Secondo le “informazioni credibili” citate dall’Ufficio Onu per i diritti umani, le persone sepolte sarebbero state uccise dalle Rsf, le Forze di Supporto Rapido fedeli al generale “Hemeti” Dagalo, fra il 13 e il 21 giugno
L’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani cita “informazioni credibili” secondo cui i corpi di almeno 87 persone, alcune delle quali appartenenti all’etnia Masalit, sono stati sepolti in una fossa comune in Darfur occidentale fuori dalla capitale della regione, El-Geneina, dopo essere stati uccisi dalle forze paramilitari Rsf (Rapid Support Forces) e da una milizia alleata.
Secondo le “informazioni credibili” citate dall’Ufficio Onu per i diritti umani, le persone sepolte nella fossa comune sono state uccise dalle Rsf e dalla milizia alleata fra il 13 e il 21 giugno nei distretti di Al-Madaress e Al-Jamarek di El-Geneina e comprendono molte delle vittime delle violenze seguite all’uccisione di Khamis Abbaker, il governatore del Darfur occidentale, avvenuta il 14 giugno, poco dopo essere stato preso in custodia dalle Rsf.
Tra i corpi trovati ci sono anche quelli di persone decedute per le ferite non curate.
Il Sudan è precipitato nel caos a metà aprile, quando le tensioni tra l’esercito regolare e le forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) sono sfociate in veri e propri scontri aperti.
Il Darfur è stato l’epicentro del conflitto, che si è trasformato in violenza etnica, con le truppe della Rsf e le milizie arabe alleate che hanno attaccato gruppi etnici africani.
Secondo quanto riferito dall’ufficio Onu per i diritti umani, in base alle informazioni raccolte “la popolazione locale è stata costretta a eliminare i corpi in una fossa comune, negando alle vittime una degna sepoltura in uno dei cimiteri della città. Almeno 37 corpi sono stati sepolti il 20 giugno in una fossa comune profonda circa un metro in un’area aperta chiamata Al-Turab Al Ahmar (Terra Rossa), nella zona di Ranga, fra 2 e 4 chilometri a nord-ovest del quartier generale della Polizia Centrale di Riserva nella parte occidentale di El-Geneina”, mentre “altri 50 corpi sono stati sepolti nello stesso sito il 21 giugno” e “tra i corpi sepolti c’erano anche quelli di sette donne e sette bambini”.
Cosa sta succedendo in Sudan?
L’ONU afferma che il conflitto in corso in Sudan ha spinto oltre 3 milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Sarebbero oltre 700.000 i profughi fuggiti verso i paesi confinanti, secondo quanto riferito ieri.
Il Regno Unito ha annunciato sanzioni contro le fazioni in guerra, vista la crescente preoccupazione che il Paese stia scivolando in una “guerra civile su larga scala”.
I demoni a cavallo
Il conflitto ha vanificato le speranze sudanesi di ripristinare la fragile transizione del Paese verso la democrazia, avviata dopo una rivolta popolare che aveva portato alla rimozione del dittatore di lunga data, Omar al-Bashir, nell’aprile 2019.
Un colpo di stato, guidato dall’esercito e dalle RSF fedeli al generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, ha interrotto la transizione democratica nell’ottobre 2021.
Da notare che le truppe di Dagalo, prima di diventare Rsf, erano quelle che il governo del presidente al-Bashir aveva usato per sedare i ribelli del Darfur. Solo che all’epoca si facevano chiamare Janjawid, demoni a cavallo. Gli stessi che nel 2019 presero parte al golpe per detronizzarlo. Un caso tipico della milizia che si ribella a chi l’ha creata.
Khartum è un campo di battaglia
Il conflitto ha trasformato Khartum, la capitale, e altre aree urbane in campi di battaglia. Membri della forza paramilitare hanno occupato le case delle persone e altre proprietà civili fin dall’inizio del conflitto, lo riportano residenti e attivisti. Ci sono anche state segnalazioni di distruzioni e saccheggi diffusi in tutta Khartum e nella vicina città di Omdurman.
