Il crollo. Ponte Morandi, una strage italiana

Il nuovo libro di Marco Grasso svela il lato oscuro di questa Italia svenduta dal sottobosco arraffone della nostra politica

Genova – Cinque anni dopo il crollo, il Ponte Morandi vive ancora. Non solo nelle ferite ma anche nella speranza che l’impegno dei parenti delle vittime e la responsabilità e la competenza dei giornalisti che il loro mestiere lo sanno fare, impediscano che l’implacabile scopa della storia spazzi via un’altra volta 43 vite e creino un mondo migliore in cui tutti siamo al sicuro.

L’intervista

“Il crollo”, a cinque anni dalla tragedia di Ponte Morandi che storia racconta?

“Il crollo” racconta di un crollo effettivo, quello di un ponte, ma anche un crollo in senso metaforico perché il crollo di un intero sistema che era quello che regolava l’infrastruttura stradale e che regolava i rapporti tra lo Stato e la concessionaria in questo libro a cinque anni dal disastro di Genova e dei suoi 43 morti vengono ricostruite tre storie tutte connesse.
La prima è quella di un ponte degli allarmi ignorati sul ponte per 40 anni un ponte che si sapeva fragile e che poi alla fine è davvero caduto come molti temevano.
La seconda storia è quella che un po’ ricalca ciò che abbiamo scoperto dagli atti giudiziari cioè il funzionamento di una di una società che secondo l’accusa falsificava sistematicamente i rapporti sulla sicurezza per far fare più profitti agli azionisti.
La terza storia che si racconta in questo libro è quella dei rapporti tra la principale concessionaria Autostrade per l’Italia controllata dalla famiglia Benetton e lo stato è una storia che parla di porte girevoli di finanziamenti ai partiti di un’informazione che ha trattato sempre molto bene questo gruppo che nel tempo però ha gestito le autostrade spremendole come un limone facendo molti profitti e risparmiando sulla manutenzione e questa parte è anche una riflessione più generale su quello che sono state forse le privatizzazioni in Italia.

Ecco, si è sentito tanto parlare di mancanze in questa storia. Mancanza di investimenti, mancanza di sicurezza, mancanza di trasparenza. E poi tutto ad un tratto è spuntato il modello Genova

Diciamo che per quello che riguarda il Ponte Morandi la mancanza di sicurezza appunto come dicevo sono gli allarmi ignorati che partono addirittura dal progettista Riccardo Morandi e arrivano fino a un documento scioccante del 2013 in cui la stessa società descrive il viadotto come a rischio crollo per ritardata manutenzione.
Poi, dopo il crollo, si è ricostruito un ponte nuovo in fretta. Si è ricostruito con i migliori intenti e le migliori energie però in un contesto del tutto eccezionale. È in questo contesto che si è affermato il cosiddetto modello Genova, con la volontà di esportare questo modello, che poi altro non sarebbe se non liberarsi delle regole del codice degli appalti come se questo bastasse a rendere un’opera efficiente. In realtà può essere molto pericoloso portarlo altrove questo cosiddetto modello senza gare e senza controlli, perché l’Italia ha un grande rischio corruzione, un grande rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata e bisognerebbe essere molto cauti prima di liberarsi delle regole che abbiamo per le opere grandi o piccole che siano.

Un libro che è oltre 400 pagine di inchiesta, che cosa ci lascia questa tragedia?

Questa tragedia ci lascia senza dubbio l’amaro in bocca perché la sensazione è quella di una mancanza di giustizia che comincia con la morte di 43 persone. Sul quel ponte poteva esserci chiunque di noi. Persone che da un giorno all’altro sono state tolte alle loro famiglie, gli è stata tolta la vita, e che oggi chiedono giustizia in un processo.
Fuori dal contesto del processo, però, c’è un senso di ingiustizia che riguarda tutto un sistema, perché abbiamo scoperto che lo Stato aveva firmato accordi estremamente sfavorevoli e si era legato a contratti incredibilmente favorevoli per la concessionaria e in tutto questo l’esito finale è che i danni ce li pagheremo noi perché in definitiva Autostrade per l’Italia è tornata pubblica, è stata ricomprata da Cassa Depositi e Prestiti, e tutti questi risarcimenti ricadranno su una società a capitale pubblico mentre i privati sono andati via con i profitti.

Uno sguardo sul processo

A cinque anni dalla tragedia del 14 agosto 2018, come sta andando il processo?

È un processo obiettivamente complesso che non ha precedenti né al Tribunale di Genova ma direi in Italia. Un processo con complessità quindi tempi fisiologicamente non brevi che sta svelando quelle che abbiamo appreso già dall’indagine essere state le omissioni le falsificazioni dietro la strage del Ponte Morandi.
Le persone imputate sono 58, ricordiamolo, e gli imputati inizieranno a parlare dal prossimo autunno.
Finora, nel primo anno di udienze, sono stati sentiti i testimoni, molti dei quali estremamente importanti, per ribadire in qualche modo quelle che sono state appunto le omissioni nelle manutenzioni e anche le falsificazioni dei rapporti che certificavano una sicurezza evidentemente del tutto inesistente.
Uno dei dati che emerge fortissimo dalle udienze che si sono svolte a partire da settembre e sostanzialmente fino a pochi giorni fa, riguarda l’attenuazione di dichiarazioni molto incisive rese da alcuni testimoni nel corso dell’indagine e poi in qualche modo ricalibrato un po’ al ribasso quando gli è stato chiesto di riconfermarle in aula.
Questo è un elemento che colpisce profondamente perché evidentemente i ricordi non possono essersi annebbiati in un lasso di tempo relativamente ridotto su elementi molto specifici. Però ci sono testimoni che durante le indagini hanno reso dichiarazioni molto pesanti sulle omissioni, in particolare da parte di Autostrade per l’Italia e dei suoi alti dirigenti, che però reinterrogati in aula e non più soltanto in un ufficio della Guardia di Finanza in qualche modo hanno fatto qualche passo indietro.
Questo è un elemento sicuramente da rilevare va però sfatato il luogo comune che ci fa dire spesso che i processi non servono a niente e nessuno atterrà giustizia. Io credo che ci siano le premesse, grazie al lavoro istruttorio condotto poi dagli inquirenti in maniera davvero poderosa, ci siano le premesse perché questo processo abbia un esito giusto che in qualche modo possa ristorare perlomeno in termini di giustizia i familiari delle vittime e chiunque si sia sentito ferito dal crollo del Ponte Morandi.

Non cè il rischio, come ha detto Egle Possetti, la Portavoce del Comitato Parenti Vittime Ponte Morandi, che ci sveglieremo un giorno per scoprire che si sono tutti suicidati?

È uno spauracchio comprensibile da parte di chi ha vissuto sulla propria pelle una vicenda tanto dolorosa. Ma io credo che potrebbe anche non andare così.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.

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