Erdoğan non piace tanto all’Europa, ma ne abbiamo bisogno per gestire i flussi migratori
Recep Tayyip Erdoğan è stato rieletto Presidente della Turchia e dovrà affrontare le sfide importanti sui temi della salute, dell’economia e della politica internazionale.
Nonostante l’immagine sbiadita degli ultimi anni e le difficoltà economiche, Erdogan è riuscito a conquistare la carica di presidente con circa il 52% dei voti e anche grazie al sostegno di Sinan Oğan, candidato nazionalista, che aveva ottenuto il 5,2% dei voti al primo turno.
Kemal Kılıçdaroğlu, uscito sconfitto dal confronto elettorale, ha però raggiunto alcuni risultati importanti costringendo Erdoğan al ballottaggio, un evento senza precedenti, e nel modificare il dialogo politico usando toni pacati e riflessivi, opponendo al carattere forte e al linguaggio aggressivo del Rais, un’apertura al dialogo che in Turchia non è una consuetudine.
La ricostruzione dopo il terremoto
Erdoğan dovrà affrontare numerose sfide sia sul fronte interno che su quello internazionale. Uno dei temi principali di politica interna è la questione spinosa della ricostruzione, e, aspetto non secondario, la sostituzione dei burocrati statali che per corruzione o negligenza hanno concesso con superficilaità le licenze edilizie, perchè nel futuro della Turchia c’è la costruzione di oltre 300.000 case entro un anno. In subordine c’è anche la questione dei rifugiati siriani, circa 3,7 milioni di persone, che rappresentano un problema di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.
Sul fronte economico, la Turchia è devastata da una crisi economica che ha fatto crollare la moneta nazionale e decollare l’inflazione fino a punte dell’85%, aggravata dagli effetti della pandemia, dalla guerra in Ucraina e dal terremoto. I tassi di disoccupazione e inflazione sono alti, e la lira turca si è svalutata. Erdoğan ha dichiarato di non voler abbandonare la politica dei tassi bassi, suscitando non poche preoccupazioni nei mercati finanziari.
Un amico della NATO
In politica estera, Erdoğan ha fatto dell’attivismo diplomatico un elemento chiave del suo successo. La Turchia si è posizionata come un attore importante in molte questioni regionali, come la Libia, l’Azerbaigian e il conflitto russo-ucraino, la gestione dei flussi migratori, e nonostante la Turchia rimanga un alleato della NATO, i rapporti con il blocco dei paesi occidentali è di reciproca diffidenza. Per Erdoğan l’Europa è un enorme bancomat da cui attingere risorse in cambio della gestione di alcune questioni spinose come migrandi e terroristi, e spesso, nei confronti soprattutto degli ultimi, con sistemi di gestione che fanno a pugni con i diritti umani.
Ma anche di Cina e Russia
Sul tema economico, ve detto che Erdoğan ha anche cercato di diversificare le partnership, stringendo legami con Cina e Russia, con l’obiettivo di riconciliare la Turchia moderna con il suo glorioso passato, facendo riferimento all’Impero Ottomano.
Ma nonostante la vittoria elettorale la Turchia rimane un paese diviso e polarizzato tra chi sostiene Erdoğan e chi è deluso dal suo sistema di potere, e mentre il Rais si prepara per un nuovo mandato, rimangono sul tavolo i problemi con i curdi, che la Turchia sta cercando di gestire dialogando con il regime siriano del presidente Bashar al-Assad, fresco di riammissione nel consesso della Lega Araba, operazione che ha nella Russia il suo principale sponsor. Ma l’uscita dall’isolamento passerà anche attraverso i processi di normalizzazione con Emirati Arabi Uniti, Israele e Arabia Saudita.
E nell’anno del centenario della Repubblica, Erdoğan proverà a far tornare la Turchia “great again” o proverà a farcelo credere.
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