‘Ndrangheta stragista, il funzionario della Dia conferma in aula le frequentazioni di Craxi e Berlusconi

È durata circa cinque ore la testimonianza del vicequestore Michelangelo Di Stefano, in forza alla Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria

Reggio Calabria – È durata circa cinque ore la testimonianza del vicequestore Michelangelo Di Stefano, in forza alla Dia di Reggio Calabria, dinanzi alla Corte d’Appello della città calabrese dello Stretto nel processo ‘ndrangheta stragista.

Alla sbarra il boss di Cosa nostra, Giuseppe Graviano, e il capobastone della ‘ndrangheta di Melicucco (Reggio Calabria), Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ ergastolo per il duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Fava e Antonino Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 a Scilla, mentre pattugliavano l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nell’ambito del progetto di destabilizzazione voluto dai corleonesi di Riina per costringere lo Stato a trattare con la mafia.

Il funzionario di polizia ha descritto il complesso dei rapporti tra mafia e politica e tra le organizzazioni mafiose, per come affermato dai pentiti Gerardo d’Urzo (deceduto nel 2014), Girolamo Bruzzese e Marcello Fondacaro, un tempo legati ai Mancuso e ai Piromalli. Michelangelo Di Stefano, inoltre, ha riferito il contenuto dei verbali in relazione alla richiesta di aiuto alla ‘ndrangheta dei “perdenti” di Cosa nostra (Inzerillo-Bontade-Badalamenti), richiesta rimasta inevasa e conclusasi temporaneamente con una “neutralità”, dopo un’ attenta valutazione dei capi delle cosche Piromalli, De Stefano e Mancuso. Solo dopo lo sterminio dell’area palermitana, le famiglie della ‘ndrangheta calabrese intensificarono una proficua alleanza criminale con i corleonesi.

Il funzionario della Dia, esaminato dal Procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha ribadito, tra l’ altro, l’affermazione del pentito Girolamo Bruzzese, secondo cui “Craxi e Berlusconi tra il 1979/1980”, avrebbero incontrato in sua presenza in una masseria della Piana di Gioia Tauro il boss Giuseppe Piromalli “u mussu stortu”, deceduto da tempo, e di averli riconosciuti “perché visti in televisione”.

Molte delle affermazioni dei tre pentiti sono frutto dei periodi di comune detenzione nel carcere dell’Asinara con esponenti di primissimo piano di Cosa nostra, in cui emergono presunte verità sugli autori di alcuni attentati durante il periodo delle stragi negli anni ’90, come le bombe ai Georgofili, attribuiti erroneamente a Pietro Scotto, e non ai veri attentatori, Antonino Mangano e Giuseppe Graviano.

Nei verbali depositati dalla Pubblica accusa si evidenziano, inoltre, i rapporti di Antonino Madonia con l’ex capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, l’ex capocentro del Sisde, Bruno Contrada, e Giovanni Aiello, l’agente di polizia soprannominato “faccia da mostro”, morto a Marina di Pietragrande (CZ) per cause naturali il 21 agosto del 2017.
Il dibattimento riprenderà il prossimo 24 ottobre, con il prosieguo della testimonianza del vicequestore Di Stefano e l’ avvio del controesame delle difese.

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