Risoluzione ONU sul conflitto Israelo-Palestinese: reazioni e implicazioni
La Risoluzione dell’ONU e il suo contenuto
Le tensioni tra Israele e Hamas e il rischio di un conflitto regionale dagli esiti incerti, soprattutto a livello economico perché a livello umanitario le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ha obbligato la politica internazionale ad approvare in sede ONU una risoluzione contro “tutti gli atti di violenza contro i civili palestinesi e israeliani, compresi tutti gli atti di terrore e gli attacchi indiscriminati, nonché tutti gli atti di provocazione, incitamento e distruzione”.
La risoluzione chiede inoltre che “tutte le parti rispettino immediatamente e pienamente i loro obblighi di diritto internazionale”per arrivare a un cessate il fuoco e alla creazione di corridoi umanitari per limitare le vittime dei bombardamenti soprattutto a Gaza.La risoluzione, presentata da quasi 50 paesi, ha scatenato reazioni da parte di importanti attori globali e regionali, ognuno con le proprie considerazioni strategiche.
La risoluzione dell’ONU, sostenuta da paesi come Turchia, Palestina, Egitto, Giordania, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), ha ricevuto 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni.
Israele: “Giorno dell'”infamia”
Tuttavia, la risoluzione è stata prontamente respinta da Israele, con il suo Ambasciatore presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, che ha messo in discussione apertamente la legittimità dell’organizzazione internazionale.
Erdan ha dichiarato: “Oggi è un giorno che passerà alla storia come “giorno dell’ infamia”, aggiungendo: “Abbiamo tutti visto che l’ONU non ha nemmeno un briciolo di legittimità. L’ONU è impegnata a garantire ulteriori atrocità. Secondo la comunità delle nazioni, Israele non ha il diritto di difendersi”.
La risoluzione non menziona Hamas
Erdan ha reso chiaro che non ci sarebbero discussioni o negoziati con Hamas, sottolineando che Israele non avrebbe permesso loro di commettere ulteriori atrocità. In modo significativo, la risoluzione non menziona affatto Hamas, come se il conflitto fosse iniziato da solo. Ha messo in dubbio l’esistenza stessa di una crisi umanitaria in conformità al diritto umanitario internazionale, notando che tutte le statistiche su Gaza provengono da Hamas.
Erdan ha esortato chiunque sia interessato a prevenire la violenza a chiedere a Hamas di deporre le armi, consegnarsi e liberare tutti gli ostaggi. Ha affermato che, se ciò accadesse, la guerra si concluderebbe immediatamente, dichiarando: “Questo è un giorno oscuro per l’ONU e per l’umanità. Israele si difenderà e farà ciò che deve essere fatto per eradicare le capacità di Hamas e riportare a casa gli ostaggi”.
Le implicazioni pratiche della risoluzione
Nella pratica, nonostante il supporto della maggior parte degli Stati, la risoluzione rimane priva di efficacia pratica. Tuttavia, essa serve come esempio di come il mondo si stia schierando rispetto alla nuova escalation del conflitto israelo-palestinese.
Per molte potenze globali e regionali, questa questione si inserisce in considerazioni strategiche più ampie, spesso con dimensioni geopolitiche e geoeconomiche.
Le posizioni degli attori internazionali
Gli Stati Uniti sono storicamente un forte alleato di Israele e hanno ribadito il loro sostegno al diritto di Israele all’autodifesa. Questa posizione riflette i legami diplomatici e di sicurezza stretti tra i due paesi. Gli Stati Uniti hanno anche sottolineato l’importanza di una soluzione a due stati per una pace duratura nella regione.
Dall’inizio della crisi a Gaza, gli Stati Uniti hanno mantenuto un sostegno incondizionato per Israele, mettendo da parte le divergenze politiche tra l’attuale amministrazione statunitense del Presidente Joe Biden e il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
In passato, il Presidente Biden aveva criticato il governo di destra guidato da Netanyahu. Tuttavia, a seguito degli eventi dell’7 ottobre, le tensioni politiche sembravano essere state accantonate mentre gli Stati Uniti si sono schierati saldamente al fianco di Israele.
