Ci siamo….e mi viene da dire finalmente. Perché la vicenda ” Targa del bicentenario de Il Corriere Mercantile” è arrivata quasi al termine. Ne ho fatto una fissa, quasi un’ossessione in questo 2024, l’anno del bicentenario, appunto. Perché mi viene da dire, parafrasando il Giorgio Chiellini nazionale, campione europeo, juventino, calciatore… e tutto il resto, che Il Mercantile è (è stato) la mia vita.. Perciò giusto dedicargli tutta questa attenzione quasi maniacale per un riconoscimento storico e doveroso. Quella targa all’ingresso dell’edificio- il palazzo di via Archimede 169 rosso – che per quasi 40 anni è stata la sede della redazione, degli uffici amministrativi, il posto dove era stata allocata la rotativa della cooperativa G&P, al secolo Giornalisti e poligrafici, che fino al termine di luglio del 2015 è rimasta titolare delle testate “Il Corriere Mercantile”-” La Gazzetta del Lunedì ” e ha continuato ad editare i giornali. Tutti i giorni che Dio mandava in terra, inclusi domenica e lunedi, spesso nei giorni di sciopero dei giornali, e addirittura il 2 di maggio quando a seguito della giornata festiva del primo maggio, festa del lavoro, anche i quotidiani – se non tutti la maggior parte – non uscivano in edicola.
E il Mercantile è davvero stata la mia vita dal 1980 al 2012, per 32 anni, consentendomi di realizzare un sogno coltivato già da bambino. Come lo è stato per Mimmo Angeli, lo “storico direttore” di quella cooperativa (1979/2015) – così è stato definito nella targa che prima o poi verrà affissa all’entrata di via Archimede 169 rosso -. Una targa che costituisce e costituirebbe un’operazione di memoria in una città, la nostra, che tende, purtroppo, a dimenticare con troppa facilità, evidenziando troppo spesso, un atteggiamento di faciloneria, o peggio di comodo. Insomma vuoti di memoria involontari, o peggio proditoriamente voluti.
E tutta la vicenda di questo ultimo anno lo potrebbe riassumere al meglio quell’atteggiamento. Una propensione che viene da lontano, frutto di quel maniman che Genova e i genovesi, imprenditori e politici, per la maggior parte, si portano cuciti addosso al pari di quel luogo comune che ci descrive col “braccino corto” a scarsamente portati alle relazioni sociali. Specie con “foresti” e turisti. Quelli del “Milano suka” e della “Torrta di riso finita”, per usare due strepitose gag ormai “storia” del mondo del cabaret genovese.
Una storia che riassumerebbe al meglio anche la maggior parte del mondo politico genovese, quello dei record di lunghezza della slerfa di focaccia, meglio se con la cipolla e intinta nel cappuccino, e del salame di Sant’Olcese, nonché del pestello a navigare addirittura sul Tamigi mentre tutta la città stava per scordarsi del bicentenario di qui sopra. Una storia di politica e burocrazia iniziata nel marzo di quest’anno grazie all’aiuto di Stefano Balleari, ‘attuale presidente del consiglio regionale, all’epoca capogruppo di Fratelli d’Italia, sempre in Regione. Balleari su mia sollecitazione, quasi una pia perorazione, si è deciso a portare in aula un ordine del giorno in cui il consiglio regionale raccomandava al Comune di prendere in considerazione l’ipotesi di affiggere una targa in via Archimede 169 rosso, il palazzo che per 36 lunghi anni ha ospitato la cooperativa G&P. Una per ricordare i 200 anni de “Il Mercantile”, per longevità il terzo quotidiano d’Italia dopo la “Gazzetta di Mantova (1664) e la “Gazzetta di Parma” 1728. Un giornale legato con il.primo editore/direttore, Luigi Pellas ad esigenze imprenditoriali fra traffici portuali e commercio. Un giornale via via trasformatosi da bisettimanale a quotidiano, poi con editori ragolari con la famiglia Fassio, sino al fallimento degli imprenditori/editori/giornalisti e alla nascita della Cooperativa G&P. E nonostante tutto quasi ininterrottamente in edicola sino al giorno della definitiva chiusura il 27 luglio del 2015. Fra appelli e promesse, di politici e possibili scenari imprenditoriali per una riapertura possobile che nella città del maniman non hanno portato a nulla.
