La misura tra la vita e la morte è lo spessore di un cartone ripiegato

Dedico questo frammento di memoria a Pietro Magliocco. Dormiva nella stazione di Genova Sampierdarena. Da vari giorni malato di polmonite, moriva la notte stessa del suo ricovero in ospedale. Aveva 57 anni. Con lui ricordiamo tutti quanti, in questi anni, sono morti per strada

“In una città vibrante di luci, dove le strade si intersecano come fili tessuti da destini incrociati, viveva Mario, un uomo che aveva conosciuto i vicoli della vita più di quanto avrebbe mai immaginato. La sua casa non aveva pareti, il suo letto era un cartone piegato su una panchina in una delle tante stazioni del treno.

Inverno 2005

Ci entrai a testa bassa, un po’ intimorito. Vinto dal freddo e dall’umidità, oltre che dal bisogno. Sentii subito molti occhi addosso, occhi diffidenti e curiosi, ma nessuno osò chiedere nulla.

Mi sedetti sulla panca di legno, fingendo un’indifferenza che non provavo, e accesi una sigaretta. Non sapevo neppure io cosa fare lì.
La domanda arrivò, secca come una fucilata:

«Hai mangiato?»

Un paio di quegli occhi prima indagatori e diffidenti, avevano capito chi ero: solo un altro della stessa tribù. Una tribù numerosa che dopo aver imboccato qualche crocevia sbagliato, si ritrova lì, in una sala
d’aspetto di una stazione cercando di passare indenni la notte e affrontare il giorno dopo col freddo nelle ossa e pochi spiccioli in tasca.
Qui al Gran Hotel, non si fanno troppe cerimonie, non ci sono tessere da esibire. Basta lo sguardo per capire chi fa parte del Club.
«Si, grazie. Non ti preoccupare»

Fu la mia risposta. Quella faccia scolpita dal vento e dalla natura mi rispose con un mezzo sorriso.

«Ci sono ancora dei panini, senza complimenti» e aprì una busta per la spesa, offrendomi il contenuto.
«Beh, allora grazie…» 
«Se c’è da mangiare, ce n’è per tutti. Quando ne avrai ne dividerai anche tu»

Iniziai a mangiare il panino che mi aveva offerto scoprendo di avere più appetito di quanto ammettessi a me stesso. Mi sentii rinfrancato, più da quel semplice gesto che da quel povero cibo. Ringraziai ancora e mi accesi un’altra sigaretta.
«Non hai niente?»
 mi chiese ancora.
«Cosa, scusa? Non capisco…» 
«Non hai niente per passare la notte? Mica puoi stare lì seduto! C’è freddo e se ti ammali sei fottuto.» 
«No. Non ho niente. Appena potrò mi compro un sacco a pelo come il tuo…» 
Rise forte e di gola.

«Novellino eh? Non si compra nulla. Vai alla parrocchia di San Siro a Santa Margherita. Chiedilo e te ne danno uno. I soldi tienili per altre cose.»

 Così dicendo, si sfilò dal suo improvvisato giaciglio, calzò le scarpe, un paio di vecchi anfibi militari, e andò a frugare in un angolo nascosto. Ne tirò fuori un largo cartone ripiegato e una coperta militare.
«Ti faccio vedere…»

 Stese il cartone in un angolo di quella sala, e vi pose sopra la coperta ripiegata in due. Un sacco a pelo improvvisato ma funzionale.
«Le scarpe mettile sotto al cartone. Ti serviranno da cuscino e non te le possono fregare.»
«Grazie, nuovamente.»

Feci come mi disse, e a parte la durezza, quella piccola tana era calda e neppure troppo scomoda.
Sorprendente dover prendere atto che la misura
tra la vita e la morte, sia il semplice spessore di un cartone ripiegato”.

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