Illogistica: due giorni di confronto in Valpolcevera su ambiente, infrastrutture e lavoro

Al centro del dibattito, il 18 e 19 maggio al Circolo Barabini di Trasta, l’impatto della logistica sui territori

Genova – Negli anni ’70, con l’esplosione dei conflitti sociali e la crescita incontrollata delle città, la periferia ha iniziato a essere associata allo spazio del degrado e del disagio. Quindi, alla dimensione geografica si è sovrapposta la condizione di problematicità. Questo ha creato un’immagine collettiva della periferia come luogo di marginalità e difficoltà.

Negli ultimi decenni, la distinzione tra “interno” ed “esterno” delle città si è erosa sempre di più, e si sono sviluppati due principali approcci all’idea di periferia.
Il primo approccio generalizza il concetto considerando tutto come periferia e affermando che le periferie tradizionali si sono estinte. Questo approccio è influenzato dalla teoria dell’urban age, che considera la maggior parte della popolazione mondiale vivere in città.
Il secondo approccio si concentra sui fattori di urbanizzazione, considerando la forma della periferia solo successivamente. In questo modo, si affrontano problemi conosciuti come la domanda di alloggi, i flussi migratori e la trasformazione delle aree urbane, ma lo si fa prendendo in considerazione la varietà di situazioni periferiche.

Oggi, la periferia sembra essere di nuovo al centro dell’attenzione, ma la sua definizione è diventata complessa e sfuggente. L’essere periferico non è più limitato alla rappresentazione territoriale ma assume una molteplicità di aspetti all’interno dell’urbano. Pertanto, diventa cruciale identificare e definire i vari frammenti che compongono lo spazio delle periferie contemporanee.

In questa fase storica, l’urbanistica deve affrontare la sfida di ridefinire il concetto di periferia prima ancora di determinarne la collocazione spaziale. La periferia è diventata un elemento onnicomprensivo dell’urbano contemporaneo, e la sua comprensione richiede un nuovo approccio esplorativo e una classificazione dei diversi tipi di periferie. Solo attraverso questa nuova prospettiva sarà possibile sviluppare adeguati strumenti di governo per gestire la complessità delle periferie nell’urbano del XXI secolo.

La rigenerazione urbana è un processo complesso che va oltre la semplice riqualificazione fisica delle città.
Questo concetto è stato a lungo discusso e analizzato, ed è ormai chiaro che per rigenerare con successo un territorio occorre prendere in considerazione una serie di aspetti multidimensionali. La rigenerazione non riguarda solo la riparazione di edifici e infrastrutture, ma anche la creazione di nuove opportunità e capacità sia per i territori stessi che per le comunità che li abitano. Pertanto, oltre alle modifiche fisiche, le politiche di rigenerazione urbana dovrebbero concentrarsi sul miglioramento dei servizi, che svolgono un ruolo fondamentale nel determinare la qualità della vita e il riconoscimento dei diritti dei cittadini.

Istruzione, salute, servizi sociali e molto altro

Nel contesto della rigenerazione urbana, è essenziale investire in servizi chiave come l’istruzione, la salute, i servizi sociali, l’edilizia, l’accessibilità, la mobilità, la connessione digitale e i servizi culturali. Questi settori sono cruciali per migliorare la vita nelle aree urbane e per garantire un’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita sociale ed economica. La mancanza di questi servizi è spesso alla base della marginalizzazione di vaste aree urbane e delle molte periferie, che oggi non sono più identificate solo dalla loro posizione geografica rispetto al “centro”, ma piuttosto dalle condizioni di vita che offrono ai loro abitanti.

Le azioni immateriali

Per affrontare questa sfida, è necessario investire non solo nella costruzione e nell’ampliamento di infrastrutture fisiche ma anche nelle azioni immateriali. Queste azioni immateriali sono fondamentali per rendere i luoghi più vivibili ed attrattivi, aprendo nuove opportunità di vita e lavoro. Pertanto, è essenziale migliorare l’offerta di servizi e concentrarsi sul concetto di empowerment, che significa dare alle persone e alle comunità la capacità di influenzare le decisioni che li riguardano. Senza servizi di qualità e il pieno riconoscimento dei diritti dei cittadini, nessuna azione di rigenerazione può avere successo.

La rigenerazione urbana non riguarda solo gli edifici e i servizi, ma anche lo sviluppo economico locale. Questo include il supporto al commercio locale, che migliora la qualità della vita nei quartieri, nonché la promozione di nuove attività economiche che possono sfruttare appieno il potenziale delle aree urbane. È anche importante lavorare sulla costruzione di un senso di identità e appartenenza a questi luoghi, superando gli stereotipi che li condannano e vanificano gli sforzi di rigenerazione.

