Il Regno Unito va verso il divieto di fumo per i giovani. Fa bene?

Sostenuta da scienziati e politici, la proposta riapre il dibattito sulla libertà personale e sull’efficacia delle imposizioni statali per la salute pubblica. Ulrich Pfeffer, biologo, ne analizza le implicazioni per Fivedabliu

Un disegno di legge che alcuni membri del parlamento del Regno Unito intendono presentare prevede che, dal 2027, nessuno nato dopo il primo gennaio 2009 sarebbe autorizzato a comprare sigarette. L’obiettivo è di eliminare il fumo di tabacco o perlomeno di ridurre la quota di adulti che fumano dagli attuali 12,9% al 5%. Il governo della Nuova Zelanda ci aveva già provato nel 2022, ma il successivo esecutivo ha deciso di abolire questa norma (The Guardian 27 novembre 2023).

Un editoriale della rinomata rivista scientifica “Nature” intitolato “Any plan to make smoking obsolete is the right step” (Nature Vol. 628, pagina 690, 25 April 2024; Qualsiasi piano di rendere il fumo obsoleto è il passo giusto) dà pieno sostegno alla proposta di legge che è approvata anche dalla maggioranza di ricercatori e medici e dai capi di tutti i partiti politici britannici.
Sembra logico, dato che il fumo rimane la più importante causa prevenibile di malattia (Schrier RW, Nature Clinical Practice Nephrology volume 3, page351, 2007).
L’alzamento dell’età a cui è concesso l’acquisto di sigarette ha effettivamente ridotto la percentuale di fumatori tra le nuove generazioni e il disegno di legge semplicemente mira ad estendere questo successo nella lotta contro il tabagismo.

Non è una questione economica: la discussione su quali costi causa il fumo è aperta.
Uno studio tedesco (Steidl, Florian; Wigger, Berthold U. (2015): Die externen Kosten des Rauchens in Deutschland, Wirtschaftsdienst, ISSN 1613-978X, Springer, Heidelberg, Vol. 95,Iss. 8, pp. 563-568,https://doi.org/10.1007/s10273-015-1867-y) suggerisce che lo stato ci guadagna. I fumatori creano costi sanitari dovuti alle malattie provocate dal fumo ma anche i non fumatori si ammalano e i tabagisti, vivendo meno a lungo, fanno risparmiare sulle pensioni.

Quindi tutti d’accordo?
L’Italia, a suo tempo, ha dato un esempio introducendo il divieto di fumo nei luoghi pubblici chiusi (legge Sirchia del 10 gennaio 2005) prima di altri paesi e, contrario ad immortali pregiudizi, gli Italiani da subito hanno rispettato questa regola.
Saremmo pronti a seguire l’esempio britannico? Non voglio considerare i non pochi problemi di attuazione di una tale legge, primo di tutti il contrabbando. Infatti gli autori della proposta intendono abbassare il tasso dei fumatori senza farsi l’illusione di poterlo completamente sradicare.

Ma è sufficiente che un comportamento danneggi la salute per vietarlo? La nostra libertà non contempla la possibilità di farci del male? E se no, quali altri divieti dobbiamo aspettarci?
I danni dello zucchero, più difficili da dimostrare, sono certi, non dovremmo vietare anche i dolci come  tanti altri comportamenti lesivi? In una parola, vogliamo una società in cui medici e ricercatori ci prescrivono come dobbiamo vivere? Certo, la cintura nell’automobile, il casco sulla moto e i dispositivi di protezione individuale sul lavoro sono obbligatori e hanno sicuramente ridimensionato il numero delle vittime nel traffico e sul lavoro, quindi ben vengano altre imposizioni del genere?

A mio avviso la vera domanda è se la società fa bene a rinunciare alla persuasione a favore delle imposizioni.
È giusto prescrivere piuttosto che spiegare, lasciando la libertà di scelta, inclusa quella scelta sbagliata? Ognuno troverà la sua risposta, la mia è no: la libertà include la possibilità di sbagliare a condizione che non leda i diritti, la libertà o la salute altrui.
Ma io sono un vecchio liberale.

Vorrei concludere con Adam Smith che scrisse: “Sugar, rum, and tobacco are commodities which are nowhere necessaries of life, which are become objects of almost universal consumption, and which are therefore extremely proper subjects of taxation” (Lo zucchero, il rum e il tabacco sono prodotti che non sono affatto necessari alla vita, che sono diventati oggetto di un consumo quasi universale e che sono quindi soggetti estremamente appropriati di tassazione. – A. Smith: An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, in: S. M. Soares (Hrsg.): MetaLibri Digital Library, 2007, p. 731, citato in Steidl et al. vedi sopra).
Forse la tassazione è la strada maestra che deve percorrere uno stato liberale per indurre comportamenti corretti lasciando la libera scelta.

Ulrich Pfeffer
L’autore è dipendente dell’IRCCS Ospedale San Martino. Il presente articolo rappresenta la sua opinione personale.

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