Antony Blinken rassicura Benjamin Netanyahu
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, ha confermato un forte sostegno a Israele durante la sua visita a Tel Aviv in risposta all’attacco devastante di Hamas che ha causato la morte di oltre 1.300 persone per lo più civili. Il Segretario Blinken, che è di origine ebraica, ha raccontato di suo nonno fuggito dai pogrom in Russia e del suo patrigno sopravvissuto ai campi di concentramento durante l’Olocausto.
“Comprendo a livello personale le strazianti eco che le stragi di Hamas portano agli ebrei israeliani, anzi agli ebrei ovunque. Mi rivolgo anche a voi in quanto marito e padre di bambini piccoli. È impossibile per me guardare le foto delle famiglie uccise, come la madre, il padre e tre bambini piccoli assassinati mentre si rifugiavano nella loro casa nel Kibbutz Nir Oz, e non pensare ai miei stessi figli. Questo è stato solo uno dei numerosi atti di terrorismo di Hamas in una litania di brutalità e disumanità che, sì, fa pensare al peggio dell’ISIS”.
“Potreste essere abbastanza forti da soli per difendervi, ma finché esisterà l’America, non dovrete mai farlo. Noi saremo sempre al vostro fianco”.
I legami tra gli Stati Uniti e Israele
Gli Stati Uniti hanno profondi legami storici ed economici con Israele. Dalla Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti sono stati sostenitori accaniti dell’istituzione di uno stato ebraico. Attualmente, Israele è il più grande partner commerciale degli Stati Uniti nella regione, con uno scambio bilaterale annuo di quasi 50 miliardi di dollari in beni e servizi.
Importanza strategica
Inoltre, Tel Aviv riveste un’importanza strategica immensa per gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente. È un alleato allineato ai “valori occidentali” in una regione spesso caratterizzata da ostilità politiche verso l’Occidente. Anche se gli Stati Uniti hanno ridotto il loro coinvolgimento regionale negli ultimi anni, il Medio Oriente resta fondamentale per la stabilità geopolitica e l’accesso alle forniture regionali di petrolio, da cui gli USA dipendono parzialmente.
Nonostante Israele abbia in gran parte ignorato gli appelli del Presidente Biden a prendere “tutte le precauzioni necessarie” per proteggere i civili, gli aiuti statunitensi continuano ad affluire. Dall’epoca della Seconda Guerra Mondiale fino al 2023, Israele ha ricevuto circa 158 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, cifra di gran lunga superiore a qualsiasi altra nazione.
Finanziamenti per la difesa missilistica
Un rapporto del Servizio di Ricerca del Congresso nel marzo 2023 fornisce una panoramica completa degli aiuti esteri degli Stati Uniti a Israele. Gli aiuti includono principalmente assistenza bilaterale e finanziamenti per la difesa missilistica. La maggior parte dell’assistenza degli Stati Uniti a Israele è sotto forma di aiuti militari.
Memorandum d’intesa
Nel 2016, gli Stati Uniti e Israele hanno firmato un terzo Memorandum d’Intesa (MOU) decennale sull’assistenza militare, che copre gli anni fiscali dal 2019 al 2028. Ai sensi di questo MOU, gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire 38 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele, compresi finanziamenti militari esteri e per la difesa missilistica.
Tutti i soldi del 2023
Per il 2023, il Congresso degli Stati Uniti ha autorizzato 520 milioni di dollari per programmi congiunti di difesa Stati Uniti-Israele, compresi 500 milioni di dollari per la difesa missilistica. Inoltre, sono stati stanziati 3,8 miliardi di dollari per Israele (finanziamenti militari esteri e difesa missilistica) ai sensi dell’atto di finanziamento consolidato del 2023, aggiungendo ulteriori 98,58 milioni di dollari per altri programmi di cooperazione in campo difensivo e non difensivo.
La posizione della Cina sulla crisi a Gaza
La Cina ha assunto una posizione ambigua rispetto alla recente crisi nella Striscia di Gaza, un atteggiamento che richiama l’approccio cinese anche in altre situazioni internazionali complesse, come la questione ucraina. Questa ambiguità è il risultato di un delicato bilanciamento degli interessi in gioco, in particolare quelli cinesi.
Il principale obiettivo della Cina è consolidare il suo status di grande potenza “neutrale” in situazioni di conflitto internazionale. Pechino cerca di posizionarsi come mediatore e sostenitore della pace, offrendo un’alternativa alle posizioni statunitensi che spesso tendono a favoreggiare Israele e che, secondo Pechino, alimentano l’instabilità nella regione.
