Julian Assange è finalmente libero ma la libertà di stampa no

Dopo 12 anni di reclusione, il fondatore di WikiLeaks torna in libertà ma la sua vicenda solleva gravi preoccupazioni per il futuro del giornalismo indipendente

Julian Assange è finalmente libero. Mercoledì, il fondatore di WikiLeaks è stato rilasciato dopo 12 anni di reclusione, accettando un accordo in cui si dichiara colpevole di aver cospirato per ottenere e divulgare informazioni riservate sulla difesa nazionale degli Stati Uniti.

In meno di 24 ore, Assange è stato scarcerato, è comparso in un tribunale nel remoto avamposto americano di Saipan ed è tornato in Australia da uomo libero. Si conclude così una battaglia legale durata 14 anni.

Bene. O forse non del tutto.
Il fatto grave è che Assange non avrebbe mai dovuto essere accusato di spionaggio. E l’accordo per cui alla fine ha dovuto cedere è inquietante per la libertà di stampa.
Di più: il materiale di WikiLeaks, pubblicato in collaborazione con testate come il Guardian, ha rivelato abusi spaventosi da parte degli Stati Uniti e di altri governi, abusi che altrimenti non sarebbero mai venuti alla luce ma per i quali nessuno è stato ritenuto responsabile.

La legge in base alla quale è stato incriminato Assange non prevede la difesa basata sull’interesse pubblico. Questo significa che le future amministrazioni americane, inclusa una possibile presidenza bis di Donald Trump, potrebbero usare il caso Assange come precedente per perseguire – perseguitare? – i giornalisti.

Gli anni trascorsi da quando Assange è entrato per la prima volta nell’ambasciata ecuadoriana a Londra non sono stati positivi per la libertà di stampa.
I giornalisti corrono rischi fisici e legali in tutto il mondo. Il Guardian, ad esempio, in collaborazione con altri media e con Forbidden Stories, ha recentemente condotto un’inchiesta sulla morte di oltre 100 giornalisti a Gaza dall’inizio della guerra.

E poi c’è il processo a porte chiuse contro Evan Gershkovich del Wall Street Journal, accusato dalla Russia di spionaggio, accuse che lui, il suo datore di lavoro e il governo degli Stati Uniti hanno descritto come motivate politicamente. E in India, la scrittrice Arundhati Roy, apertamente critica nei confronti del primo ministro Narendra Modi, è ora sotto processo ai sensi della legislazione antiterrorismo per i commenti sul Kashmir scritti nel 2010.

E in Italia?
Nel Rapporto che analizza lo stato della libertà di stampa nel mondo, pubblicato da Reporter Senza Frontiere nel 2024,  il nostro Paese è retrocesso al 46° posto. E non solo per il fatto che ci sono una ventina di giornalisti che vivono attualmente sotto protezione permanente della polizia dopo essere stati bersaglio di intimidazioni e attacchi da parte della criminalità organizzata.
Lo studio, infatti, punta il dito anche contro la cosiddetta Legge bavaglio, “sostenuta dalla coalizione di governo del primo ministro Giorgia Meloni, che vieta la pubblicazione di un ordine di custodia cautelare fino alla fine dell’udienza preliminare”.
Nel nostro Paese manca anche una legge che limiti le querele temerarie, le cosiddette procedure SLAPP – Strategic Lawsuits Against Public Participation -, per cui capita anche che i giornalisti si autocensurino, scoraggiati o intimiditi a causa dei risarcimenti da versare in caso di sconfitta.

Insomma, con le destre in ascesa un po’ ovunque e la prospettiva di una presidenza bis di Donald Trump all’orizzonte, dopo l’allarmante dibattito televisivo con Joe Biden, la situazione per la stampa libera nel mondo potrebbe ulteriormente peggiorare. È fondamentale che ci difendiamo.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.

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