Le disuguaglianze

Le disuguaglianze nelle aree urbane possono assumere diverse forme, come quelle economiche, sociali, e ambientali. Queste disuguaglianze spesso si influenzano reciprocamente, creando un ciclo che si autoalimenta. È fondamentale affrontare queste disuguaglianze con una prospettiva sistemica che superi la mera lotta contro il degrado e tenga conto delle molteplici condizioni di esclusione e marginalità che contribuiscono a queste disuguaglianze.

Le politiche di rigenerazione urbana devono anche coinvolgere attivamente le comunità locali e considerare i cittadini come attori chiave nella definizione e nell’attuazione di tali politiche. Questo coinvolgimento è essenziale per mobilitare tutte le risorse disponibili e garantire l’efficacia e la sostenibilità delle politiche nel tempo. Inoltre, è importante costruire alleanze tra le parti interessate locali, coinvolgendo attivamente le comunità e le organizzazioni della società civile.

Molti progetti e iniziative di successo dimostrano che è possibile coniugare questi obiettivi. Queste iniziative spesso si basano sulla cura del patrimonio comune, sulla promozione della qualità dell’abitare e sull’affrontare la povertà energetica. La pandemia ha anche sollecitato nuove iniziative, come le “officine municipali”, che consentono il lavoro a distanza e riducono la domanda di mobilità.

È necessaria una visione strategica

Tuttavia, affinché queste politiche abbiano successo, è fondamentale superare l’approccio basato su progetti separati e temporanei. È necessario sviluppare politiche a lungo termine basate su una visione strategica. Questa visione dovrebbe emergere da un confronto tra le direzioni nazionali e le aspirazioni locali, coinvolgendo le comunità, le organizzazioni attive nella società civile e le competenze delle università.

La raccolta e la condivisione del sapere sono essenziali per prendere decisioni basate su dati e per governare i conflitti che possono emergere tra diversi punti di vista

Sia le istituzioni pubbliche che le organizzazioni della società civile devono lavorare insieme per promuovere politiche di rigenerazione urbana efficaci e sostenibili nel tempo. Questo richiede un impegno comune nella costruzione di una visione strategica, nel coordinamento tra le diverse iniziative e nell’adozione di politiche a medio e lungo termine che garantiscano la continuità dell’intervento. Solo attraverso un approccio sistemico e collaborativo si potranno affrontare con successo le sfide della rigenerazione urbana e creare città più vivibili, inclusive e sostenibili per tutti.

Una fase di rapidi cambiamenti

Siamo in una fase di rapidi cambiamenti, a volte drammatici e impattanti sulla vita delle persone. Questa epoca richiede con urgenza una “rivoluzione culturale” che ci permetta di esplicitare i valori condivisi che orienteranno il nostro cammino in un mondo che vive la trasformazione, dalle dimensioni locali a quelle europee e globali. Questa rivoluzione culturale è fondamentale per radicare e sostenere percorsi di innovazione sociale, che saranno essenziali per affrontare le sfide che ci attendono.

Disuguaglianze difficilmente misurabili

Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una crescente evoluzione delle disuguaglianze sociali e della crisi climatica. Questi due fenomeni, in costante crescita esponenziale, rappresentano il fulcro dell’intreccio tra giustizia ambientale e sociale. Le disuguaglianze non sono più limitate alla sfera economica; oggi, sono pervasive e influenzano tutti gli aspetti della vita sociale e individuale.

Non possiamo più concentrarci esclusivamente sulla disparità tra ricchezza e povertà, né considerare solo la distanza tra chi possiede molto e chi ha molto poco. Vi sono disuguaglianze difficili da misurare che influiscono pesantemente sulla vita delle persone e sulla coesione sociale: disuguaglianze di genere e generazionali, culturali e di istruzione, territoriali e ambientali, ricchezza comune e riconoscimento. Spesso queste disuguaglianze non ricevono l’attenzione che meritano da parte della politica e dei media, a meno che non emergano in tragedie o eventi di cronaca di peso mediatico. 

Il deterioramento sociale

Questo deterioramento sociale si è abbattuto con forza sulla crisi climatica. Anche se alcuni esperti avevano previsto questa sfida, non può alleviare il nostro compito attuale. La risposta alla crisi climatica deve coinvolgere tutti, senza lasciare indietro nessuno. Come ci ricorda Don Bruno Bignami, non possiamo permetterci di rimandare sine die la transizione ecologica. Questa strada è obbligata, e non possiamo semplicemente ripetere ciò che è stato fatto finora.

