Caro diario

Leggere, che impresa

Finalmente l’ho finito di leggere ed è un libro che consiglio a tutti, soprattutto ai genitori di ragazzi adolescenti. A dire il vero ci ho messo un po’ di tempo. Ultimamente faccio fatica anche perchè – parlando obiettivamente – alla fine passo più tempo del necessario sui social. Curiosità, e anche, probabilmente, maggiore facilità di lettura per arrivare in fondo. Quei dannati 140 caratteri, poi ampliati in 280 – addirittura il doppio – finiscono per fotterti almeno un po’, o piuttosto… parecchio.

Per non parlare di Tik Tok e altre diavolerie e belinate simili. Per cui leggere un libro per arrivare alla fine – insomma – anche per un anziano saggio come mi reputo e prestato alla modernità – meglio modernismo – finisce per risultare una sorta di prova quasi senza appello. Perchè già: la memoria spesso finisce per far cilecca. Visto che i prossimi saranno Settanta.

E poi c’è la capacità di attenzione che va scemando. Anche se, fortunatamente, gli occhi resistono ancora. E ancora a tenermi quasi prigioniero di un’epoca agli sgoccioli e che fu c’è quel rapporto con le lettere impresse su carta, che un po’, e comunque per parecchi anni sono stati la mia vita. Insieme al toc toc o al tic tic ritmato della macchina da scrivere che reagiva all’impulso del dito sulla tastiera e imprimeva lettere e carattere su carta. Sulla cosiddetta “cartella” in cui si misurava oltre alle righe la lunghezza di un articolo.

Lettere in inchiostro blu. Sono uno dei reduci del Novecento. Sono nato appena qualche anno dopo la metà di quel secolo. Appena qualche anno dopo la conclusione della guerra. In piena epoca di ricostruzione, poco prima dei sessanta del beat e del boom economico. Insomma persino predecessore dei boomer. Anche se quell’epoca me la sono vissuta tutta. Nostalgico – si direbbe – ma non alla maniera di Ignazio La Russa… mi raccomando -. Motivo per cui non rinuncerei mai al mio rapporto con il materiale cartaceo, con i libri o con i giornali e quotidiani. Che sfogliarli e leggerli, pagina dopo pagina, spesso mi consente di sentirmi un po’ più vivo… e partecipe.

Diario di scuola

Epperò preso da queste quasi infinite premesse mi sono perfino dimenticato di menzionare il titolo del libro e il nome del suo autore.

 L’autore è uno dei miei preferiti Daniel Pennacchioni in arte Daniel Pennac, francese, insegnante, prima che scrittore – particolare importante – autore della saga della famiglia Malaussene e inventore della figura del capro espiatorio utilissimo nella nostra società dei consumi. Il libro è “Diario di scuola” in cui l’autore racconta la sua esperienza di asino vestito e calzato dedito allo zero e la sua conoscenza dei molti insegnanti che su di lui non avrebbero scommesso una lira. Per arrivare poi a quelli che hanno affrontato la questione e il lavoro dell’insegnamento e di istruire con straordinario spirito di servizio, rasentando quello che dovrebbe essere: la vocazione. Riuscendo, passo dopo passo, a tirarlo fuori dalla sua confort zone, quella del fallito agli occhi di tutti e senza speranza.

E la quarta sezione “COSA SIGNIFICA AMARE”, corredata da una frase della commedia di Pierre Marivaux “Il gioco dell’amore e del caso” mi ha aperto mille orizzonti. Cita Pennac: “In questo mondo bisogna essere un po’ troppo buoni per esserlo abbastanza”. Già. E poi c’è, quasi al termine, il penultimo capitolo, il 12, in cui ricompare lo studente che Pennac fu….Con l’inevitabile contraddittorio:

-“Io un giovane obeso disincarnato?”

-(Oh santo dio! Rieccolo…)

-“Come ti permetti di parlare al posto mio?”

-Porco cane, perchè mai l’ho menzionato, il somaro che fui, questo incorreggibile ricordo di me stesso? Finalmente arrivo alle ultime pagine, mi aveva lasciato in pace dopo la conversazione su Maximilien, e adesso sono io stesso a richiamarlo!

Cinque tipi di bambini tutti strumentalizzati

E poi nelle pagine precedenti il Pennac insegnante racconta come, a suo modo di vedere, sia cambiato l’utente scolastico con cui l’insegnante si deve confrontare. Nella nostra società dei consumi lo studente è diventato un cliente degno di perenni class action. E democraticamente, e come se non bastasse, ce ne è comunque anche per i professori.

A conclusione spiega l’autore in un capitolo a se stante, il nono: “Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituto, e sui cartelloni della metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell’abbandono. Sono bambini, tutti e cinque.

Strumentalizzati, tutti e cinque”.

E così, pagina dopo pagina, sono riaffiorati alcuni miei ricordi di scuola. Tutti probabilmente rimossi. In fondo ho fatto con soddisfazione il lavoro su cui ho molto fantasticato sin da ragazzo. Quello per cui mia mamma diceva che sarei stato portato e che mi avrebbe fatto felice. La voce del cuore, probabilmente. Ma anche quella basata su sensibilità ed esperienza. Perchè ormai sono giunto a questa conclusione.

