L’emergenza migranti in Italia sta generando un caos politico sempre più preoccupante, con il Governo centrale e le Regioni che sembrano incapaci di gestire una situazione che appare sempre più fuori controllo
Cosa succede oggi
Il crescente numero di minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia continua a rappresentare una sfida significativa per le autorità locali e nazionali. Molte città e province, tra cui Modena e Bergamo, si trovano ad affrontare il compito di fornire una sistemazione adeguata e misure di assistenza per questi giovani in cerca di protezione e opportunità.
Modena: Alla ricerca di soluzioni temporanee di accoglienza
Modena sta cercando di far fronte al numero crescente di minori stranieri non accompagnati attraverso l’identificazione di strutture temporanee di accoglienza. La Prefettura ha lanciato un avviso pubblico per un’indagine di mercato allo scopo di individuare operatori economici disposti a gestire i servizi di accoglienza in strutture fornite da enti gestori locali. L’obiettivo è assicurare una sistemazione adeguata e il supporto necessario a questi giovani, in attesa del loro trasferimento verso centri di accoglienza nelle diverse località del territorio.
Bergamo: La sfida dei costi e dell’afflusso continuo
Bergamo, d’altra parte, sta affrontando le sfide finanziarie associate all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. La città ha presentato un ricorso per ottenere un rimborso di 5,5 milioni di euro dallo Stato, che rappresentano le spese sostenute per l’accoglienza di questi giovani. Bergamo ha organizzato un sistema di accoglienza primaria attraverso il coinvolgimento di enti locali, ma si trova ora a cercare comunità accreditate in altre parti d’Italia, spesso al Sud o in altre regioni, per poter trasferire i minori. Questo processo, tuttavia, è spesso ostacolato dalla saturazione delle comunità di accoglienza nelle diverse regioni.
La critica e le possibili soluzioni
Il sistema di accoglienza e l’approccio delle autorità statali sono stati oggetto di critiche da parte di alcuni osservatori. Alcuni ritengono che l’accoglienza dei minori non accompagnati debba essere concepita come un percorso di emancipazione e non solo come un processo burocratico di sistemazione in strutture temporanee. È sottolineato che l’approccio deve essere più coordinato tra le diverse regioni e città, con un adeguato ricambio tra la prima accoglienza e la successiva sistemazione.
Alcuni suggerimenti per affrontare queste sfide includono un maggiore coinvolgimento e collaborazione tra tutte le regioni italiane per distribuire equamente il carico dell’accoglienza, investimenti in programmi di formazione per gli operatori delle strutture di accoglienza, in modo da garantire un sostegno adeguato ai minori con traumi alle spalle e una maggiore pianificazione e flessibilità nel passaggio dalla prima accoglienza alle comunità di accoglienza, per evitare la saturazione e che produce inefficienza.
Il Veneto
La capogruppo del Partito Democratico al Consiglio regionale Veneto, Vanessa Camani, ha lanciato un messaggio critico nei confronti delle azioni intraprese sia a livello nazionale che regionale per far fronte all’emergenza migranti. Secondo Camani, il governo guidato da Meloni sta dimostrando di essere incapace di offrire soluzioni concrete oltre alla propaganda, lasciando un vuoto di azione e pianificazione. Nel frattempo, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, sembra immobilizzato e incapace di reagire efficacemente alla crisi in corso.
La proposta di utilizzare grandi centri per i rimpatri, proposta come possibile soluzione, è stata criticata da Camani. Questa strategia, che ha un tono retorico e si basa sull’idea dei rimpatri come soluzione principale, sembra inefficace nella realtà numerica attuale e potrebbe portare al ripristino di hub regionali, che hanno dimostrato di essere dannosi in passato. Concentrare un gran numero di migranti in un unico luogo può portare a situazioni di degrado, conflitti e condizioni umane al limite del disumano.
Cosa è successo nel recente passato: da Mare Nostrum alla Commissione d’inchiesta su Frontex
Dopo la tragedia di Lampedusa, con i suoi 368 morti accertati, l’Italia avvia Mare Nostrum. Attiva dall’ottobre del 2013 all’ottobre del 2014, si tratta di un’operazione umanitaria di salvataggio dei migranti che cercano di attraversare il Canale di Sicilia in partenza dalle coste libiche.
Troppo gravosa per l’Italia, che al tempo ottenne soltanto l’appoggio della Slovenia intervenuta mettendo a disposizione la nave Triglav, Mare Nostrum viene sostituita da Triton, una missione navale di sicurezza coordinata da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne.
Nel mentre, il conflitto interno in Libia aggrava la situazione di crisi nel Mediterraneo centrale e l’aumentato flusso migratorio si trasforma nell’obiettivo principale dei trafficanti di esseri umani. Una rete messa in piedi per guadagnare bei soldi sulla disperazione di uomini, donne e bambini che ogni giorno tentano di intraprendere i viaggi per mare.
Tutto precipita ancora una volta il 18 aprile 2015 quando a Nord della Libia affonda un peschereccio con a bordo oltre 800 migranti. L’Unione Europea decide di reagire e mette in campo la prima operazione militare di sicurezza contro la tratta dei migranti nel Mediterraneo centrale, Eunavfor Med Sophia.
Gli accordi di Minniti con la Libia
E arriviamo al 2017 e al Memorandum di intesa siglato con il premier libico Fayez al-Sarraj. Con la firma di Marco Minniti, allora Ministro dell’Interno, l’Italia assicura sostegno tecnico ed economico per la formazione della guardia costiera di Tripoli. La Libia, che avrà una zona Sar soltanto nel 2018, si impegna a migliorare i centri per i migranti.
