Mafia e ambienti politici e imprenditoriali avevano l’interesse a uccidere Falcone e Borsellino
Palermo – A trent’anni di distanza dall’esplosione che il 23 maggio 1992 a Capaci uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta, la Cassazione chiude i conti e condanna all’ergastolo i quattro mafiosi accusati di aver preso parte all’organizzazione della strage e di aver reperito l’esplosivo che sventrò l’autostrada per Palermo e inaugurò la stagione stragista ed eversiva di Cosa Nostra.
Assolto Vittorio Tutino
Sono così diventate definitive le condanne al carcere a vita per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello. Ed è diventata definitiva anche l’assoluzione di Vittorio Tutino. I supremi giudici hanno respinto tutti i ricorsi delle difese, come chiesto anche dalla Procura della Cassazione rappresentata dalla Pg Delia Cardia, che ha sottolineato lo stretto coordinamento con il Procuratore generale Giovanni Salvi nel definire la requisitoria.
Non tornerà quindi sotto processo Vittorio Tutino, il “soldato di mafia”, così lo ha definito Cardia, uscito sempre prosciolto dal processo nonostante del suo “attivismo” nella stagione delle bombe abbia parlato Gaspare Spatuzza, il pentito che ha svelato i depistaggi nelle indagini sull’attentato a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Nel 2008 la Cassazione ha condannato i mandanti della strage di Capaci – il “gotha” di Cosa Nostra – e gli esecutori materiali, tra i quali Giovanni Brusca, che azionò il telecomando.
Le ombre sulla figura di Vittorio Tutino
Rimangono ombre sulla figura di Vittorio Tutino perché secondo la Procura Generale i giudici della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, nella loro sentenza del 21 luglio 2020 si sarebbero fatti influenzare dall’assoluzione di Tutino emessa in primo grado “con una omessa valutazione di materiali decisivi e probatori sull’attivismo di Tutino anche nella strage di Milano”.
E poi ci sono le sentenze di Firenze che parlano “della sua probabile partecipazione a tutti gli attentati, data la caratura del personaggio, uomo di fiducia di Graviano”. Per la Pg Cardia, “lo dobbiamo a tutte le vittime di Capaci un nuovo processo a Tutino perchè credo che sia veramente mancata l’analisi delle emergenze processuali”.
Il Maxi processo sentenziò la condanna di Falcone e Borsellino
Oltre a Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, morta poco dopo l’arrivo in ospedale, la Pg Cardia ha scandito il nome di Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, gli agenti della scorta fatti a pezzi dall’esplosione che 30 anni fa strinse in una morsa il Paese intero e le sue istituzioni. A far scattare il piano che portò alla morte di Falcone decisa da Cosa Nostra tra il 1982 e il 1986 – come ricordato in udienza davanti alla Seconda sezione penale presieduta da Geppino Rago – è stato il passaggio in giudicato delle condanne del maxi processo, un esercito iniziale di 471 imputati di mafia, ratificate dalla Cassazione il 30 gennaio 1992. In quel momento finì la “sospensiva” della “fatwa” che pendeva sul giudice Falcone e su Paolo Borsellino e il pool di Antonio Caponnetto. Cinquantasette giorni dopo Capaci, ci fu la strage di Via D’Amelio.
Le dichiarazioni di Maria Falcone
“La sentenza della Cassazione, che conferma l’imponente lavoro investigativo fatto dalla Procura coordinata da Sergio Lari e le condanne inflitte dai giudici di Caltanissetta ai boss Salvatore Madonia, Lorenzo Tinnirello, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro, accerta pienamente le responsabilità di Cosa nostra nella fase esecutiva della strage di Capaci, sancendo in via definitiva il ruolo del mandamento mafioso di Brancaccio”.
Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, dopo la sentenza della Cassazione del processo Capaci bis. “Il verdetto inoltre – ha proseguito – apre allo scenario della convergenza di interessi nell’attentato, prospettato nella sentenza della corte d’assise, sulla base di due elementi accertati dai magistrati: il sondaggio che, ha raccontato il pentito Giuffrè, venne fatto da Cosa nostra presso ambienti politici e imprenditoriali prima dell’attentato, e il diktat di Riina che, a marzo del 1992, disse ai suoi di fermare la missione romana che avrebbe dovuto eliminare Giovanni Falcone perchè a Palermo c’erano cose più importanti da fare. Elementi che fanno pensare appunto a una convergenza di ambienti esterni alla mafia nell’interesse ad uccidere Giovanni”. “Ci auguriamo – ha concluso – che su questa strada si possa fare piena chiarezza sia sulla strage di Capaci che su quella di Via D’Amelio che tanti punti oscuri ancora presenta”.
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