Ah… dimenticavo, non proprio a nulla. Sino all’ordine del giorno del suddetto Stefano Balleari su mia perorazione. Presentato una prima volta suscitando qualche rimostranza perché veniva citato “lo storico” direttore ormai scomparso da qualche anno. Citato si’, ma pare con eccessiva enfasi in una città con qualche vuoto di memoria. Dove, tanto per fare un esempio, per realizzare un premio giornalistico a lui intitolato, si è stati costretti ad emigrare nella vicina Chiavari, seppur sede di una redazione de “Il Corriere Mercantile” e “La Gazzetta del Lunedì”, nel periodo di abbinamento del nuovo millennio con “La Stampa”, storico quotidiano della famiglia Agnelli, che poi si è defilata andandosi ad accoppiare con “Il Secolo XIX”. Dando persino un po’ l’impressione che quell’abbinamento durato più di 10 anni, e persino con qualche strascico giudiziario, fosse soltanto una lunga operazione di sondaggio e avvicinamento. Una sorta di lunghissimo corteggiamento. Ma questa è e rimane una mia personale illazione. Nel frattempo in “sala verde” Balleari – che non demorde – è costretto a riscrivere e riproporre l’ordine del giorno sulla targa del bicentenario, per forza di cose menzionando con meno enfasi lo “storico” direttore che avrebbe rischiato in definitivs di risultare eccessivamente divisivo. E così l’ordine del giorno rivisitato viene approvato all’unanimità nonostante una prima presa di distanza di un capogruppo d’opposizione, vedi caso ex giornalista.
La raccomandazione rimane però una mia personale perorazione e una lettera morta sino a settembre, quando facendomi coraggio, telefono al consigliere comunale del Pd Alberto Pandolfo esponendogli il caso e esternandogli anche la mia ambizione che la raccomandazione venisse ricordata in sala rossa e diventasse un.ordine del giorno o una mozione bipartisan, sostenuta da maggioranza e opposizione. Tanto che Alberto Pandolfo consigliere del.Pd correttamente si interfaccia con Franco De Benedictis, il capogruppo di Fratelli d’Italia, lo stesso partito di Balleari, prima di rivolgersi all’assessore competente Marta Brusoni. Finalmente il documento viene approvato in aula e in giunta. Così se ne fa carico il presidente del consiglio comunale Carmelo Cassibba che lo trasmette in Prefettura. La Prefettura ottiene il parere positivo dei condomini dell’edificio che ha ospitato per quasi 40 anni la redazione e gli uffici amministrativi della Cooperativa G&P e trasmette il tutto all’associazione di Storia Patria per l’ultima verifica. E lì siamo arrivati. In attesa che una volta trasmesso il parere positivo arrivi in Prefettura e si attivi la procedura per fare iscrivere la famosa targa. E infine apporla a fianco dell’ingresso
Mi viene solo da osservare qualcosa sul peso della burocrazia visto che l’edificio si cui apporre la “famosa targa” è un luogo privato e i condomini hanno già espresso, tramite l’amministratore, il loro assenso.
