La stampella

Dalle sette piaghe alla Casa di carta

Triennius Horribilis. Triennio orribile. Dal 2019, con tanto di Covid a seguire. La mia amica social, Anna C’è, già il 14 luglio con la solita ironia ha provato a mettere insieme e a chiarire la profezia: “Allora vediamo di fare ordine: 1) peste suina; 2) Covid; 3) ponti e gallerie autostradali che si sbriciolano; 4) recessione e crisi economica mondiale; 5) vaiolo delle scimmie; 6) guerra Ucraina e crisi energetica; 7) cambiamenti climatici e siccità. Quindi per le 7 piaghe dovremmo essere a posto. Ah no, dimenticavo: ci sono pure i 5stelle”. Il tutto ovviamente riferendosi all’ultima crisi politica.

Più sferzante e caustico un post condiviso da un amico social, con tanto di testine dei presunti cattivi: “PAUSA SIGARETTA__
  • Un cervello (Giuseppe Conte) – Una banda di delinquenti ( il Movimento 5 Stelle) – Un’entrata in scena in grande stile (primo partito alle elezioni) – Il furto del bottino (maturazione del vitalizio) – Un’uscita di scena prendendo tutti  per il culo (Crisi di governo).
  • Praticamente sono stati “La Casa di Carta” versione italiana. L’unica differenza con la serie originale è che al posto della maschera di Dali’ hanno preferito indossare le loro facce da culo originali.
  • That’sit”.
  • E poi a dimissioni di Draghi ormai prese e annunciate, in vista del dibattito parlamentare di mercoledì quando si tirano le somme e si fanno dichiarazioni fra la fine del mondo delle elezioni anticipate e l’anziano avanti, replica ancora. “LA PAUSA SIGARETTA. Il PD oggi dà la colpa – ai fascisti – a Putin – ai no vax – a Renzi – a Conte. Ma il sospetto che non siano in grado di fare un cazzo non li sfiora proprio mai? That’s it”.

Palazzo Chigi

Crisi vera o crisetta balneare

Che poi, a parte la pausa sigaretta e le responsabilità dei “Pentastellari”, un po’ in caduta libera e un po’ asteroidi, gli occhi di tutti, italiani e non, sono puntati sul secondo tempo di questo dramma interstellare. Con il cuore sospeso tra la tragedia completa e un ipotetico lieto fine che potrebbe salvare la legislatura. Nel senso che Draghi le sue dimissioni le ha già comunicate ai colleghi ministri  – di questa XVIII legislatura e del settantasettesimo esecutivo- e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, maledicendo una volta di più l’aver accettato il bis, ha respinto le dimissioni e lo ha invitato ad un altro giro di valzer per andare a riferire alla Camere.

E Draghi non poteva fare altro che aderire all’invito di Mattarella. Unico motivo di labile speranza che non abbia unito alla parola dimissioni l’aggettivo “irrevocabili”. Mentre al contrario è stato chiarissimo nel motivarle: “Non avrei più l’agibilità politica per proseguire”. E sulle prime ha fatto sapere che vorrebbe anche evitare la conta in aula.
Già, il clima anche se la politica è sempre l’arte del possibile e del compromesso, è ai limiti dell’irreparabile. Anche se i vecchi soloni della politica nostrana fanno notare che proprio la politica italiana ha insegnato che cinque giorni sono tantissimi anche se mettono le mani avanti perché può realmente succedere di tutto. E la formula politica potrebbe, in effetti, essere quella di un Governo senza i Cinque Stelle. Perché i numeri ci sarebbero visto che la fiducia era stata ottenuta lo stesso e si è trattato di una crisi extraparlamentare. E proprio il tentativo di riportarla nell’alveo naturale delle Camere potrebbe servire, da qui a mercoledì, per sondare la possibilità della ricomposizione percorrendo la strada di una verifica. Altrimenti ad ottobre, il 10, si va a votare per le politiche con un anticipo di una decina di mesi.

Ad ognuno il suo Papetee

Insomma da Salvini al Conte II, passando per il Conte I, fino al Draghi I ad ognuno il suo Papeete, una sorta di Waterloo parlamentare italianizzata con cuffie, piatto e mojito. Con tanto di interpreti vari nelle vesti del dj di turno. Immagine perfetta da vamos a la playa per dare l’idea della crisi balneare. E così fotomontaggi di repertorio sulla foto di Salvini a torso nudo, attorniato da due balneatori guarda spalle con tanto di tatuaggi, prima con la faccia di Conte. E poi di Mario Draghi, che però, noblesse oblige, viene ritratto con serioso completo grigio antracite – quasi un omaggio necrofilico – e immancabile bicchiere di mojito con tanto di cannucce ben stretto in pugno.