Dopo mesi di pressanti richieste italiane per regionalizzare il Sar, nel 2018 decade il trasporto automatico in Italia dei migranti recuperati in mare che il nostro Paese aveva accettato fin dal 2014. Sempre nel 2018 l’UE cambia il mandato dell’operazione Triton varando Themis e aggiungendo due nuove aree di pattugliamento in mare, una ad Est per i flussi migratori da Turchia e Albania, e una ad Ovest per quelli che partono da Libia, Tunisia e Algeria. L’agenzia europea aggiunge anche nuove competenze e decide che Themis si occuperà delle attività di intelligence finalizzate a individuare potenziali minacce terroristiche.
In seguito alle tensioni sugli sbarchi tra il successore di Minniti, Matteo Salvini, le ONG e i partner europei, l’operazione Sophia muore a marzo 2020 soppiantata da Eunavfor Med Irini. La novità più discussa di questa nuova impresa targata UE è la clausola sul “pull factor” che prevede il ritiro degli assetti navali nel caso in cui aumenti il flusso migratorio. Questa si fonda, infatti, sulla teoria che la presenza di navi europee in mare sarebbe un fattore di attrazione per i migranti che ne incentiva le partenze.
Non solo. Il focus della missione non è più il soccorso in mare ma l’applicazione dell’embargo sulle armi alla Libia. Per questo le navi sono spostate dal Mediterraneo centrale, teatro delle principali rotte migratorie libiche, a quello orientale, da dove passano gli armamenti.
Quando conveniva affidare alla criminalità libica il problema dei migranti
L’esempio più noto di “mafia libica” è rappresentato dal gruppo criminale di Zawiya e Zuwara, guidato da amazigh (berberi), con uomini d’affari italiani e maltesi.
Il report dell’Onu del 2019 si è concentrato sul centro di detenzione Zawiya, in Libia occidentale, ricavato da un’ex base militare collocata in zona strategica tra il porto e le raffinerie della città. Un posto perfetto per gestire sia il traffico di gasolio che quello di esseri umani.
Ossama Milad Rahuma era il carceriere del centro di detenzione dei migranti di Zawiya, luogo ufficialmente riconosciuto dal Ministero dell’Interno libico e dai governi dell’Unione europea.
Il Ministero fa parte del Governo di accordo nazionale (Gna) sostenuto dalle Nazioni Unite. Insomma le chiavi dell’inferno nelle mani di un criminale che tutti conoscevano e di cui molti apprezzavano le doti di risolutezza.
Ossama Milad Rahuma era uno dei capi della fazione militare Shuhada al-Nasr, ma è anche parente del guardacoste libico Abd al-Rahman Milad detto al-Bija, un delinquente patentato, che nel 2017 ha pure fatto visita, accompagnato dai nostri servizi, a un centro siciliano di accoglienza per migranti, il Cara di Mineo.
È il 2017
Sempre nel 2017, il guardacoste Abd al-Rahman Milad finisce nelle indagini della Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione “Dirty Oil”, accusato di favorire solo le navi di due trafficanti di gasolio maltesi in affari con il suo clan.
Ma non è finita. La Guardia di Finanza di Catania, nel 2017, aveva messo le manette a 9 trafficanti con l’accusa di riciclaggio di gasolio che veniva trafugato dalla raffineria libica di Zawyia e destinato, dopo la miscelazione, ad essere immesso nel mercato italiano ed europeo anche come carburante da autotrazione.
All’associazione criminale, che si è avvalsa dell’opera di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata contestata l’aggravante mafiosa proprio per la connivenza con Nicola Orazio Romeo ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, che in una conversazione intercettata dalla Polizia veniva definito un soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”.
All’Italia faceva comodo non guardare
E mentre Ossama Milad Rahuma, faceva affari e gestiva il centro di detenzione vicino alla raffineria in accordo e con il benestare di tutti i governi europei, nel rapporto, l’ONU si legge che “i migranti sono vittime di sfruttamento sessuale e violenza, pestaggi, fame e altri trattamenti degradanti”. Il prolungamento in mare del centro di detenzione è l’attività della Guardia Costiera libica che agevola i migranti in grado di pagare un riscatto e affonda quelli che non hanno da dare nulla. Quando gli affari con i migranti calano, la Guardia Costiera libica si occupa di contrabbando di gasolio, armi e droga.
Quando addestravamo i trafficanti
Ma in questo grande affare, fatto di ricatti, torture e affondamenti in acque libiche, l’Italia gioca e ha giocato un ruolo fondamentale. Già dai tempi di Gheddafi, il nostro Paese si era impegnato a regalare a Tripoli motovedette classe Bigliani comprese del relativo addestramento del personale militare di bordo, e questo attraverso il Fondo fiduciario Africa-Europa che ha versato 91,3 milioni di euro.
Insomma, abbiamo addestrato i trafficanti a utilizzare le motovedette della Guardia Costiera libica, forza militare che senza il nostro aiuto non esiterebbe.
Nel 2020 il Tribunale di Messina chiude un’indagine e condanna molti personaggi che erano ladri ma al tempo stesso anche di militari della Guardia Costiera libica. Probabilmente stava diventando imbarazzante il fatto che tutti i governi europei sapessero, italiani compresi, di essere complici di un’organizzazione criminale senza scrupoli. E poi, mentre la nostra Guardia di Finanza cercava di arginare i traffici illeciti, i servizi italiani trattavano con i contrabbandieri per gestire il centro di detenzione in Libia. Troppo anche per noi.
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