Nel frattempo ci sono da registrare altre due iniziative che renderanno merito alla memoria de “Il Corriere Mercantile”. La prima è l’interessamento del municipio bassa Valbisagno, il territorio su cui gravitava l’ultima sede del quotidiano. La seconda è la pubblicazione grazie a Franco Manzitti, autorevole collega, di un libro dedicato al bicentenario. Un libro edito da De Ferrari che verrà presentato il 9 dicembre alle 17 nella sala delle grida dell’ex Borsa in via XX Settembre. Il libro contiene, oltre a quelli di tanti autorevoli colleghi, anche un mio articolo scritto sull’onda di “Nuovo cinema Paradiso” e della relativa nostalgia giocata sul fatto che la’ dove era stata allestita la redazione e tutto il resto de Il Corriere Mercantile c’era il Doria, un cinema e Teatro dove oltre a proiettare i film si allestivano spettacoli di musica e avanspettacolo
Tanto che l’articolo in questione diceva così: :
“NUOVO CINEMA MERCANTILE
Giusto qualche giorno fa, il 6 ottobre per essere precisi, mi è capitato di assistere in tv, su Raiuno al bel film di Pupi Avati che metteva in connessione la nascita dei programmi radio e la nascita di Giacomo che insieme alla radio quel 6 ottobre avrebbe compiuto proprio 100 anni. E di pensare che al momento della mia nascita, ben 70 anni fa, il giornale dove ho svolto per la maggior parte la mia professione, di anni ne avrebbe avuti addirittura 129, (centoventinove).
E comunque siccome, nonostante tutto, mi piace, e forse mi ha sempre fatto piacere, cercare strane o addirittura improbabili connessioni con la mia vita che fossero in qualche modo riconducibili ad un fattore esterno, o addirittura al destino – come se tutto debba in qualche modo avere un senso o sia stato già scritto -, mi sono dato da fare per cercare un senso alla mia storia. Come se capitare in quel posto proprio in quel momento dovesse essere in pratica una delle tante sfaccettature della storia. Come se quello, giusto all’inizio degli anni ’80, non potesse che essere l’ideale continuazione della storia verso i 200 anni de il Corriere Mercantile. Con la rotativa, una redazione, una tipografia e gli uffici amministrativi ospitati per una quarantina d’anni, cioè fino alla chiusura il 27 luglio del 2015, nei locali di un ex cinema, ancora prima teatro d’avanspettacolo. Il Doria di via Archimede 169 rosso.
Per me, ormai anziano e con il gusto delle narrazioni, persona a cui piace mettere insieme gli elementi prima di tradurli in una storia, un segno del destino. E un destino mai tradito, visto che in quei locali ci ho lavorato per 32 anni prima di andare in prepensionamento, allo scopo di alleviare una delle tante crisi finanziarie che senza editori ed in un giornale edito da una cooperativa di Giornalisti e Poligrafici erano quasi all’ordine del giorno. Ricorrenti ad ogni occasione in cui era necessario sottoscrivere il bilancio preventivo e quello consuntivo. Ma un destino, almeno a me piace pensarlo così, ricorrente sin dalla mia prima infanzia. Intanto il lavoro di mio padre Ernesto, prima a Genova, poi a Torino e in seguito di nuovo a Genova, responsabile di una società che si occupava di affittare e distribuire le pellicole in programmazione nelle sale cinematografiche cittadine e non. Il che mi ha permesso di avere un’infanzia parallela alla programmazione nelle sale. E comunque a Torino, dove ho vissuto dai 6 ai 14 anni abitavamo proprio accanto a un cinematografo il “Principe”, in via Principi d’Acaja 47. E il terrazzino dell’appartamento al primo piano sul quale si affacciava la finestra della mia camera confinava proprio con il terrazzo del cinema. Tanto che mi è accaduto parecchie volte di scavalcare la ringhiera al fine di introdurmi clandestinamente in galleria godendomi gratuitamente la proiezione. Con la sola attenzione di uscire, una volta terminato lo spettacolo, dallo stesso posto da cui mi ero introdotto.
Insomma il cinema, per il cinema e al cinema.
E così, ripensandoci, mi accade di aver partecipato e goduto, per trentadue intensi anni, ad uno spettacolo. Un po’ come se, galleria o platea, sullo schermo corressero vita e personaggi e noi fossimo allo stesso tempo interpreti e spettatori.
E la storia, quella storia degli ultimi trentacinque anni era tutta da scrivere su quel palcoscenico che è sempre stato un palcoscenico. In scena e fra le quinte, sul palco e nelle zone antistanti, retrostanti e, persino sovrastanti. In scena ogni giorno, domenica e primo maggio compresi, interpreti e comparse, star, prime donne, protagonisti e pubblico. Tutti involontariamente attratti dalle notizie e dalla notizia. Insomma una vita, tutta la mia vita, fra cinema e notizie.