L’inviato cinese per le questioni mediorientali, Zhai Jun, ha sottolineato che la radice del conflitto israelo-palestinese è la mancanza di garanzia dei legittimi diritti nazionali del popolo palestinese. Inoltre, la Cina si è astenuta dal definire l’aggressione di Hamas come un atto terroristico, limitandosi a esprimere “preoccupazione” per le violenze contro i civili e ribadendo il suo sostegno alla creazione di uno Stato palestinese indipendente.
La Cina ha bisogno di un Medio oriente stabile
Dal punto di vista economico, la Cina ha bisogno di un Medio Oriente stabile, essendo una regione cruciale per la Belt and Road Initiative (BRI), il progetto di sviluppo infrastrutturale su cui la Cina sta lavorando, al quale si è unita anche la palestina nel 2022. Inoltre, la Cina è il principale partner commerciale di molti paesi del Medio Oriente e un importante acquirente di petrolio iraniano e saudita.
L’aumento degli investimenti cinesi in Arabia Saudita sono stati favoriti da una discreta apertura sociale e dalla riduzione delle restrizioni religiose, fattori che hanno creato un ambiente favorevole agli investimenti stranieri, soprattutto cinesi. Giganti tecnologici come Alibaba, Tencent e Huawei, insieme a sviluppatori di intelligenza artificiale come SenseTime, hanno investito pesantemente nella regione del Golfo, sfruttando le opportunità emergenti.
Diplomazia e mediazione in Medio Oriente
Oltre all’aspetto economico e tecnologico, la Cina si è dimostrata un mediatore chiave nella regione mediorientale. Xi Jinping ha contribuito a riaprire il dialogo tra Arabia Saudita e Iran, due nazioni che avevano interrotto i loro rapporti diplomatici nel 2016. Questo sottolinea l’importanza della Cina come attore neutrale nella regione, pronta a facilitare la risoluzione delle tensioni e dei conflitti. Inoltre, l’Arabia Saudita è diventata un “partner di dialogo” nella Shanghai Cooperation Organization (SCO), un’organizzazione che promuove la collaborazione in materia di politica e sicurezza tra vari paesi eurasiatici. Questa partecipazione rafforza ulteriormente il ruolo dell’Arabia Saudita come ponte tra Cina e nazioni arabe.
Le Implicazioni Globali
L’intensificarsi delle relazioni tra Cina e Arabia Saudita ha significative implicazioni globali. Questo consolidamento dei legami economici, tecnologici e diplomatici indica che la Cina sta diventando un attore sempre più influente nella regione mediorientale. Questo può essere visto come un segnale di un cambiamento nei rapporti di potere a livello globale, con la Cina che cerca di ampliare la sua sfera di influenza in una regione tradizionalmente dominata dagli Stati Uniti. Inoltre, questa cooperazione economica e tecnologica potrebbe indebolire ulteriormente gli sforzi statunitensi di contenere l’espansione della Cina nei settori delle telecomunicazioni e dell’intelligenza artificiale.
La Turchia
Nel merito del conflitto a Gaza, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si trova in una posizione particolarmente complessa. Se da un lato, la sua politica estera turca è sempre stata orientata verso la solidarietà con il popolo palestinese, dall’altro Ankara aveva recentemente cercato una riconciliazione con Israele, anche nell’ottica di un miglioramento delle relazioni con le potenze occidentali.
Nelle prime settimane di Guerra, Erdogan aveva adottato una posizione piuttosto cauta, offrendo supporto retorico e umanitario a Gaza, ma evitando di schierarsi direttamente al fianco di Hamas ed incaricando il ministro degli Esteri Hakan Fidan di cercare un terreno comune con gli altri attori regionali.
Tuttavia, le dichiarazioni del 25 ottobre indicano che il presidente potrebbe aver cambiato approccio, orientandosi verso un allineamento con il mondo arabo. Come riportato da Reuters il 25 ottobre 2023 Erdogan, in un nel suo discorso in parlamento, ha affermato che il gruppo militante palestinese Hamas non è un’organizzazione terroristica, ma un gruppo di liberazione che lotta per proteggere le terre e il popolo palestinese”. Erdogan ha anche condannato i bombardamenti israeliani a Gaza e ha chiesto un immediato cessate il fuoco, l’accesso senza ostacoli all’aiuto umanitario a Gaza e la cooperazione tra i paesi musulmani per fermare la violenza.
