I social media hanno un ruolo significativo nell’amplificare i modelli negativi di comportamento giovanile
La drammatica realtà dei casi di stupro di gruppo
I recenti casi di stupri di gruppo a Catania e Palermo hanno suscitato indignazione, preoccupazione e sconcerto . Nel caso di Catania, una 13enne è stata vittima di uno stupro brutale perpetrato da un gruppo di sette ragazzi, mentre a Palermo una diciannovenne è stata abusata da sette coetanei, di cui uno minorenne. Questi eventi evidenziano una cultura di violenza e mancanza di rispetto verso le donne, alimentata da una società che sembra sempre più indifferente alle sofferenze delle vittime.
Analisi delle cause profonde della violenza sulle donne
Le cause della violenza sulle donne sono molteplici e complesse. Da un lato, vi è una cultura che glorifica la mascolinità tossica e promuove stereotipi dannosi sulle donne, trattate come oggetti da possedere e dominare. Dall’altro lato, fattori come la povertà, la disuguaglianza economica e sociale, e la mancanza di educazione e supporto familiare possono contribuire a creare un ambiente fertile per la violenza.
Il ruolo dei social media nell’amplificare i modelli negativi di comportamento
Anche in questo caso, infatti, ad agire è stato un branco composto da sette ragazzi . Lo sottolinea il procuratore capo presso il Tribunale dei minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, che in un’intervista al Giornale di Sicilia parla di un fenomeno drammaticamente diffuso e punta il dito contro i social.
“Dalle notizie che ho potuto leggere – dice -, le due vicende sembrano molto simili. Alla base di tutto c’è l’amara constatazione che i giovani sono sempre sono sempre più violenti e che si comportano con le donne come se fossero degli oggetti. Non hanno nessuna empatia per le vittime, non capiscono le sofferenze che possono provocare e comunque non se ne curano affatto. I social hanno fatto da cassa di risonanza ai modelli negativi: quasi tutti, infatti, fanno i video e poi li postano per mostrare agli amici cosa hanno combinato.
Il magistrato sottolinea infine che la violenza è assolutamente trasversale, e non riguarda soltanto giovani stranieri come nel caso di Catania. “La nazionalità non c’entra. Le famiglie, in particolare quelle che vivono in contesti difficili, non sempre riescono a trasmettere i giusti valori ai loro figli. Ma è anche vero che tanti ragazzi sono stati lasciati soli dalle Istituzioni in quartieri dormitorio dove non c’è nulla: le risorse sono poche ma bisogna agire al più presto aumentando il personale dei servizi sociali mettendo a disposizione strutture per ricreare quel senso di comunità che, in questi posti, è andato perduto”
I social media hanno un ruolo significativo nell’amplificare i modelli negativi di comportamento giovanile. Spesso, i giovani cercano di ottenere consenso e gratificazione sociale attraverso comportamenti violenti e irresponsabili, condividendo video e immagini dei loro atti criminali per ottenere attenzione e approvazione dai loro coetanei. Questo fenomeno è particolarmente preoccupante in quanto contribuisce a normalizzare e perpetuare la violenza contro le donne.
La risposta delle istituzioni e della società civile
Le istituzioni e la società civile devono agire con determinazione per contrastare la violenza sulle donne in tutte le sue forme. Il decreto Caivano rappresenta un passo importante verso la giustizia e la protezione delle vittime, eliminando la sensazione di impunità che circonda i minori autori di crimini gravi. Tuttavia, è necessario fare di più per prevenire la violenza e promuovere una cultura di rispetto e uguaglianza di genere.
Don Maurizio Patriciello: “Quello che è avvenuto a Caivano, e ora a Catania, è la punta di un iceberg”
Don Maurizio Patriciello, il parroco della chiesa di San Paolo Apostolo al Parco Verde di Caivano ha sottolineato che “quello che è avvenuto a Caivano, e ora a Catania, è la punta di un iceberg. Ci sono al Sud, ma anche al Nord, tante aree in cui sono ammassate povertà sociali che alimentano le povertà educative alla base di queste violenze. Noi facciamo finta di non vedere, di credere che sia un’emergenza limitata solo a pochi e sporadici quartieri.
Così ci mettiamo la coscienza a posto. Se siamo ancora qui a raccontare casi di violenza brutale, di stupri commessi da minorenni, beh allora vuol dire che noi adulti abbiamo sbagliato, abbiamo deciso di non educare”, ha aggiunto il parroco. “Tutto ciò che riguarda i minorenni – afferma don Patriciello – chiama in causa gli adulti, sono loro che devono per primi farsi l’esame di coscienza e domandarsi cosa hanno seminato in questi anni, che cosa hanno insegnato e quale esempio hanno dato”
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