Perciò gag e personaggi, scenette, persino scherzi, come in un grande spettacolo di cabaret, fra cronaca, finzione e realtà. Proprio come se giorno dopo giorno si trattasse di un ripetitivo, ed estraniante spettacolo di cabaret.
E allora la prima scenetta che mi viene in mente è quella che raccontava e riraccontava, tramandandola a noi posteri, il direttore Mimmo/Gerolamo Angeli, che per collaborare con altre testate usava lo pseudonimo per forza in controtendenza “Michele Diavoli”. E Mimmo, alias Michele di nome e Angeli alias Diavoli di cognome, raccontava che quando insieme al suo capo, un uomo noto e con cognome altisonante e di caratura nobiliare, all’inizio della giornata si presentavano al bancone del bar per la colazione il suo accompagnatore usasse dire al barman: “due buoni caffè per due ottimi giornalisti” . Che la prima regola per un giornalista che si rispetti è quella di credere incondizionatamente in se stesso.
Ed era quell’ambiente lì. Quello che con autoironia definiva la nostra professione: “giornalisti, sempre meglio che lavorare”.
E il clima era sempre quello quando salivi le scale e poco dopo le 6,30 della mattina ti presentavi in galleria, dove il vuoto sovrastante la platea era stato coperto con una lunga lastra taglia fuoco di acciaio che costituiva il pavimento della redazione. E al centro c’erano, già intenti a sfogliare i quotidiani, il direttore e il caporedattore Sandra Ramella, quasi leggendaria primo caporedattore di sesso femminile.
Entrambi seduti di fronte a quel tavolone, che costituiva l’unico ricordo della vecchia redazione di via Varese in quel palazzo dei giornali da cui avevano dovuto andarsene dopo il fallimento dei precedenti editori, la famiglia Fassio, armatori ed imprenditori. Quelli che quel palazzo di vetro lo avevano fatto costruire.
E poi, come entrassi un mondo parallelo, venivi introdotto a far parte dello spettacolo. Colleghi esperti e più anziani e poi giovani di belle speranze. Ai quali il caporedattore, quasi come un’insegnante meticolosa e rigorosa, non faceva mai mancare qualche bacchettata. Indicando il quadrante dell’orologio in caso di ritardo.
Tanto che alcuni “giornalisti sempre meglio che lavorare” alla fine entravano alla chetichella dopo aver superato le scale di corsa e aggirato il gabbiotto del centralino al quale Pellerano rispondeva alle prime telefonate. Anche a quelle di sedicenti Br che rivendicavano qualche attentato o ti rimandavano al cassonetto della carta straccia nella pubblica via dove avevano nascosto l’ultimo comunicato della direzione strategica. E il buon Pellerano si era attrezzato facendosi consegnare uno di quei registratori utilizzati dai dimafonisti per incidere la voce le indicazioni e il testo del comunicato dettato dall’inviato o dal brigatista di turno. Una delle prime volte gli capitò di interrompere l’interlocutore confidandogli di non aver potuto prendere tempestivamente nota,. E pregandolo perciò di ripetere. E l’interlocutore di buon grado ripetè il tutto, come stesse interpretando una parte. Poi il solito copione. Recuperato il comunicato arrivava l’agente della squadra di polizia e si portava via il volantino ciclostilato con la stella a cinque punte e la cassetta con il nastro registrato. Per indagare o per futura memoria dei tempi che furono.
Poi c’era la Ines (Colombari) che aveva abbandonato il centralino per diventare la reginetta dell’archivio, spesso sepolta tra ritagli di giornale, fotografie in bianco e nero e buste. Fondamentale però la sua memoria. Era la prima a cui ti rivolgevi quando per approfondire avevi bisogno di risalire alle origini di una storia di cronaca. E la Ines era proprio accomodata alla scrivania alle mie spalle. Sempre pronta a suggerirmi come un compagno di classe affidabile. Insieme alle sue amiche correttrici di bozze Elda Rolla o la poetessa Margherita Faustini. A suo modo un regno parallelo. Tutto al femminile.
