A Gaza strage di bambini, medici, musicisti, poeti, vecchi e gente normale. Bombardare nel mucchio sperando di uccidere i terroristi
Jonathan Conricus, portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), ha condiviso importanti aggiornamenti sulle operazioni militari in corso nella Striscia di Gaza, conflitto che continua a suscitare preoccupazione a livello internazionale. Le operazioni militari israeliane hanno visto l’ingresso di fanteria e carri armati nella Striscia da nord e da est, ma si sono concentrate in specifiche aree piuttosto che avanzare rapidamente da nord verso sud, come molti osservatori avevano previsto.
Questa apparente lentezza nelle operazioni militari solleva diverse considerazioni su aspetti politici, militari, diplomatici ed umanitari.
Invasione di terra su “piccola scala” ma non è così per i bombardamenti
Nel suo video briefing, Jonathan Conricus ha menzionato il dispiegamento di carri armati, mezzi corazzati, bulldozer e unità della fanteria e del genio militare. Queste unità hanno il compito di neutralizzare le trappole tipiche della guerra urbana e di affrontare la vasta rete di tunnel sotterranei nella regione.
Nessuna via di fuga per i civili
A 5 giorni dall’inizio di questa “nuova fase”, che è stata preceduta dai bombardamenti più intensi mai visti nella Striscia, sembra che la strategia israeliana sia focalizzata su operazioni di terra mirate e rapide, anziché su un’invasione su larga scala nel senso tradizionale. Hamas ha riferito che carri armati israeliani sono entrati nella Striscia da nord ed est, approssimativamente nella zona di Juhor ad Dik, a sud di Gaza City con l’intento di bloccare la strada Salah ad-Din, la principale arteria di collegamento tra il nord e il sud della Striscia.
Mentre l’ IDF ha confermato la presenza di carri armati israeliani a Beit Hanoun, un importante punto d’ingresso nel nord della Striscia e altri che avanzano verso Beit Lahia, i raid aerei continuano a bombardare senza alcun distinguo tra gli obiettivi militari e quelli civili, pur sapendo benissimo che i vertici di Hamas sono al sicuro da molto tempo fuori da Gaza, in Paesi amici o comunque non ostili
Il Qatar
L’attuale leader di Hamas Ismail Haniyeh, 61 anni, a capo dell’organizzazione islamista dal 2017, che insieme alla famiglia ha lasciato la sua casa nel campo profughi di Al-Shati a Gaza circa due anni fa. Si dice che ora risieda in un hotel di Doha.
Anche il suo predecessore, Khaled Meshal, si è trasferito in Qatar nel 2012, insieme all’ufficio politico di Hamas che prima si trovava in Siria. Altri alti funzionari, tra cui Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas nella Striscia di Gaza e Tahar al-Nounou, consigliere politico di Haniyeh, hanno trovato rifugio in Qatar.
Il Libano
Il Qatar non è l’unica destinazione dei dirigenti di Hamas: il vice capo dell’ufficio politico di Hamas Saleh al-Arouri risiede in Libano. Considerato lo stratega del gruppo, ha recentemente incontrato a Beirut il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah e il leader della Jihad islamica palestinese (PIJ) Ziyad al-Nakhalah.
La Turchia
Anche la Turchia è considerata un rifugio per alti esponenti dell’organizzazione che Unione Europea e Stati Uniti definiscono terroristica. Il 7 ottobre, nel giorno del sanguinoso attacco in Israele, secondo alcune fonti il leader politico di Hamas Ismail Haniyeh si trovava a Istanbul.
Le autorità turche nei giorni successivi lo avrebbero “accompagnato” oltre frontiera tanto che il 14 ottobre Haniyeh ha incontrato proprio a Doha il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian.
La nuova “normalità” nella Striscia
L’esercito israeliano non ha confermato né smentito la posizione esatta delle forze armate sul territorio per ragioni di sicurezza, ma sembra che questa sia la nuova “normalità” che Israele sta cercando di imporre nella Striscia, che è rimasta quasi completamente isolata dal resto del mondo.
Secondo fonti del Financial Times, Israele sta cercando di massimizzare il proprio vantaggio in termini di potenza di fuoco su Hamas e ridurre al minimo le perdite umane, evitando nel contempo di coinvolgere ulteriori attori nel conflitto. A livello tattico, l’area di operazioni più limitata rispetto a quanto previsto inizialmente sta consentendo alle truppe di terra di ricevere un supporto aereo ravvicinato, il che è cruciale per penetrare nella parte settentrionale di Gaza, dove Hamas ha dedicato anni alla preparazione delle difese.
Israele può permettersi una guerra prolungata e su più fronti?
Le informazioni sul conflitto devono essere prese con cautela, poiché gran parte delle operazioni israeliane procedono in segretezza. Questo riserbo include anche il numero di vittime israeliane, che viene mantenuto riservato, per evitare di amplificarne l’impatto politico e emotivo sulla sua opinione pubblica. L’operazione in corso sembra divergere dalla dottrina militare israeliana, che si basa su esperienze di conflitti tra paesi piuttosto che su conflitti di guerra urbana, e generalmente mira a risposte rapide per porre fine al conflitto in tempi brevi.
La crisi umanitaria
Nel frattempo, la situazione umanitaria all’interno della Striscia di Gaza si sta deteriorando sempre di più con il passare delle ore. Secondo il ministero della Sanità palestinese, il numero di vittime dall’inizio dei bombardamenti ha superato quota 8.000, di cui oltre 3.000 sono bambini.
