Molto del denaro della cosca era devoluto al mantenimento dei familiari e degli affiliati in stato di detenzione proprio per evitare le collaborazioni con la giustizia
Foggia – Con i profitti del traffico di droga e delle estorsioni, la Società Foggiana avrebbe alimentato la “cassa comune”, utilizzata per distribuire i guadagni illeciti, assicurare somme ai sodali, denaro devoluto al mantenimento dei familiari e degli affiliati in stato di detenzione, anche al fine di scoraggiare il fenomeno del pentitismo.
È quanto emerge dall’inchiesta Game Over, coordinata dalla Dda di Bari, sull’associazione di stampo mafioso attiva in Capitanata, la Società Foggiana appunto, sfociata oggi nell’esecuzione di 82 misure cautelari.
Secondo l’accusa, le tre articolazioni componenti del sodalizio mafioso, “Moretti-Pellegrino-Lanza”, “Sinesi-Francavilla” e “Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese” , avrebbero esercitato la loro “pressione mafiosa per la monopolizzazione del traffico di cocaina sul territorio cittadino. Le indagini hanno consentito di accertare la disponibilità di depositi sorvegliati per la custodia ed il confezionamento della cocaina, l’esistenza di una rete di venditori che secondo l’accusa sarebbero stati “consapevoli di operare illecitamente nell’ambito del contesto associativo asservito a scopi mafiosi, inquadrati in squadre operative e ripartiti, secondo il livello operativo, nella lista dei grossi e nella lista dei piccoli, a cui venivano distribuiti con cadenza regolare quantitativi prestabiliti di cocaina, nell’ordine delle centinaia di grammi i primi e delle decine di grammi invece i secondi”.
Un patto tra clan
“Le tecniche investigative adoperate hanno messo in luce l’essenza e la natura dei vincoli che univano – a vario titolo – tutti i soggetti coinvolti nel core business del ‘sistema’, vale a dire l’esercizio in forma imprenditoriale della cessione di cocaina”.
Le indagini, condotte dal Nucleo Investigativo del comando provinciale carabinieri di Foggia, anche con il contributo della Direzione Nazionale Antimafia, che ha applicato un suo magistrato, hanno permesso di accertare che “la strategia criminale dei componenti dell’organizzazione presupponeva – come è risultato da talune conversazioni chiare ed esplicite – la sussistenza a monte di un pactum sceleris, siglato dai capi storici dei clan componenti le batterie mafiose confederate nella Società Foggiana”, prosegue la Dda del capoluogo pugliese. “I metodi di gestione del traffico di stupefacenti, a cui gli stessi indagati avevano dato, a loro volta, il nome di Sistema, prevedevano l’attribuzione, all’interno del sodalizio, di ruoli definiti”.
Dal traffico droga profitti per 200mila euro al mese
Dieci chilogrammi al mese di cocaina, acquistata a un prezzo di poco inferiore ai 40 euro al grammo, poi rivenduta, a seconda dei casi, a 55 o 60 euro al grammo. È quanto emerge dalle indagini.
Stando all’inchiesta, i profitti realizzati dalla consorteria mafiosa sarebbero quantificabili in almeno 200mila euro al mese e le dosi di cocaina immesse sulle piazze di spaccio sarebbero state 50mila al mese. Il traffico di droga, secondo la Dda barese, sarebbe stato gestito con “un aggressivo e minuzioso sistema di regole, che ha garantito ai vertici operativi del sodalizio, coincidenti con i vertici delle batterie mafiose, la possibilità di un controllo capillare e di una posizione di monopolio nella vendita della cocaina”.
Ci sarebbe stata “l’imposizione dell’obbligo, a pena di pesanti ritorsioni anche armate, di commercializzare esclusivamente la sostanza stupefacente fornita dal sodalizio stesso. Tale imposizione, attuata con le caratteristiche tipiche delle organizzazioni mafiose, ha assicurato all’associazione consistenti profitti illeciti e ulteriori 7 Euro per ogni grammo di cocaina venduta a Foggia”, spiega la Dda barese. Come già detto, tali “profitti sarebbero stati utilizzati anche per alimentare la cassa comune, funzionale al perseguimento degli scopi criminali della Società foggiana”.
L’indagine: tutto parte da un omicidio del 2016
L’inchiesta della Dda di Bari sulla Società Foggiana, sfociata nel blitz di stamattina, parte dal procedimento relativo all’omicidio di matrice mafiosa di Roberto Tizzano e al ferimento di Roberto Bruno, entrambi ritenuti esponenti di rilievo della batteria “Moretti-Pellegrino-Lanza”, una delle articolazioni dell’organizzazione mafiosa nota appunto come Società foggiana.
I due furono raggiunti da colpi d’arma da fuoco il pomeriggio del 29 ottobre 2016.
“Per questo delitto di mafia sono stati condannati, in via definitiva, Patrizio Villani, Cosimo Damiano Sinesi e Francesco Sinesi, tutti appartenenti alla batteria antagonista Sinesi-Francavilla”, ricorda la Dda di Bari.
“Le sentenze hanno accertato che il mandante dell’efferata azione era stato Francesco Sinesi, in risposta al tentato omicidio, il 6 settembre 2016, ai danni di suo padre Roberto Sinesi, capo storico dell’omonima batteria mafiosa”.
Il luogo del delitto, bar “All’H24” di Foggia, si è rilevato, a seguito delle indagini compiute, la base operativa centrale del traffico di sostanze stupefacenti.
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