Quell’asilo vicino a via Trento

E allora c’è l’asilo a Genova, alle spalle di via Trento, in cui provavo piacere a coltivare le verdure in un’aiuola che, noi bambini insieme agli insegnanti, utilizzavamo a mo’ di orto. Poi c’è la prima elementare alla Pascoli, scuola primaria a pochi metri di distanza, in cui stentavo con le lettere e i numeri e le aste (inesorabilmente tutte storte). Quasi come Pennac. Probabilmente con qualche problema di disgrafia. E che fatica comprimere i numeri nei quadretti e allineare vocali e sillabe sulle righe. Perfino capire che gli spazi della marginatura dovevano rimanere bianchi.

Con qualche allievo, amico, compagno di banco sempre con quel sorriso stampigliato sulle labbra e il cravattino sopra al colletto del grembiule rigorosamente e irrimediabilmente diritto. Quanta fatica per raggiungere uno standard di scrittura accettabile. E poi la promozione, probabilmente con un sei stiracchiato, e il trasferimento a Torino della mia famiglia. In seconda.

Agli albori del 1960. Con un mutismo sospetto che suggeriva all’insegnante di trasferirmi nelle classi differenziali. Non parlavo e non avevo amici. E mia madre, ancora una volta presente, che mi mandò a ripetizione. A ripetizione già in seconda elementare pur di salvarmi dalle differenziali. Così avevo una maestra tutta per me che mi dimostrò affetto, interesse e considerazione. E poi il maestro Raineri subentrato in terza elementare che mi diede la stessa considerazione. Fino a che terminai dignitosamente le elementari, altrimenti dette le primarie, per accedere alle secondarie. Le medie.

Con un panorama personale molto cambiato grazie allo sport, all’oratorio e alla squadrata di calcio dell’oratorio. Terminai la scuola dell’obbligo per iscrivermi alle superiori. Liceo scientifico Galileo Ferraris a Torino. In una delle succursali con le aule per le classi sopra alla stazione di Porta Nuova. Due materie riparate a settembre. Latino e matematica. E poi di nuovo il baratro, con un nuovo trasferimento.

La prima bocciatura

Da Torino a Genova. Seconda liceo con un insegnante di scienze, tal Pastorello, che probabilmente non mi poteva sopportare. E usava dirmi, a me come ad alcuni miei compagni con cui facevo combutta, sempre negli ultimi banchi: “Sei (siete) mele marce, devo isolarvi altrimenti rischiereste di contaminare tutta la classe inquinandola”.

E un’altra insegnante di disegno che si divertiva a strapparmi le tavole di geometrico sulla faccia. Cercavo di sopravvivere. Risultato quattro materie a settembre. Latino, disegno, Scienze e matematica. Ripetizioni durante l’estate ed esami di riparazione a settembre. Incontrai la professoressa di Storia ai bagni, gli stessi che nel periodo estivo frequentava anche lei.

Con una smorfia mi confidò che purtroppo avrei dovuto ripetere l’anno. Il consiglio di classe si era schierato per la promozione. Però l’insegnante di scienze, quello della mela marcia, si era opposto. E dire che il giorno dell’esame di riparazione non si era presentato – ero l’unico rimandato di quella sezione – e la segreteria della scuola in seguito mi aveva fatto chiamare a casa per fissarmi il colloquio dopo due giorni. Ad esaminarmi c’era solo lui, l’altro membro interno non mi conosceva era di un’altra classe. Comunque interrogazione non certo sufficiente.

Il giorno dell’esposizione dei quadri mio padre, all’oscuro del vaticinio della prof. di Storia aveva preteso di accompagnarmi. Allora erano pubblici e non c’erano problemi di privacy. Nei giardini della scuola, il Cassini avevamo incontrato un mio compagno di classe preventivamente bocciato a giugno. Uno di quelli con me nel gruppetto delle “mele marce”. Mi aveva sorriso e mi aveva detto: “ce l’ha fatta”. E io equivocai capendo: “Ce l’hai fatta”. Immaginerete in quale stato confusionale ho raggiunto l’atrio in cui erano stati esposti i quadri.

Folla e assembramenti ma mio padre alto e ben messo aveva fatto in modo che potessi guardare. E…no, non ce l’avevo fatta: 3 di scienze. Un verdetto inappellabile. Ho ripetuto l’anno. Prima però mio padre aveva cercato di farmi cambiare scuola. Un istituito privato, i Maristi. La scuola pubblica a quel tempo era scossa da qualche moto di rivolta degli studenti, meglio cambiare aria visto che quando c’era da scioperare io partecipavo ai cortei di protesta, come una mela marcia qualsiasi.