I rumors, insomma, almeno al momento darebbero un premier ben convinto a rassegnare le dimissioni di fronte al Parlamento, e punto. Anche se la diplomazia starebbe lavorando pancia a terra, continuando ad insinuare il dubbio che, in fondo, si è trattato di uno strappo ma non di una lacerazione completa. Cercando di insinuare almeno il tarlo di qualche dubbio nel pensiero del Premier con relativa immediata presa di posizione di non aver più l’agibilità politica per proseguire. Perché la fiducia è arrivata nonostante l’astensione dei senatori CinqueStelle.
Perciò a fronte di dichiarazioni distensive del centrodestra, da Berlusconi a Salvini, con la sola eccezione di Fratelli d’Italia e della Meloni che all’opposizione era e all’opposizione è rimasta, il passo successivo, gioco forza sarà quello che il parlamento messo di fronte alle dimissioni, faccia tecnicamente una resistenza il più ampia possibile respingendole e chiedendo a Draghi di restare in qualche modo, magari assumendosi la responsabilità perfino di un rimpasto.

L’importanza della stampella

Dirimente per l’eventuale nuova votazione avrebbe potuto essere da parte dei neo parlamentari – e molti di questi sono nelle fila dei pentastellati – il raggiungimento della pensione. Avrebbero potuto rischiare il 68 per cento dei deputati e il 73 per cento dei senatori. Ma un nell’articolo di Mariolina Sesto pubblicato su “Il Sole 24 Ore” già a novembre dello scorso anno ci illuminava asserendo che il D day era fissato per il 24 settembre del 2022. Data in cui i nostri eroi sarebbero ancora in carica visto che le elezioni verrebbero eventualmente fissate dopo la prima settimana di ottobre.

Perciò liberi tutti, a meno che non si voglia in qualche modo rinunciare a dei medi di retribuzione, con la prospettiva di una nuova campagna elettorale anticipata e costosa.
Per questi motivi in molti confidano che superata la fase più difficile è cioè l’arrabbiatura di Draghi, che tra spread e mercati, ha visto mettere in discussione la sua affidabilità, credibilità e reputazione, tutto si concluda a tarallucci e vino. E in questo caso entrano in gioco le famose “stampelle”. Nel senso che tanto più sarà monolitica e maggioritaria la maggioranza e tanto più risulterà agevole convincere Draghi a rimanere.
E allora sara tutta una questione di conta. Con probabile nuovo sfaldamento del gruppo dell’ex premier Giuseppe Conte e passaggio dei reprobi fra le fila di Luigi Di Maio che mai si sarebbe aspettato un simile passo falso del suo ex premier.
Perché poi al di là delle scorie dei movimenti populisti, Lega e Cinquestelle, il senso di tutta questa operazione è da inquadrarsi come manovra lunga in vista della prossima naturale scadenza del 2023.
La Lega in particolare non ha alcun interesse ad anticiparle per il timore di vedere crescer ancora, a proprio discapito, il gradimento della Meloni e di Fratelli d’Italia. Conte al contrario, a lungo andare avrebbe rischiato di vedere dissolversi ulteriormente il suo manipolo.
Poi di fronte al “Papeete ter” tutti sono accorsi a fare ammenda pubblica e con tanto di mea culpa.
Ora nelle sacre stanze si procede ad una eventuale conta. Anche con la prospettiva che eventuali elezioni anticipate sarebbero controproducenti rispetto ai piani più a lungo termine. Per cui si materializzeranno volenti o no, tante, tantissime stampelle. A conti fatti l’accelerazione imprevista finirebbe per nuocere ai più alle prese con la visione del proprio ombelico della ricandidatura ipoteticamente negata o addirittura di un’altra costosa campagna elettorale troppo ravvicinata. Che ne sarebbe per esempio di Edoardo Rixi, o della Roberta Pinotti, già ministro della difesa del Governo Renzi o dell’attuale ministro Orlando rispettivamente alla destabilizza e quinta ricandidatura? Problemi da rinviare nel tempo il più possibile.

