“Noi, popoli delle Nazioni Unite,
decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.
In conseguenza, i nostri rispettivi Governi, per mezzo dei loro rappresentanti riuniti nella città di San Francisco e muniti di pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con ciò un’organizzazione internazionale che sarà denominata le Nazioni Unite.”
Così recita il preambolo della Carta delle Nazioni Unite, firmata da 51 membri originari e adottata per acclamazione a S. Francisco il 26 giugno 1945.
È utile di tanto in tanto riportare integralmente i testi per cercare di contenere il pressappochismo analitico così dilagante, in questo tempo orribile, su nuovi e vecchi media.
Dopo il fallimento della “Società delle Nazioni” e con la tragedia della seconda guerra mondiale ancora in corso, si determinò l’esigenza di una nuova Organizzazione internazionale degli Stati in grado di operare efficacemente in materia di sicurezza internazionale; ma sin dalla sua origine – “Washington Conversations on International Organization” di Dumbarton Oaks del 1944 e ancor prima la Dichiarazione di Mosca del 1943 – la nuova istituzione rispecchia la situazione che si andava determinando con la fine del conflitto bellico. Le basi della futura organizzazione furono poste infatti dai quattro alleati: USA, Gran Bretagna, Repubblica di Cina e URSS, con la Francia inizialmente esclusa.
Il Consiglio di Sicurezza dei “Big five”
Anche questa struttura, come la precedente, deve operare prioritariamente per prevenire i conflitti, mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ma il potere decisionale in merito è riservato al Consiglio di Sicurezza e de facto ai suoi cinque membri permanenti con diritto di veto.
L’Onu è semplicisticamente (ed erroneamente) considerata come l’ambito principale del multilateralismo, ma la sua origine, la sua struttura, l’articolazione dei poteri decisionali smentiscono in maniera netta questo “luogo comune”. In realtà in essa si manifestano i rapporti di forza e gli interessi nazionali delle cinque potenze, raramente attraverso intese, frequentemente attraverso boicottaggi e veti. Nei fatti è il luogo del “pentalateralismo” o più correttamente del “trilateralismo”.
Il diritto di veto attribuisce una posizione dominante ed egemone ai cinque membri permanenti rispetto a tutti gli altri Stati aderenti, istituzionalizzando in tal modo l’ineguaglianza giuridica fra Stati e fondando la legittimità delle azioni del Consiglio di Sicurezza sui soli rapporti di forza e sugli interessi nazionali dei Big Five.
Una analisi statistica sull’uso del “diritto” o meglio del “potere” di veto ha evidenziato come nel corso della storia, di volta in volta, ogni efficace iniziativa delle Nazioni Unite sia stata bloccata dall’opposizione di qualcuno dei cinque membri permanenti a seconda del suo particolare interesse del momento.
Pertanto, un’organizzazione così strutturata è in grado di assumere decisioni comuni solo quando i suoi cinque membri permanenti sono d’accordo, in tutti gli altri casi è bloccata.
È anche utile ricordare come già nella conferenza di Dumbarton Oaks si discusse sulle modalità di uso del diritto di veto, prevedendo l’astensione dal voto nel caso di coinvolgimento diretto nella controversia di uno dei membri del Consiglio di Sicurezza, permanenti inclusi: “…a party to a dispute should abstain from voting.”; ma in quella sede sul punto non fu raggiunto un accordo e la questione fu demandata e decisa nel vertice di Yalta del febbraio 1945 con l’esclusione dell’obbligo dell’astensione.
Un’Assemblea Generale non vincolante
L’Assemblea Generale dell’ONU può affrontare qualsiasi problema e può formulare raccomandazioni senza efficacia vincolante sia agli stati membri sia al Consiglio di sicurezza, ma se si tratta di questioni già all’esame del Consiglio stesso non può farlo ex art. 12 della Carta. E basta solo questo per capire come la definizione dell’Assemblea di “principale organo deliberativo, politico e rappresentativo delle Nazioni Unite” sia inverosimile.
Per una volta l’Assemblea provò ad assumere poteri propri e vincolanti con la risoluzione “Uniting for Peace” adottata il 3 novembre 1950 nell’ambito della crisi coreana e a causa del boicottaggio del CdS da parte dell’URSS, ma si trattò di un evento eccezionale ben presto accantonato tanto che oggi quel precedente non si considera come l’atto di avvio di una norma consuetudinaria nel diritto internazionale e quella risoluzione, al pari delle altre, ha quindi un valore non vincolante.
In conclusione le risoluzioni dell’Assemblea Generale possono essere equiparate in quanto a valore giuridico ad atti di indirizzo come gli “Ordini del Giorno” approvati dalle assemblee del Parlamento Italiano: il nulla o poco più!
La guerra tra Israele e Hamas: L’unica certezza è che quella che potrebbe sembrare la fase conclusiva di un conflitto in realtà si possa trasformare in un conflitto su larga scala
Nella tarda serata di venerdì, a 20 giorni esatti dall’attacco di Hamas contro Israele, le forze dello Stato ebraico hanno avviato quella che, stando alle prime informazioni, sembra la prima fase dell’annunciata offensiva di terra nella Striscia di Gaza. Le notizie disponibili sono poche e frammentarie, complice il “blackout informativo” all’interno dell’enclave palestinese.
Tra le poche fonti di notizie disponibili ( ma di parte) ci sono le Forze di difesa israeliane (IDF), che nella serata di ieri hanno confermato una “espansione delle operazioni di terra” nell’area, dopo che nei giorni scorsi alcuni blitz circoscritti di fanteria e corazzati avevano preparato il terreno. Pesanti bombardamenti, che fonti di Al-Arabiya e della BBC descrivono come i più intensi in assoluto dall’inizio della crisi, hanno colpito duramente nel nord della Striscia.