E la mattina alle 6,30, dopo aver percorso lo scalone si entrava accolti da Vittorio Sollavagione. Alto, capelli bianchi due occhi azzurri profondi che accompagnava il primo buongiorno consegnandoti la mazzetta dei quotidiani e il vasetto di coccoina diluita con tanto di pennellino. Il progenitore del “copia incolla”, quando si trattava di costruire l’articolo con le note di agenzia o di correggere il pezzo inserendo o rifacendo qualche riga.
E poi c’era Piero Pasotti, il principe dei dimafonisti, al quale si affidavano gli inviati più importanti per dettare il pezzo a braccio dai campi di calcio. Ironico, scherzoso e sempre calmo, anche quando l’inviato tardava e i tempi per mandare in macchina il giornale si assottigliavano pericolosamente.
E la domenica lo spettacolo cambiava vorticosamente con l’entrata in scena di nuovi interpreti. Un reggimento di sportivi che esercitavano la professione solo nel giorno del di’ di festa per tornare dal lunedì al sabato dietro lo sportello di una banca o alla scrivania di un ufficio stampa aziendale, a raccontare l’epopea di una giornata diversa, in tribuna stampa al Ferraris o su qualche altro campo di calcio. E allora, nomi mitici, come quello di Gianni Bora, di Nino Gotta, o di Aldo Merlo, già a quei tempi ironico e un po’ strafottente con i calciatori, una sorta di Gianni Brera in Liguria.
E poi alla domenica c’erano gli sport minori con Carletto Bruzzone, detto “Brucar” che scriveva di rugby, con Sandro Castellano esperto di pallanuoto, entrambi giornalisti che dividevano la Gazzetta del Lunedì con quella rosea dello sport. Con quel mito/leggenda su Sandro Castellano che avesse seguito come giornalista tutte le ultime olimpiadi, ma pagando viaggio e soggiorno di tasca propria.
E per finire un nugolo di collaboratori con il compito di correggere e mettere in pagina gli articoli inviati dai collaboratori dai campi. Massimo Maccaroni, Fabio Guidoni, Italo d’Amico, Mauro Traverso, Lucio P. Ricchebono, Andrea Valdemi, Carlo Mattia, Riccardo Carovino, Vittorio Sirianni. Alla domenica il cast dello sport cambiava completamente faccia, a rinforzare la redazione originaria con Giuliano Costa, Gianluigi Corti, Giorgio Bregante, Pierluigi Gambino Gianni Massinissa.
Tutti calati perfettamente nella parte anche quella volta che Umberto Gaeta spiro’ sulla scrivania della redazione, con il capo reclinato fra le braccia e senza un gemito. Sulle prime chi gli passava vicino pensava dormisse. E fece attenzione a non disturbarlo. Poi qualcuno lo scosse, ma senza riuscire a svegliarlo. Pochi minuti dopo arrivarono i militi dell’ambulanza e gli agenti del vicino commissariato e poi il medico legale per riscontrarne il decesso per un malore. Un probabile infarto. Era un uomo di poche parole. Arrivò la mortuaria per portare via il corpo. Cronaca nella cronaca. A qualcuno, forse al centralinista, toccò informare i familiari. Riprendemmo a lavorare perché … the show must go an.
E spesso il bello, ma ancora di più il brutto, capita a centralinisti e portieri. A mettere distanza fra lettori, pubblico e giornalisti. Fra spettatori e chi mette in scena e racconta lo spettacolo. Tra fruitori e chi cerca in qualche modo di proporre una forma d’arte.
Anche se, a proposito di portieri ne abbiamo avuto uno che dicevano fosse stato una spia cecoslovacca. Con tanto di pistola alla cintola che almeno una volta dimenticò nel lavabo del bagno dopo essersi lavato le mani. Raccontano ancora che il suo nome fosse stato trovato in un fantomatico elenco delle BR dei personaggi da seguire e tenere d’occhio. Ricordo che il direttore al momento se ne lamentò. Nelle liste di proscrizione non c’era il suo nome ma quello del portiere del Mercantile. Lo accontentarono e qualche tempo dopo arrivava al giornale a bordo di un Ciao Piaggio, scortato a breve distanza da un’auto della Polizia. Bizzarrie da film proiettato al mio “Nuovo cinema Mercantile”.