Centro, centristi e centrini

Già, il grande centro, quello per cui il Governatore Giovanni Toti si sta spendendo da tempo in vista di una possibile migrazione dalla Regione ai palazzi Romani. Il grande centro che si è speso già il 14 luglio, non a caso data della presa della Bastiglia, probabilmente attualizzabile come la data della presa della scatoletta di tonno, per far tornare tutto come prima.
Scriveva proprio Toti: “Ora subito al lavoro per il Draghi bis. Possibilmente senza quel Movimento 5 Stelle che oggi ha dimostrato la sua vera essenza: un partito anti modernista, anti sistema, anti italiano è totalmente inaffidabile. Mi aspetto che tutte le forze responsabili del Paese, nel centrodestra come nel centrosinistra, facciano sentire al più presto la loro vice in tal senso. Chiunque per interesse di partito volesse cavalcare i capricci e le contorsioni di questa pessima politica si porrebbe sullo stesso livello dei grillini, condividendo la loro responsabilità. I voti in parlamento di Italia al centro con Toti sono a disposizione di un Draghi bis senza se e senza ma”.
Solo che poi, per così dire, a cadavere ancora caldo, il tonondei commenti sotto al post del Governatore è tutto a favore delle elezioni… e subito.
Insomma l’operazione “stampella” senza se e senza ma, ha fatto adirare parecchio i liguri che abitualmente seguono i post del Governatore, già uscito indenne dall’operazione portata a termine con successo per il Mattarella bis.
A riprova che probabilmente il popolo dei liguri che lo sostiene al momento è più orientato sulle posizioni di Fratelli d’Italia o della Lega che su quelle di alcuni partiti tradizionalmente di centrodestra che non fanno segreto di essere schierati per il Draghi non si tocca.
Insomma Toti con la stampella, come l’Enrico suo omonimo, patriota che combatté da soldato irregolare nelle file dei Bersaglieri durante la prima guerra mondiale poiché non arruolabile in quanto privo di una gamba, persa durante la sua attività di meccanico ferroviere; nonostante la menomazione, partecipò a varie azioni militari, in una delle quali trovò la morte a 33 anni.
Durante la Sesta Battaglia dell’Isonzo (agosto 1916), che si risolse nella conquista di Gorizia, rimasto in una trincea sguarnita nei dintorni di Monfalcone, continuò a combattere benché colpito dai proiettili austriaci e morì incitando i suoi compagni all’assalto. Il suo gesto fu immortalato nella stampa dell’epoca (leggendaria divenne la copertina della Domenica del Corriere illustrata da Achille Beltrame, che mostrava Toti in piedi tra le sue truppe, nell’atto di scagliare la propria stampella contro le truppe austriache prima di morire venendo preso a simbolo dell’eroismo e del senso di abnegazione del militare italiano. Insomma Toti e riToti storici. Per non parlare di quello con due t, il Francesco, “core de Roma”, al centro insieme alla ex moglie Ilary Blasi di commenti ed articoli social e dei quotidiani che secondo l’autorevole “Il Corriere della Sera” nkn avrebbero ancora risolto le controversie sulla separazione. Il che era largamente prevedibile considerato il considerevole uso dei familiari di lei nella gestione delle attività dell’ex capitano gialloorosso. Anche loro in fondo, un po’ stampelle di un impero finito in crisi. Ne più ne’ meno di una maggioranza, un parlamento e un governo. Sintomo della caducità della vita. E di chi si guarda troppo l’ombelico.

Le zeppe (stampelle) di Farfarello e Gujermone

Eppero’ a titolo di un pacato ottimismo in vista del 20, mercoledì di questo luglio, caldo e assolato in cui fare i conti con le sette piaghe, come diceva l’amica Anna C’è, mi piacerebbe lasciarvi con una poesia d’antan e in romanesco di Carlo Alberto Salustri, al secolo Trilussa che parla di zeppe e stampelle e di guerra e potere che è una sorta di Ninna  nanna. Con l’augurio, tra afa e siccità, tra disastri geologici e guerre, travaiolo delle scimmie e peste suina, tra crollo delle borse e innalzamento dello spread, tra crisi di governo incombenti e sogni di salvataggi apocalittici, di fare sogni d’oro.

Dunque:
Ninna nanna de la guerra
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello* vorrei
Farfarello e Gujermone*
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe*
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Ché quer covo d’assassini
che c’insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura sto macello:
fa la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
Note:
Farfarello* – Uno dei diavoli dell’inferno dantesco
Gujermone* – Guglielmo II, l’imperatore tedesco
Ceccopeppe* – Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria
Traduzione in Italiano:
La ninna nanna della guerra
Ninna nanna, nanna ninna,
il bambino vuole la tetta:
dormi, dormi, tesoro bello,
se no chiamo Farfarello
Farfarello e Guglielmone
che si mette carponi,
Guglielmone e Francesco Giuseppe
che si regge con le stampelle,
con le stampelle di un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, prendi sonno
ché se dormi non vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedono nel mondo
fra le spade ed i fucili
dei popoli civili.
Ninna nanna, tu non senti
i sospiri ed i lamenti
della gente che si scanna
per un matto che comanda;
che si scanna e che si ammazza
a vantaggio della razza
o a vantaggio di una fede
per un Dio che non si vede,
ma che serve da pretesto
al Sovrano macellaio.
Perché quel covo di assassini
che ci insanguina la terra
sa benissimo che la guerra
è un gran giro di quattrini
che prepara le risorse
per i ladri delle Borse.
Fai la ninna, tesoro bello,
finché dura questo macello:
fai la ninna, ché domani
rivedremo i sovrani
che si scambiano la stima,
buoni amici come prima.
Sono cugini e fra parenti
non si fanno complimenti:
saranno ancora più cordiali
i rapporti personali.
E riuniti tra di loro,
senza l’ombra di un rimorso,
ci faranno un bel discorso
sulla Pace e sul Lavoro
per quel popolo coglione
risparmiato dal cannone!
E a presto.
Paolo De Totero
Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.