Le buone intenzioni di Erdogan
Sempre nel suo discorso, come riportatato da Al Jazeera, Erdogan ha dichiarato che la Turchia aveva “buone intenzioni, ma [Netanyahu] se ne è approfittato”. Erdogan ha sottolineato come le intenzioni della Turchia fossero inizialmente di migliorare le relazioni con Israele, ma ha affermato che le azioni di Israele hanno portato a una sospensione di questi sforzi di normalizzazione.
L’obiettivo di Erdogan sembrava essere quello di far diventare la Turchia un attore chiave nel processo di mediazione e ricostruzione che dovrebbe seguire il conflitto, e molti osservatori regionali ritenevano che il paese si trovasse in una posizione privilegiata per svolgere tale ruolo. Tuttavia, le recenti prese di posizione suggeriscono che la leadership turca stia dando priorità all’espansione della propria influenza nel mondo arabo, rispetto a qualsiasi prospettiva di riconciliazione con Israele.
La Russia
Il presidente russo Vladimir Putin ha condannato l’attacco di Hamas del 7 ottobre ma ha anche messo in guardia Israele dal bloccare la Striscia di Gaza, paragonando tale atto all’assedio di Leningrado da parte della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Mosca ha definito il conflitto come il risultato del fallimento della diplomazia statunitense, accusando Washington di aver abbandonato gli sforzi per contribuire alla creazione di uno Stato palestinese. Inviati diplomatici cinesi e russi per il Medio Oriente si sono incontrati per discutere una collaborazione finalizzata a calmare la situazione, sottolineando il loro impegno verso la soluzione dei due Stati.
Putin “moderato”
A differenza di Putin, che ha bilanciato con attenzione le sue dichiarazioni, altri funzionari russi sono stati più diretti nel criticare gli attacchi israeliani a Gaza. Konstantin Kosachev, vicepresidente della Camera alta del Parlamento russo, ha dichiarato che, sebbene Hamas abbia scatenato il conflitto, la risposta di Israele è stata “sproporzionata” e “disumana.”
Hamas e l’appello russo
Hamas ha dichiarato di apprezzare l’appello russo per un cessate il fuoco, e le dichiarazioni della Russia hanno attratto forte consenso in tutto il mondo arabo. La volontà russa di dialogare con Hamas si è fatta sempre più esplicita, ospitando una delegazione del movimento palestinese al Cremlino e dichiarando che Israele non avrebbe il diritto all’autodifesa nella sua lotta contro Hamas in quanto “Stato occupante.” Questa presa di posizione radicale minaccia i rapporti amichevoli con Israele, che finora non aveva aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia né fornito armi all’Ucraina. Tuttavia, la Russia è abile nel bilanciare interessi in Medio Oriente e potrebbe riuscire a conquistare il sostegno del mondo arabo senza dover necessariamente tagliare i ponti con Israele.
L’Italia
La posizione italiana sull’escalation Hamas-Israele è stata delineata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e da altri esponenti del governo come il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Durante la sua visita in Israele il 21 ottobre, Meloni ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
La premier ha ribadito “il pieno diritto di Israele a difendersi secondo il diritto internazionale e a vivere in pace”, sottolineando l’importanza di garantire l’accesso umanitario a Gaza e una prospettiva di pace per la regione. Il governo segue con preoccupazione l’evolversi della situazione, in stretto collegamento con le istituzioni europee e gli alleati. Particolare attenzione viene rivolta alla sicurezza della comunità ebraica presente sul territorio nazionale.
“Pause umanitarie”
A livello pratico, l’Italia ha appoggiato le conclusioni del Consiglio UE a favore di “pause umanitarie” a Gaza, ma senza l’adozione di un vero e proprio cessate il fuoco. La rappresentanza italiana all’ONU si è astenuta dal voto su una risoluzione a favore di una tregua umanitaria nella Striscia di Gaza. L’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia all’ONU, ha spiegato che l’astensione dal voto è dovuta alla mancanza nella risoluzione di una chiara condanna dell’attacco sferrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso.
La posizione italiana è coerente con quella di grandi attori politici europei, come Germania e Olanda, ma difforme da altri, come la Francia, a dimostrazione di un fronte europeo diviso sulla questione israelo-palestinese.
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