Questa è la denuncia fatta da Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up, che sottolinea come la principale causa di questa fuga sia il costo della vita insostenibile nelle regioni settentrionali
La crisi degli operatori sanitari in Italia continua a peggiorare, con decine di infermieri che hanno scelto di dimettersi dagli ospedali del Nord del paese per tornare alle loro città d’origine nel Sud. Questa è la denuncia fatta da Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up, che sottolinea come la principale causa di questa fuga sia il costo della vita insostenibile nelle regioni settentrionali.
Tra le aree più colpite da questa ondata di dimissioni si trovano i pronto soccorso e i reparti nevralgici, soprattutto nelle regioni dell’Emilia Romagna e della Liguria. Decine e decine di operatori sanitari, molti dei quali con contratti a tempo indeterminato nella sanità pubblica, hanno scelto di abbandonare il loro lavoro nel Nord per cercare opportunità migliori al Sud.
La situazione negli ospedali del Sud non è necessariamente migliore di quella nel Nord, con il caos nei pronto soccorso che continua a essere un problema diffuso. Tuttavia, De Palma sottolinea che una delle principali ragioni per questa fuga è la situazione delle violenze perpetrate contro gli operatori sanitari durante le ore notturne, una realtà insostenibile.
Un altro fattore determinante è il basso stipendio medio degli infermieri, che si attesta leggermente al di sopra di 1400 euro netti. Questo stipendio non è sufficiente per mantenere un giovane infermiere nelle costose città del Nord come Bologna o Genova. La disparità tra il costo della vita e le retribuzioni ha spinto molti a cercare alternative al Sud.
De Palma mette in luce che nel 2022, il sindacato aveva evidenziato una situazione preoccupante in regioni come il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e il Veneto, con 1530 dimissioni di operatori sanitari, in gran parte infermieri. Tuttavia, oggi l’attenzione si è spostata sull’Emilia Romagna e la Liguria. Solo negli ultimi giorni, nell’Azienda Sanitaria Locale (Ausl) di Bologna, sono state registrate ben 18 dimissioni improvvise da parte di infermieri, portando il totale a 40 dimissioni negli ultimi tre mesi. Nel corso dell’anno precedente, l’Azienda Sanitaria Bolognese aveva perso 270 infermieri, mentre nel 2021 erano stati 180. La maggior parte di queste uscite non sono dovute a pensionamenti programmati, ma a dimissioni volontarie.
A complicare ulteriormente la situazione è il fatto che non esiste un piano di assunzioni adeguato per rimpiazzare gli infermieri che lasciano il loro lavoro. La mancanza di candidati ai concorsi regionali è un ulteriore ostacolo a una soluzione a breve termine.
Inoltre, gli operatori sanitari rimasti affrontano turni massacranti e spesso non possono godere di ferie a causa della carenza di personale. Questa situazione ha scoraggiato sempre più giovani dall’entrare nella professione infermieristica, come dimostrato dal fatto che l’Università di Genova, nel corso di scienze infermieristiche, si trova per la prima volta ad avere più posti disponibili rispetto ai candidati.
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