Inoltre, centinaia di persone hanno compiuto scorrerie nei magazzini delle Nazioni Unite, rubando cibo, acqua e altri beni di prima necessità. Questo segnale preoccupante indica che l’ordine sociale sta cominciando a sgretolarsi dopo tre settimane di guerra, bombardamenti indiscriminati e un “embargo totale” dichiarato dal primo ministro Benjamin Netanyahu.
Domenica, Israele ha intimato l’evacuazione dell’ospedale Al Quds di Gaza, sostenendo che presto verrà dichiarato come “zona militare”. Tuttavia, oltre ai pazienti ricoverati, nell’ospedale si trovano centinaia di civili sfollati dalle proprie abitazioni distrutte dai bombardamenti.
Questa situazione ha portato all’intervento di Karim Khan, procuratore capo della Corte penale internazionale, che si è recato al valico di Rafah e ha annunciato che la Corte sta indagando sulla possibilità che il blocco degli aiuti verso la Striscia possa costituire un crimine di guerra.
L’allargamento del conflitto
Dall’inizio del conflitto tra Hamas e Israele il 7 ottobre, si sono diffusi timori di un possibile allargamento del conflitto a livello regionale. Le tensioni tra Israele e Hezbollah, nel nord di Israele, sono preoccuopanti, anche per un possibile coinvolgimento delle milizie sciite Houthi nello Yemen, il cosiddetto “fronte del Mar Rosso,” insieme ad Hezbollah e Hamas, dato il loro legame con l’Iran.
La Siria
Inoltre, in Siria, dove la situazione è già molto complessa, è presente un’ampia gamma di attori con interessi strategici. La situazione nella Siria è ulteriormente complicata dal coinvolgimento di Israele, che si trova in uno stato di guerra perenne con la Siria e che ha portato avanti una serie di raid aerei e terrestri nella regione.
Infine, gli Stati Uniti mantengono una presenza militare nella regione, con personale dislocato in vari paesi, incluso l’Iraq, il Kuwait e il Qatar. Le tensioni in atto hanno portato a scaramucce tra milizie sciite filo-iraniane in Iraq e forze statunitensi, oltre a un aumento delle truppe americane nella regione, con l’invio di navi da guerra e portaerei per scoraggiare il coinvolgimento dell’Iran.
Cisgiordania: i coloni sono un problema
Nel frattempo, la tensione è in aumento anche in Cisgiordania, sia a causa degli attacchi di Hamas che dell’azione israeliana. Inoltre, non aiuta il fatto che il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, noto per le sue posizioni di estrema destra e per il suo sostegno ai coloni israeliani, abbia fornito loro oltre 10.000 fucili d’assalto. Questo ha suscitato preoccupazioni da parte di vari osservatori, che temono che tali armi possano essere utilizzate contro i palestinesi. Dall’attacco di Hamas dell’7 ottobre, non solo sono aumentati i raid dell’esercito israeliano nel territorio, ma si sono anche verificati episodi di violenza da parte dei coloni, con la perdita di vita di oltre 120 palestinesi.
Una nuova “Nakba”
La Cisgiordania era già considerata una polveriera prima dell’inizio del conflitto a Gaza, e ora in molti villaggi palestinesi sono state imposte restrizioni che praticamente immobilizzano i residenti. Queste restrizioni hanno portato al quasi totale isolamento delle famiglie nelle proprie case e terre, soprattutto in quelle situate nell’Area C, che è sotto il controllo civile e di sicurezza israeliano e costituisce la maggior parte del territorio della Cisgiordania.
In molte zone, scuole, panifici, farmacie e negozi di alimentari sono chiusi da settimane, e i coloni hanno lanciato campagne di incitamento sui social media, come la distribuzione di volantini minacciosi ai palestinesi, invitandoli a lasciare le proprie case prima di una nuova grande “Nakba”, termine arabo che si riferisce all’esodo palestinese dopo il 1948.
Nel frattempo, sul fronte politico e diplomatico, nel fine settimana ci sono stati pochi o nessun progresso significativo. Sabato, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione non vincolante, presentata dalla Giordania, che chiedeva una tregua a Gaza. La risoluzione ha ottenuto 120 voti a favore, 14 contrari, tra cui Stati Uniti e Israele, e 45 astenuti, tra cui l’Italia.
L’Europa
In Europa, i 27 capi di Stato e di governo avevano approvato una dichiarazione in cui chiedevano “pause umanitarie”, ma le posizioni dei vari paesi europei sono state diverse al momento del voto. L’ambasciatore di Israele all’ONU, Gilad Erdan, ha commentato: “È il giorno dell’infamia”, in riferimento al fatto che il testo non conteneva alcuna condanna esplicita dell’aggressione di Hamas. Nel frattempo, Hamas ha dichiarato che, dopo gli ultimi attacchi su Gaza, “non può esserci alcun negoziato”.
Gli USA
Gli scontri a fuoco continuano anche lungo la frontiera con Libano e Siria, e l’Arabia Saudita ha avvertito gli Stati Uniti che un’eventuale invasione israeliana di Gaza “potrebbe rivelarsi catastrofica”. Il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, aveva dichiarato che gli Stati Uniti sostengono “una pausa nelle attività militari israeliane” a Gaza, ma aveva aggiunto: “Non tracciamo linee rosse, continueremo a sostenere Israele.”
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta