È morto a 90 anni Toni Negri, leader di Autonomia operaia e protagonista di quel periodo storico
Nel corso degli anni Settanta, la democrazia italiana si trovò a un bivio cruciale, un nodo che richiedeva una soluzione urgente da parte delle forze politiche dell’epoca.
La ricerca di un modello istituzionale adeguato rappresentò uno dei temi centrali del dibattito interno ai partiti, con particolare riferimento al Partito Comunista, vincolato dalla “conventio ad excludendum”, accordo raggiunto nel 1948 tra i partiti centristi del nostro sistema con il quale si escludeva pregiudizialmente ogni tipo di coalizione di governo con i partiti delle sinistre, a causa della tensione della guerra fredda.
La complessità della situazione era accentuata non solo dai vincoli internazionali ma anche dalla diffusione di gruppi armati di sinistra e destra, nonché dalle organizzazioni extraparlamentari che abbracciavano “l’illegalità di massa”.
La classe politica stava perdendo progressivamente credibilità a causa di scandali e corruzione diffusa, mentre il mondo del lavoro affrontava una grave recessione e una profonda ristrutturazione industriale, rivelatasi, poi, fallimentare a metà deglianni ’80 con la svendita di gran parte del patrimonio industriale italiano.
In questo scenario, i governi di solidarietà nazionale (1976-1979) rappresentarono un tentativo di rispondere alla crisi politico-istituzionale e nonostante il difficile contesto politico e sociale, furono in grado di varare riforme significative, tra cui la legge 190 sull’aborto, la legge “Basaglia” sulla riforma degli istituti psichiatrici, l’equo canone e, non ultima, la creazione del servizio sanitario nazionale nel 1978.
Il periodo vide anche la proliferazione dei gruppi armati e l’emergenza terrorismo, portando i partiti, in particolare il Partito Comunista, a un ruolo nuovo nella maggioranza di governo. In questo contesto, emerse la necessità di affrontare il terrorismo “rosso”, che non riguardava solo le Brigate Rosse ma anche Autonomia Operaia, che rifletteva la complessità e l’ambiguità del fenomeno autonomo nel suo rapporto con la lotta armata e lo Stato, e che porterà al processo “7 aprile”.
La battaglia contro il terrorismo
Il periodo a partire dal 1974 segnò una fase cruciale per la sinistra italiana, con la disgregazione dei gruppi extraparlamentari e la graduale crescita dell’area dell’Autonomia e dell’eversione di matrice comunista.
Questo contesto vide anche l’emergere delle Brigate Rosse che inaugurarono una strategia di “attacco al cuore dello Stato”, con il rapimento di Mario Sossi, pubblico ministero del processo contro il gruppo XXII Ottobre guidato da Mario Rossi. La banda, legata ai GAP di Feltrinelli, era accusata del sequestro di Sergio Gadolla a fini di estorsione e dell’uccisione del commesso Alessandro Floris. Il magistrato fu rapito la sera del 18 aprile 1974.
La radicazione del terrorismo “rosso” si sviluppò soprattutto nelle aree urbane e nei luoghi di lavoro, diventando un terreno di scontro per le organizzazioni del movimento operaio, in particolare del PCI.
Le elezioni politiche del 20 giugno 1976 videro il Partito Comunista ottenere il 34,4% dei consensi, consentendogli di rivendicare la sua legittimazione come partito di governo nei confronti della DC e dando inizio all’esperienza della solidarietà nazionale.
Il PCI di Berlinguer, che aveva raccolto consensi fra fasce giovanili, donne e classi medie, si trovò ora a dover affrontare il delicato equilibrio tra la sua identità di partito alternativo e la necessità di coalizione; la lotta contro il terrorismo assunse un ruolo sempre più centrale nel partito, che con la formazione della “sezione problemi dello Stato” nel 1976, guidata da Ugo Pecchioli, vide il PCI impegnato in una collaborazione sempre più stretta con magistratura e forze dell’ordine.
La frattura del 1977 e la politica dell’austerità
Il 15 gennaio 1977 segnò un momento cruciale nella storia politica italiana quando, in un convegno degli intellettuali organizzato dal PCI, il segretario Enrico Berlinguer lanciò pubblicamente la politica di austerità come risposta alla crisi economica. Tuttavia, il concetto di austerità, inteso come “rigore, efficienza, serietà” e “giustizia” non riuscì a conquistare la massa di giovani figli del boom economico, immersi nella sperimentazione della vita comune e della liberazione sessuale.
