Il Governatore della Lombardia: “Non ho mai avuto dubbi”
Milano – Si chiude definitivamente, dopo oltre 3 anni, con la conferma dei proscioglimenti “perché il fatto non sussiste”, la vicenda di Attilio Fontana e di altri quattro indagati, tra cui il cognato Andrea Dini, su una fornitura di camici e altri dispositivi di protezione all’epoca della prima ondata Covid, poi trasformata in donazione.
Lo ha deciso stamani la seconda penale della Corte d’Appello milanese spazzando via quell’accusa di frode in pubbliche forniture contestata dalla Procura, e poi sostenuta in aula anche dalla Procura generale, e stabilendo che su questo caso non è necessario alcun processo. Già il 13 maggio 2022 il gup Chiara Valori, in fase di udienza preliminare, aveva emesso sentenza di “non luogo a procedere” per il governatore lombardo, per il cognato e titolare di Dama spa, per Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, ex dg e dirigente di Aria, centrale acquisti regionale, e per il vicesegretario generale di Regione Lombardia, Pier Attilio Superti. Oggi il collegio di secondo grado (giudici Manzi-Banci Buonamici-Siclari) ha confermato quel verdetto e depositerà le motivazioni tra 90 giorni.
“Sono molto contento, me lo aspettavo ma è sempre una grande gioia vedere che la propria linearità di comportamento sia stata riconosciuta”, ha spiegato Fontana, aggiungendo: “Non ho mai avuto dubbi su questo fatto e spero che se ne accorgano in tante persone”. La “trasformazione” da fornitura in donazione alla centrale acquisti lombarda di quei camici e altri dpi da parte di Dama (la moglie del governatore aveva una quota del 10% nella spa), scrisse il gup nelle motivazioni, “si è realizzata con una novazione contrattuale che è stata operata in chiaro, portata a conoscenza delle parti, non simulata ma espressamente dichiarata”.
Non ci fu, quindi, alcun “inganno”. Nel “caso camici”, ha spiegato il giudice, “pare difettare in toto la dissimulazione del supposto inadempimento contrattuale”. E non conta, dal punto di vista giuridico e penale, aveva precisato il gup, il motivo, ossia che si volesse “indubbiamente” mettere “al riparo” il presidente della Lombardia dalle “attenzioni della stampa e dal giudizio dell’opinione pubblica” su quella fornitura assegnata alla società del cognato. Un inadempimento contrattuale che era contestato, invece, dall’aggiunto dell’epoca Maurizio Romanelli e dai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas, perché, questa la tesi, quando quella fornitura dell’aprile 2020 affidata a Dama (da 75mila camici e altri 7mila dpi per 513mila euro) si era trasformata in donazione, dopo la consegna di circa 50mila camici, non erano stati più consegnati i rimanenti 25mila. Da qui l’accusa di frode. La Procura aveva presentato ricorso e il sostituto pg Massimo Gaballo in udienza aveva insistito perché gli imputati andassero a processo. Processo ritenuto non necessario dal gup e dalla Corte d’Appello con una decisione definitiva, non più appellabile.
“Fontana ha patito per tre anni su una graticola e poi oggi è finita così. Siamo stati coinvolti in una vicenda che da un punto di vista penale non aveva nulla, mi spiace per chi ha lavorato per nulla”, hanno commentato gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, legali di Fontana. Dini, ha spiegato l’avvocato Giuseppe Iannaccone, “ha dovuto affrontare un procedimento lungo e inutile, ma quello che rimane è la sua innocenza assoluta e cristallina”. Per l’avvocato Domenico Aiello, difensore di Bongiovanni e Schweigl, “per molto tempo, almeno tre anni, gli eroi sono stati trasformati in mostri”.