Poi al posto del cecoslovacco arrivò una efficiente cooperativa di portieri: Andrea, Angelo, Beppe, Gigi e Alessandro. Tutti a qualche metro dal portone d’ingresso e a guardia del mitico scalone che portava nella galleria della redazione. Scalone per il quale qualcuno si trovò ad osservare: “A me non interessa se siete di destra o di sinistra, qui siamo indipendenti. Pensate solo a fare il vostro lavoro con impegno. Per i più bravi c’è posto qui, in cima alla scala”. E dunque salite lo scalone e che lo spettacolo abbia inizio. Alla ricerca di una plausibile narrazione della mia verità. Per la quale Italo Calvino ebbe a scrivere: “La vita d’una persona consiste in un insieme di avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a una architettura interna”.
E quindi… luci, …. ciak… e azione. Si gira”.
Infine, ultimo ma non ultimo, c’è l’interessamento del municipio Bassa Valbisagno grazie al presidente Angelo Guidi che mi è stato presentato dal collega Michele Varì. Guidi si è dimostrato sin dall’inizio molto disponibile, tanto da confrontarsi spesso sui tempi con il presidente del consiglio comunale Franco Cassibba. E sui tempi c’è da dire che il tutto si è svolto in un periodo abbastanza breve ma infausto. Fra marzo e oggi, mesi in cui si sono accavallate la vicenda giudiziaria del governatore Giovanni Toti, le relative dimissioni, la candidatura e l’elezione in Regione dell’ex sindaco
Marco Bucci e di alcuni consiglieri e assessori della sua giunta, mentre si prospettano le nuove candidature e le elezioni amministrative per palazzo Tursi. Guidi nonostante tutto si è dimostrato molto attento. Ha spinto il giusto in Comune e mi ha proposto una manifestazione evento proprio su “Il Corriere Mercantile e i suoi 200 anni”. Manifestazione/evento che si terrà il 16 dicembre alle 17 nei locali del Municipio, in piazza Manzoni. e avrà il titolo : “Il Corriere Mercantile : “Il bicentenario che non t’aspetti”. Un evento già preparato insieme all’assessore alla cultura del municipio Barbara Lagomarsino a cui parteciperanno in veste di relatori Stefano Balleari, Carmelo Cassibba, Alberto Pandolfo e Franco De Benedictis, come rappresentanti istituzionali. E inoltre Floriano Panciera, storico proto del quotidiano, Riccardo Speciale, storico presidente dell’Agis di Genova, il presidente dell’ordine dei giornalisti liguri Filippo Paganini, Massimo Lusuriello, l’ultimo presidente del collegio dei sindaci della cooperativa e il collega Michele Bazan Giordano. Si parlerà del bicentenario de “Il Corriere Mercantile” e degli ultimi anni della Cooperativa, una cooperativa anomala di soci giornalisti e poligrafici approdata in un ex cinema e teatro di avanspettacolo. Da parte mia ho invitato molti soci della cooperativa e tanti giornalisti che al Corriere Mercantile hanno iniziato la loro carriera. Con il diritto di parola e di ricordare
Esteso a tutti i presenti. E comunque, se mi capiterà di prendere la parola, vi preannuncio che inizierò come faceva in un.popolare programma televisivo il compianto Enzo Tortora che iniziò la sua carriera giornalistica proprio nella redazione de “Il Corriere Mercantile”. Ed esordiro’ con il tradizionale…. ” Dove eravamo rimasti”. Già… dove eravamo rimasti?
P.S. Perdonatemi l’enfasi, ma soprattutto la lunghezza. Ma dopo nove anni di silenzio ne valeva giusto la pena.
Paolo De Totero
Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.