La situazione precipitò il 1 febbraio 1977, quando uno studente rimase ferito durante uno scontro, presso l’università La Sapienza di Roma, tra collettivi autonomi e aderenti al FUAN, formazione di estrema destra.
Il dirigente comunista Ugo Pecchioli definì “squadristi” gli autonomi e fece un appello alle forze dell’ordine affinché chiudessero i loro “covi”. In risposta i Comitati Autonomi equipararono la posizione del PCI a quelle di MSI e DC. Nel frattempo, diverse università italiane furono occupate per protestare contro la nuova legge sull’istruzione del ministro Franco Malfatti.
La rottura tra il partito Comunista e il movimento giovanile si intensificò con le manifestazioni di Bologna e Roma nel marzo del ’77 dopo la morte dello studente Francesco Lorusso.
Con la morte di Giorgiana Masi e dell’agente Antonio Custrà, e il convegno di Bologna contro la repressione, il divario tra PCI e contestazione giovanile si ampliò ulteriormente. La collaborazione tra cittadini, magistratura e polizia divenne uno dei cardini della politica antiterrorismo, anche se gli operai e le organizzazioni sindacali esprimevano dubbi riguardo all’atteggiamento nei confronti delle forze dell’ordine, considerate ancora elementi reazionari estranei allo Stato democratico.
Padova e Autonomia Operaia: conflitti sociali e terrorismo
La città di Padova, lungamente considerata un “feudo” democristiano, ha vissuto un periodo di intensa agitazione politica e sociale negli anni ’70, soprattutto con il radicamento dei gruppi legati ad Autonomia Operaia nelle scuole e all’università.
Nel dinamismo culturale della città, il professor Antonio Negri insegnava Dottrina dello Stato, mentre lo storico Angelo Ventura contribuiva all’effervescenza intellettuale. Tuttavia, il contesto politico locale era complesso, con la federazione comunista padovana che adottava una linea intransigente nei confronti dei gruppi autonomi.
Particolarmente accesa era la battaglia nell’ambito universitario e scolastico, con il segretario Franco Longo del PCI lanciò una campagna di mobilitazione contro le violenze degli autonomi, chiedendo un’azione vigorosa di liberazione della scuola da ogni forma di squadrismo.
La tensione raggiunse il culmine nel 1977 con la prima inchiesta del procuratore Pietro Calogero contro Autonomia Operaia, coinvolgendo docenti e membri dei Collettivi Politici Padovani. Nomi come Antonio Negri, Alisa del Re, Giovanni Ferrari Bravo e Guido Bianchini furono coinvolti, e l’indagine si intrecciò successivamente con il “processo 7 aprile”.
Moro, Rossa e Alessandrini
Il rapimento di Aldo Moro nel 1978 accentuò ulteriormente l’emergenza terrorismo e nel 1979 altri due omicidi segnarono un cambiamento significativo nella strategia dei gruppi armati. Guido Rossa, operaio iscritto al Partito Comunista Italiano (PCI), e il giudice Emilio Alessandrini divennero tragici simboli dell’evoluzione degli scontri politici e sociali.
Rossa, operaio dell’Italsider di Genova e sindacalista CGIL, era sempre stato contrario al terrorismo e aveva denunciato Francesco Berardi, un complice delle BR. La sua morte, il 24 gennaio 1979, colpì profondamente il PCI, poiché fu la prima volta che le Brigate Rosse uccisero un operaio legato alla sinistra storica, mettendo in discussione la presunta connessione tra il terrorismo e il movimento operaio.
Anche l’assassinio del giudice Emilio Alessandrini da parte di Prima Linea il 29 gennaio 1979 rappresentò un punto di svolta. Alessandrini era il primo giudice di sinistra a essere colpito dai gruppi armati, evidenziando un cambiamento di obiettivi rispetto agli attacchi precedenti alla magistratura.
Il 1979 vide anche lo scioglimento delle Camere il 2 aprile. Durante la campagna elettorale che seguì, i temi della sicurezza, dell’eversione e dell’ordine pubblico divennero centrali nel confronto politico. La DC e il PSI, con un dietrofront rispetto a un’intesa con il PCI, contribuirono a isolare sempre di più il Partito Comunista.
7 Aprile 1979
L’inchiesta, con ventidue mandati di cattura, accusò diversi attivisti di dirigere e organizzare gruppi armati e associazioni sovversive.