Gli esiti dell’attacco
In una dichiarazione diffusa nella mattina di sabato, le IDF hanno affermato che “più di 100 aerei da guerra” hanno colpito durante la notte “150 obiettivi sotterranei nel nord di Gaza”, prendendo di mira tunnel e infrastrutture sotto il livello del terreno e uccidendo “diversi operativi e leader di Hamas”. Tra le persone uccise, spiegano le forze armate israeliane, c’è Asem Abu Rakaba, responsabile delle operazioni aeree di Hamas, che secondo quanto ricostruito dalle autorità dello Stato ebraico aveva preso parte personalmente alla pianificazione degli attacchi del 7 ottobre contro Israele.
Ucciso anche Rateb Abu Sahiban, capo dell’unità anfibia di Gaza che il 24 ottobre ha tentato un attacco via mare nel sud di Israele. Oltre ai violenti raid aerei ci sono stati anche lanci di missili e colpi di artiglieria, nell’ovest per mano delle forze navali israeliane, nell’est ad opera dei reparti di terra fuori dalla Striscia.
La situazione internazionale
“L’ufficio politico di Hamas in Qatar è stato aperto nel 2012 dopo una richiesta di Washington di stabilire linee di comunicazione indirette” con l’organizzazione che detiene il potere nella Striscia di Gaza.
Lo ha affermato l’ambasciatore di Doha negli Stati Uniti, Meshal bin Hamad Al Thani, in un articolo pubblicato sul Wall Street Journal. L’ambasciatore ha inoltre chiarito che tutti i fondi trasferiti dal Qatar alla Striscia di Gaza nel corso degli anni sono stati consegnati “in pieno coordinamento con Israele, gli Stati Uniti e le agenzie delle Nazioni Unite come il Programma alimentare mondiale e il Coordinatore speciale per il processo di pace in Medio Oriente“.
Al Thani ha dichiarato inoltre che è “profondamente inquietante che false narrazioni sul Qatar siano emerse nei media con l’apparente intenzione di intensificare il conflitto. Queste narrazioni creano ostacoli agli sforzi di mediazione costruttivi e mirano a far deragliare i negoziati”.
L’Egitto non vuole profughi palestinesi
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha confermato che il Cairo non ha permesso e non permettera’ lo sfollamento dei palestinesi dalle loro terre alle sue terre, durante la telefonata ricevuta ieri dal suo omologo americano, Joe Biden, secondo una dichiarazione del presidenza egiziana. Nella dichiarazione della presidenza egiziana, scrive l’agenzia palestenese Maan, si legge che i due presidenti hanno discusso della situazione generale della sicurezza in Medio Oriente, degli ultimi sviluppi dell’escalation militare nella Striscia di Gaza e dell’importanza di prevenire l’espansione del cerchio del conflitto nell’ambiente regionale. Al-Sisi ha sottolineato la necessita’ di raggiungere una tregua umanitaria immediata, di rafforzare gli sforzi egiziani con le Nazioni Unite e le parti attive, guidate dagli Stati Uniti, per fornire aiuti umanitari, medici e di soccorso alla popolazione della Striscia di Gaza. Dall’inizio degli scontri a Gaza, le autorita’ egiziane hanno ripetutamente respinto il piano di sfollare i residenti di Gaza in territorio egiziano, in particolare nel Sinai adiacente alla Striscia, in concomitanza con le richieste ufficiali israeliane di sfollamento.
Dove non arriva il buon senso ci pensano i soldi
La direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), Ngozi Okonjo-Iweala, ha messo in guardia dall’impatto sulla crescita globale dovuto a una eventuale estensione del conflitto in corso tra Israele e Hamas. In un’intervista con la Cnbc la direttrice ha dichiarato: “Se si diffonderà oltre il punto in cui si trova ora, nel resto del Medio Oriente, ci sarà un impatto negativo. Ricordiamo che questa regione è anche la fonte di gran parte dell’energia mondiale per quanto riguarda il gas naturale e il petrolio, che è ancora molto utilizzato e in tutto il mondo.
Il Governo tedesco si accorge della violanza dei coloni
Il governo tedesco si è rivolto ad Israele affinché protegga la popolazione palestinese in Cisgiordania. Un portavoce del ministero degli Esteri tedesco in conferenza stampa a Berlino ha affermato che il governo di Israele “deve fare tutto il possibile per proteggere i palestinesi dalle azioni dei coloni estremisti” e per individuare i responsabili degli attacchi contro le famiglie palestinesi in Cisgiordania, che non devono essere costrette a lasciare la regione per paura.
Un palestinese di 23 anni, Fouad Ismail Abu Sobha, è morto dopo che le truppe israeliane hanno aperto il fuoco contro una marcia studentesca all’ingresso di Yatta, a sud di Hebron, in Cisgiordania. Secondo il coordinatore dei ‘Comitati popolari e nazionali per resistere al muro e agli insediamenti’, Ratib al-Jabour, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro il corteo, provocando la morte del giovane e il ferimento di numerose persone.
Sale a 4 morti il bilancio delle vittime di un raid condotto dalle forze israeliane nel campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Wiam Iyad Hanoun (27 anni), e Musa Khaled Jabareen 23 anni) sarebbero stati uccisi da colpi d’arma da fuoco esplosi dall’esercito israeliano durante un’operazione nel campo. In precedenza il direttore dell’ospedale governativo di Jenin aveva riferito sull’uccisione di altri due giovani: Amir Abdullah Sharbaji (25 anni) e Nawras Ibrahim Bajawi (28 anni).
Copertina: Khan-Younis Credit: RSI
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