assicurato la sua presenza, ma non è salito sul palco a fare parte del cast della rappresentazione. E’ rimasto in platea. Assicurano che non si sia addormentato, ma anzi… abbia applaudito.
E in fondo qualche precedente illustre nella storia c’è perfino stato con i sindaci accompagnati sul palco ed esposti al pubblico ludibrio durante lo spettacolo annuale della compagnai goliardica Baistrocchi. Ma in fondo si trattava di Carnevale e non del dopo 25 aprile.
E Sansa prosegue il suo racconto: “TOTI È MEGLIO DI ARMANI: LA GRANDE SFILATA
Giovanni  è troppo furbo. Lui in sala c’era, ma tra il pubblico. In compenso è andata in scena una sfilata di tutti i suoi fedelissimi. Sulla passerella sono passati: Jessica Nicolini, l’addetta stampa del Governatore, che in Liguria conta molto più del direttore di un quotidiano (ma ai direttori non diteglielo). Poi metà del suo ufficio stampa. In platea ad applaudire, tra gli altri, il solito Castanini, la consigliera regionale Lilli Lauro ecc.
POGLIANI IL TRASVERSALE
Qualcuno dirà: perché non racconti che a Milano era successa la stessa cosa?
Giusto. Infatti lo racconto: il 23 febbraio scorso ecco che Pogliani aveva organizzato un analogo show al teatro Parenti di Milano. Invece di Bucci era presente il sindaco Beppe Sala (centrosinistra). Ecco cosa ha scritto anni fa il quotidiano economico Italia Oggi : “Già ai vertici della comunicazione di Expo 2015 con Sala nelle vesti di manager, Pogliani è stato poi suo spin doctor durante la campagna elettorale di Milano; una volta che Sala nei panni di candidato renziano del Pd ha vinto sia le primarie che la sfida finale contro Stefano Parisi del centrodestra, ecco che Pogliani ha strappato un contratto con il Comune di Milano da 60mila euro annui fino al 2018 per ‘fornire supporto al sindaco per attuare una azione di governance centrale e strategica della comunicazione, finalizzata ad affermare il programma di governo della città’». Pogliani, è scritto nel suo curriculum, ha curato la realizzazione dei siti del Comune milanese e la creazione del marchio YesMilano. Nel dicembre 2021 il Comune di Milano ha conferito un incarico da 152mila euro in tre anni al signor Marco Pogliani. Un caso di omonimia?
Pogliani, il trasversale.
APPLAUSI E SCENA APERTA
Ecco un resoconto dello spettacolo di ieri sera. Alla fine uno scrosciante applauso della Genova che conta. Poi trenette al pesto per tutti (a Milano, informa Pogliani, con Sala hanno mangiato riso allo zafferano).
IL MESTIERE DELL’OPPOSIZIONE
E adesso capite perché è tanto dura fare opposizione in Liguria. Vorresti svelare le imprese di chi comanda, ma lo fanno già loro sul palco. Racconti di tutto, ma la folla ormai applaude”.

Oscar Wilde

L’importanza di chiamarsi Demetrio…. o Pogliani

Che in fondo tutto un simile ambaradan con Bucci nei panni del sindaco di Belsito – in cui, fra l’altro ha detto di essersi riconosciuto – andato in scena sul palco della Claque al Teatro della Tosse era stato organizzato per lanciare l’ultimo lavoro letterario di Pogliani: “Demetrio”. E Pogliani  ha interpretato il protagonista del libro, Demetrio, un eterno secondo che riscopre il gusto della vita in una comunità per anziani molto particolare, non una casa di riposo, ma di  rigenerazione. Un romanzo intimista, edito da La nave di Teseo, che a Milano (dove gravita gran parte dell’attività dell’agenzia di Pogliani) ha la sua sede.

E siccome il nome Demetrio, che significa “dedicato a Demetra” divinità greca della terra, della fecondità e dell’oltretomba…. o Pogliani che sia, mi è sembrato importante, mi fa piacere ricordare una commedia teatrale di Oscar Wilde che dà importanza esclusiva a un nome, “l’importanza di chiamarsi Ernesto” dove l’autore gioca sul nome proprio Ernest che per pronuncia somiglia all’inglese earnest, cioè franco, probo, serio, coscienzioso. Commedia ambientata nell’upper class britannica in cui l’aristocratica Guendalina manifesta la sua predilezione per il nome Ernesto (Ernest, nella lingua inglese, si pronuncia come la parola earnest, aggettivo utilizzato per indicare colui che è serio, coscienzioso, franco) e il giovane Giovanni Worthing (Nino) ha assunto tale nome allo scopo di farle la corte, inventandosi pure un fratello scapestrato, impersonato dall’amico Algernon che ama a sua volta la piccola Cecilia e che approfitta dall’inganno escogitato dal primo per starle accanto. La vicenda, da sempre rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo, si snoda in maniera quanto mai brillante, sospesa com’è fra equivoci geniali e dialoghi superbi che Wilde sa abilmente condurre sino a un lieto fine che, ancora una volta, conferma il paradosso della superiorità delle parole sui fatti anticipando tutte le risultanze del teatro dell’assurdo. Come dire che Il nome Earnest, tradotto in italiano, corrisponderebbe al nome Franco, sinonimo di onesto, sincero ed è proprio questo che rende interessante la commedia, basata fin dal titolo su un contro-senso che vedrebbe i protagonisti, due bugiardi abitudinari, conosciuti col nome di Earnest. Algernoon e Jack, infatti, sono due amici aristocratici che vivono nella menzogna spacciandosi per un Earnest in realtà inesistente…

Teatro dell’assurdo, insomma o dell’apparenza. In cui ci vedrei bene persino un’armocromista. Anche se a mio parere basterebbe addirittura un filo di trucco, o magari di abbronzatura.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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