La vasta regione del Darfur ha subito alcuni dei peggiori episodi di violenza nel conflitto, con gli scontri che si sono trasformati in pulizia etnica, secondo l’ONU. Le Rsf e le milizie arabe alleate hanno devastato la regione, costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle loro case. Interi villaggi e città sono stati rasi al suolo e saccheggiati, soprattutto nella provincia del Darfur Occidentale.
Gli scontri hanno causato la morte di più di 3.000 persone e ferito più di 6.000, ha affermato il ministro della Salute, Haitham Mohammed Ibrahim, in tivù il mese scorso. Tuttavia, secondo medici e attivisti, il numero delle vittime potrebbe essere molto più alto.
Non ci sarà il cessate il fuoco
Gli sforzi internazionali e regionali finora non sono riusciti a stabilire un cessate il fuoco che permetta alle agenzie umanitarie di fornire sostegno alle persone ancora intrappolate nel conflitto. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito nel fine settimana che il Paese sta per precipitare in una “guerra civile su larga scala”.
All’inizio di questa settimana, un incontro regionale ha proposto l’idea di dispiegare truppe in Sudan per proteggere i civili. Il Gruppo del Quartetto – Kenya, Etiopia, Gibuti e Sud Sudan -, cioè i Paesi dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) che lunedì scorso si sono riuniti ad Addis Abeba, ha chiesto un vertice delle Forze di Pronto Intervento dell’Africa Orientale – un blocco regionale composto da 10 membri -, per valutare questa proposta.
Il Gruppo del Quartetto è presieduto dal presidente keniota William Ruto, che ha chiesto un cessate il fuoco incondizionato in Sudan e la creazione di un corridoio umanitario per aiutare nella consegna degli aiuti.
Il delegato militare sudanese, invece, non ha partecipato all’incontro di lunedì ad Addis Abeba e ha accusato Ruto, il presidente del Quartetto, di schierarsi con la forza paramilitare a causa dei suoi presunti legami commerciali con la famiglia del comandante delle Rsf, il generale “Hemeti” Dagalo. E il governo sudanese in carica, controllato dai militari, ha ribadito le sue richieste di sostituire il leader keniota come presidente del Quartetto.
Non ci sono state dichiarazioni immediate da parte del Kenya. Tuttavia, il governo ha negato le accuse il mese scorso e ha affermato che Ruto, che è stato nominato dall’Igad nonostante l’opposizione militare sudanese, è neutrale.
Il governo sudanese ha anche denunciato la proposta di dispiegare truppe straniere, affermando che qualsiasi forza straniera sul territorio sudanese sarebbe considerata come un “aggressore”. Ha anche criticato i commenti del primo ministro etiope che ha chiesto l’imposizione di una zona di non sorvolo sul Sudan.
Oggi, a Il Cairo, il vertice dei Paesi vicini
I leader di Sud Sudan, Ciad, Eritrea, Libia ed Etiopia sono arrivati mercoledì pomeriggio al Cairo per partecipare all’incontro dei Paesi confinanti con il Sudan, secondo quanto riporta l’Al-Ahram, il giornale di stato egiziano. L’incontro, che si svolge proprio oggi, secondo la presidenza egiziana mira a stabilire dei “meccanismi efficaci” per contribuire a trovare una soluzione pacifica al conflitto.
La diplomazia regionale si tiene mentre i colloqui tra le fazioni in guerra nella città costiera saudita di Gedda hanno ripetutamente fallito nel fermare gli scontri. I colloqui di Gedda sono stati mediati dall’Arabia Saudita e dagli USA.
Sanzioni alle aziende del generale “Hemeti”
Nel frattempo, il governo britannico ha imposto sanzioni a sei aziende legate alle forze militari e alle Rsf, per aumentare la pressione internazionale sulle fazioni in guerra per fermare i combattimenti. Le sanzioni, annunciate mercoledì, sono quasi identiche a quelle imposte dagli Stati Uniti ad entrambe le parti il mese scorso.
Il Ministero degli Esteri britannico ha dichiarato che le aziende sanzionate includono Al Junaid, una redditizia società di estrazione dell’oro di proprietà della famiglia del generale delle Rsf, Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo. Sono state sanzionate anche la GSK Advance Ltd e la Tradive General Trading L.L.C., che ha sede negli Emirati Arabi Uniti. Entrambe le aziende sono presunte società di facciata controllate dalla famiglia Dagalo.
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