Antiche emergenze e nuovi divari

Non basta. Alle sfide tradizionali si aggiungono nuovi divari, sia ambientali che sociali, che rendono la vita delle persone ancora più difficile. Un esempio lampante è la crisi energetica e l’aumento della povertà energetica. Se la transizione ecologica non tiene conto dei bisogni e delle fragilità delle fasce più vulnerabili, queste stesse fasce saranno portate a opporsi a tale transizione, come dimostra la propaganda delle destre europee. Sfruttando le paure e l’insicurezza generate dalla velocità con cui sta avanzando la crisi climatica e la necessità di cambiamento, cercano di accaparrarsi il voto popolare.

Le fragilità si concentrano nelle periferie

Le periferie urbane sono l’epicentro di molte forme di disuguaglianza che influenzano profondamente la vita delle persone e minano il senso di comunità. Qui si intersecano questioni legate all’accesso alla ricchezza comune, alla questione abitativa, alla rigenerazione degli spazi pubblici, alla lotta contro la povertà energetica, alla povertà educativa e ai diritti di cittadinanza negati, ai rischi ambientali e alla maggiore vulnerabilità alla crisi climatica.

I conflitti tra gli ultimi

Queste disuguaglianze sono esacerbate dalla mancanza di attenzione verso i luoghi che questo modello di sviluppo ha promosso. Questa inattenzione ha generato nuovi conflitti tra gli ultimi, i penultimi e i vulnerabili. È evidente oggi che i luoghi che non ricevono attenzione generano frustrazione e rabbia tra le persone che li abitano, e solo in rari casi questa frustrazione si trasforma in orgoglio e senso di appartenenza.

Per affrontare queste sfide, è fondamentale sviluppare progetti sulla povertà educativa che vadano oltre la buona volontà di singole scuole o enti pubblici, e che invece si basino su un disegno complessivo di patti educativi di comunità. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione ampia potremo affrontare efficacemente le complesse sfide del nostro tempo.

L’effervescenza sociale e l’esigenza di fare sistema

In Italia, abbiamo assistito a una notevole ricchezza di esperienze sociali, un vero e proprio fermento di iniziative che potremmo definire “effervescenza sociale”. Tuttavia, queste iniziative non sono state in grado di costituire un sistema armonico e spesso sono rimaste confinate ai propri spazi e successi, senza riuscire a stabilizzare l’innovazione sociale o influenzare le politiche pubbliche. Questo rappresenta una lacuna significativa se vogliamo costruire una transizione ecologica basata su principi di giustizia ambientale e sociale. Ci insegna anche che l’azione individuale non è sufficiente; è necessaria la cooperazione, la collaborazione tra competenze diverse e la convergenza di visioni di sistema.

La tutela ambientale come ostacolo

La protezione dell’ambiente è spesso vista come un ostacolo allo sviluppo economico. Quando si pianificano nuove imprese o grandi infrastrutture, si tiene conto delle restrizioni ambientali che verranno applicate in seguito. Tuttavia, questo atteggiamento deve cambiare radicalmente. È necessaria una rivoluzione culturale che metta il benessere delle persone e la salvaguardia dell’ambiente al centro dello sviluppo economico.

Integrare il sociale e l’ambiente

Per superare queste sfide, è essenziale abbandonare la separazione concettuale e politica tra il sociale e l’ambiente. Mentre nel dibattito pubblico prevale spesso l’idea di sostenibilità ambientale, non dobbiamo trascurare la sostenibilità sociale. È fondamentale comprendere che queste due dimensioni sono strettamente interconnesse e che il raggiungimento della sostenibilità richiede un equilibrio tra entrambe.

E in quest’ottica, e per raccontare le complessità di quartieri visti solo come corridoi economici,  si è svolto un denso dibattito sulle servitù e la vivibilità in Valpolcevera, nei giorni 18 e 19 maggio, organizzato da Valpolcevera Antifascista.

Illogistica, questo il nome dell’evento, ha voluto puntare l’attenzione su un sistema economico che consuma risorse, sfrutta le fasce più fragili della società creando precarietà, in quartieri come la Valpolcevera.

Le merci sembrano avere più diritto di movimento degli esseri umani, consumano suolo per il loro stoccaggio e necessitano di essere distribuite velocemente, spesso a scapito dei diritti dei lavoratori della logistica, che sono costretti a condizioni di lavoro al limite della schiavitù.

Quando tutto questo si concentra in una unità territoriale ben precisa, come avviene in Valpolcevera, le delegazioni che la compongono vengono condizionate e impoverite, specialmente se tutto ciò è associato a una carenza sempre più evidente di servizi.

Nella due giorni si è parlato di lavoro, portualità, trasporti, coinvolgendo nei lavori ricercatori, lavoratori, cittadini, artisti, grafici, esperti di comunicazione, con l’intento di attivare dei tavoli permanenti di discussione che aiutino i cittadini, anche quelli più distratti, a capire quale sarà il destino del territorio in cui abitano.

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