L’ordine di cattura emanato in quella giornata portò all’arresto di diverse personalità provenienti dall’area della sinistra extraparlamentare, tra cui Nanni Balestrini, Toni Negri, Pino Nicotri, Franco Piperno e Oreste Scalzone.
Le accuse
Le accuse rivolte contro gli imputati erano gravi: l’aver fondato, organizzato e diretto diverse associazioni sovversive, tra cui Potere Operaio e Autonomia Operaia Organizzata. Secondo il procuratore Calogero, queste organizzazioni avrebbero operato in simbiosi con i gruppi della lotta armata, in particolare le Brigate Rosse. Si riteneva che gli imputati costituissero il “cervello pensante” e occulto della sovversione di sinistra del decennio settanta, coinvolgendo sia i gruppi clandestini che quelli dedicati alla violenza “diffusa”.
L’impostazione ideologica del processo, basata sullo studio della matrice politico-ideologica dell’area autonoma e brigatista attraverso il materiale prodotto, generò critiche e polemiche. La magistratura si trovò a dover affrontare il delicato equilibrio tra visioni “garantiste” e “rigoriste” di un’epoca segnata da profonde divisioni e tensioni sociali
Il PCI, in particolare, manifestò una valutazione negativa dell’approccio garantista, timoroso che potesse essere strumentalizzato per ostacolare la sua strategia contro il terrorismo con la costituzione del “partito della trattativa”.
Il “Teorema Calogero” l’arresto di Toni Negri
Il “Teorema Calogero” è un capitolo controverso nella storia giudiziaria italiana, con il magistrato padovano Francesco Calogero al centro di un caso che coinvolgeva l’Autonomia Operaia e le Brigate Rosse . Il teorema, così chiamato dal nome del magistrato che emise i mandati di cattura, metteva sullo stesso piano l’organizzazione di estrema sinistra e l’area dell’Autonomia Operaia, accusandole di essere complici in un presunto progetto sovversivo, compreso l’omicidio di Aldo Moro.
E così nel 1979 scattarono una serie di arresti che coinvolsero membri dell’Autonomia Operaia, suscitando grande scalpore nell’opinione pubblica.
Tuttavia, i processi successivi smentirono in gran parte il teorema di Calogero, portando a molte assoluzioni. La base dell’inchiesta era costituita dalle dichiarazioni di Carlo Fioroni, uno dei primi pentiti dell’eversione di sinistra, responsabile tra l’altro del sequestro dell’imprenditore Carlo Saronio, che si concluse con la morte del rapito.
Tra gli imputati figuravano intellettuali di spicco dell’Autonomia Operaia, come Antonio Negri e Paolo Scalzone, noti anche come teorici del movimento.
Condanne pesanti in primo grado
Inizialmente, a Roma nel giugno del 1984, le condanne furono pesanti: 30 anni per Negri e 20 per Scalzone (che riuscì a fuggire in Francia). Nel frattempo, Negri, con le elezioni politiche del 26 giugno 1983 fu eletto alla Camera, con il sostegno dei radicali di Marco Pannella, prendendo ben 15.000 preferenze, sollevando la questione dell’immunità parlamentare che ne avrebbe complicato l’arresto ma diventando anche un simbolo contro la carcerazione preventiva che, grazie alle leggi speciali, poteva durare fino a sette anni.
Nonostante la condanna in primo grado, Negri riuscì a vedere la sua pena ridotta a 12 anni in Appello, anche se la fuga in Francia non contribuì alla sua reputazione. La sua parziale riabilitazione avvenne dopo il suo rientro in Italia, quando scontò parte della pena.
Il “Teorema Calogero” rappresenta un importante capitolo nella storia giudiziaria italiana, in cui le accuse iniziali di un presunto complotto sovversivo sono state ampiamente smentite nei processi successivi. Il coinvolgimento di figure di spicco come Negri e Scalzone, insieme alla politica e alle leggi speciali dell’epoca, contribuisce a un quadro complesso e discusso della storia politica e giudiziaria dell’Italia degli anni ’70 e ’80.
Le Sentenze e le conseguenze
Negli anni successivi, le sentenze confermarono la complessità del caso “7 aprile”.
A Padova, 46 persone furono assolte, mentre altre vennero condannate a pesanti pene detentive. Nel troncone romano, le condanne furono più miti, escludendo il reato di insurrezione armata.
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