La teoria delle mele marce

Solo che il priore che dirigeva la scuola sulle prime aveva sentenziato. “Il ragazzo ha già perso l’anno. Prenderemo informazioni e le faremo sapere” E lì per lì mio padre aveva dimostrato tutto l’orgoglio di un genitore a cui hai fatto capire che il proprio figlio è come fosse un poco di buono. La classica mela marcia in grado di inquinare tutto e tutti.

Avevamo raggiunto insieme la scuola di via Sturla poco più in basso, quella da cui provenivo. E lì aveva compilato il mio foglio di iscrizione.

Qualche giorno dopo la telefonata dei Maristi: “Tutto a posto se vuole passare per il versamento della prima rata”. Ma la risposta era stata un raggelante. “Grazie, ma abbiamo già provveduto”. Ero stato io dall’altro capo della linea telefonica a rispondere. Che soddisfazione per una mela marcia.

Un anno difficile per la seconda volta in seconda. Con promozione appena appena dignitosa, anzi quasi stentata. E una materia a settembre. Esame superato, e poi è cambiato tutto. Alcuni professori che ho avuto al liceo l’anno dopo e in quelli a seguire li ricordo ancora e li ricorderò per sempre.

Ci sconvolse un giovanissimo professore di lettere facendo lezione seduto sulla cattedra con le gambe accavallate e i calzini bianchi arrotolati che lasciavano intravvedere i polpacci irsuti. Però grandissima conoscenza della materia,  straordinaria capacità comunicativa e bellissima dialettica.

Oltre ad affascinarci ci ammaliò. Ricordo un due in latino. Mi impappinai sulla prima ecloga delle Bucoliche di Publio Virgilio Marone: “Tityre, tu patulae recubans sub termine fagi” che dovevamo imparare a memoria. Non sapevo andare nè avanti nè indietro. Rimediai un due secco. Però nel giro di una settimana mi richiamò alla cattedra per una interrogazione sulla letteratura latina. Era una materia che mi piaceva e avevo studiato e approfondito. Mi affibbiò un dieci e salvai la media.

Si chiama Sergio Campailla scrive libri e saggi letterari e vive negli Stati Uniti con la sua famiglia.

Luisella Carretta

Luisella un’artista di insegnante

Un’altra che ho frequentato fino a che lei è mancata è stata Luisella Carretta che dopo l’esperienza delle tavole di geometrico strappate sulla faccia mi ha, per così dire, riappacificato con il disegno.

Un’artista eclettica che recentemente è stata ricordata per i suoi lavori sul volo degli uccelli. L’ultimo che ha contribuito alla mia formazione e alla mia istruzione è Aldo Viganò. Il nostro mitico professore di filosofia. Critico cinematografico del Secolo XIX. Poi diventato un collega. È stato lui a salvarmi, anche dalle ire di mio padre, il giorno in cui volantinavamo davanti al mio liceo il Luther King e venimmo assaliti da un commando di giovani del Fuan.

Presi una sprangata in testa. Riuscii quasi ad evitare l’impatto che altrimenti mi avrebbe provocato guai ben peggiori, perchè sentii all’improvviso alle mie spalle il sommovimento dell’aria della spranga che fendeva proprio l’aria. Scostai la testa istintivamente e fui colpito di striscio, fortunatamente. Corsa verso l’entrata di servizio dell’istituto con scavalcamento del reticolato. Una volta all’interno della scuola mi accorsi che la testa mi sanguinava. Fu proprio il professore di filosofia a portarmi al pronto soccorso del San Martino.

Due punti in testa e tutto risolto. Solo che al momento di lasciarmi andare a casa, visto che all’epoca ero minorenne, c’era bisogno di un familiare che mi venisse a prendere e firmasse il foglio di dimissioni. Telefonata a mio padre e risposta secca: “Per quanto mi riguarda puoi rimanere lì per tutta la vita”. Breve conciliabolo e fu proprio Viganò a garantire e a riportarmi a scuola.

Rientrai che era appena suonata la campanella per l’intervallo. Vabbè ho passato dieci minuti con le ali di studenti che si aprivano al mio passaggio come fosse Mosè di fronte al mar Rosso. Viganò sulla porta dell’ aula con quel suo mento  tenuto su dalla mano – spiegava sempre così sia la filosofia greca che gli illuministi e poi i filosofi più attuali – se la rideva di quella mia improvvisa popolarità.

Il capro espiatorio non esiste

Insomma caro diario “Diario di scuola” di Pennacchioni, alias Pennac lo consiglio. Agli allievi naturalmente, agli studenti clienti, o anche no. Ma soprattutto ai genitori. E ancora di più ai professori in crisi, alla ricerca di empatia. In fondo quella di professore è una professione che mi sarebbe piaciuto fare, se non avessi fatto il giornalista. E forse qualche cosa del genere in redazione ho fatto anch’io. Il mio lavoro è un problema di vocazione, in minima parte, ma soprattutto di volontà per apprendere le tecniche. Volontà e un po’ di sacrificio. Da una parte e dall’’altra. Però dopo, quando se ne ha coscienza… quanta soddisfazione.

Paolo De Totero

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta